Nella storia del calcio moderno vi sono decine e decine di squadre che hanno lasciato una traccia indelebile nella memoria degli appassionati di questo sport.
Vi sono esempi meno nobili, almeno sotto il punto di vista del risultato finale del progetto. Uno di questi esempi à il Cosmos.
La nascita di un progetto fantastico
Era il 1970, il calcio cominciava a ronzare attorno gli appassionati in maniera diversa rispetto a quella tradizionale, aumentavano le immagini televisive, diminuivano le ore passate ad ascoltare la radio.
Eravamo appena usciti dalla spedizione messicana, con una finale persa contro il Brasile di Pelè dopo una semifinale epica vinta coi nostri rivali di sempre, la Germania Ovest.
Qualche mese prima che iniziasse quel mondiale, un nugolo di visionari americani, decise di porre mano a un progetto ambizioso su cui in molti erano pronti a scommettere.
La nascita di stampo turco
Il progetto partì dall’idea di due intraprendenti fratelli di origini turche, Ahmet e Nesuhi Ertegün, all’epoca geniali lavoratori nel campo della musica e proprietari dell’etichetta Atlantic Records.
Il loro socio, entrato poco dopo il deposito dell’iscrizione della squadra, fu il presidente del colosso editoriale Time Warner, una specie di fabbrica da soldi a cui nessun accesso al credito poteva essere negato. Anzi, la Time Warner era il credito.
La squadra si iscrisse al massimo campionato nel 1970, per poi esordire un anno dopo nella North American Soccer League.
Non ci volle tanto tempo perchè i Cosmos vincessero il loro primo titolo: era la stagione 71/72 e, trasferiti dallo “Yankee Stadium” di New York al mitico “Hofstra” di Long Island, i Cosmos portarono a casa lo “scudetto” nordamericano battendo i St. Louis Stars per 2-1.
Il 1975 e Pelè
La vera scossa, o almeno quella che si voleva dare, al calcio nord americano, fu quella che i capitali della Warner permisero di originare: l’arrivo di Pelè.
In quel momento era di gran lunga il giocatore più spettacolare e forte del mondo, non c’era bisogno di alcuna presentazione e fu letteralmente ricoperto di soldi per predicare calcio in una nazione in cui di calcio si poteva parlare solo e soltanto dopo aver fatto l’inchino a baseball, football americano e pallacanestro.
Il desiderio della dirigenza dei Cosmos era abbastanza palese e conosciuto da tutti: rivoluzionare il mondo dello sport professionistico statunitense e provare a “debuggarlo” dalle solite dinamiche che portavano sempre e solo agli sport tradizionali.
Pelè fu la prima stella di un firmamento chiamato a mettere le basi perché questo potesse accadere, ma tutta una serie di giocatori importanti e molto famosi furono chiamati a dare una mano al brasiliano, tutti allettati da una montagna di dollari.
Desolazione e spalti vuoti
In realtà la spinta propulsiva di un plotoncino di appassionati non poteva fare la differenza per provare a far decollare il soccer negli USA.
Troppo eterogenea la popolazione, troppo acerbo uno sport per nulla americano, troppo orgogliosi i suoi abitanti per cedere alla tentazione di farsi rapire da uno sport arrivato da fuori.
Gli emigrati europei e sud americani, per una specie di legge del contrappasso, al contrario non si sono mai messi in testa che le leghe di soccer potessero regalare uno spettacolo calcistico degno di questo nome.
Ci voleva qualcosa di più, visto che durante i primi anni della NASL stadi e piccoli impianti ospitavano un numero ridicolo di persone.
Cruijff, Carlos Alberto, Beckenbauer, Wilson, Francisco Marinho, Neeskens sono solo alcuni dei nomi che sposarono la causa newyorkese.
La falsa promessa
La realtà delle cose era semplicemente che le cose non potevano funzionare.
Il motore più potente che alimenta il calcio nelle nazioni in cui lo si segue maggiormente non è lo spettacolo, non sono le majorette o le cheerleader, non sono le birre a basso costo portate dalla cameriera sugli spalti.
Se manca completamente la passione ogni forma di calcio è destinata a fallire.
Il progetto della Warner difettava proprio della materia prima: la passione.
La cornice e tutto il palco dovettero ben presto fare i conti con la realtà: gli anni seguenti a quello di inaugurazione dei Cosmos, furono atti a suscitare spettacolo, lustrarono per anni la cornice senza capire che stava franando il terreno sotto i piedi.
E dopo alcune giornate da tutto esaurito, come si direbbe da noi, la magia cominciò a scemare dopo “Fuga per la Vittoria”, quando lo schermo del cinematografo ci mostrava le mirabolanti rovesciate di Pelè, messo sotto contratto come “artista discografico”, non esattamente come “calciatore professionista”.
Era un mondo di plastica che non aveva fondamenta solide, il gigante di argilla che i soldi non potevano sostenere a lungo, mancava il tifo, l’attaccamento passionale alle squadre di club.
Chinaglia e la fine di tutto
Approdato ai Cosmos nel 1976, Chinaglia ne venne presidente l’anno successivo dell’abbandono di Pelè, tornatosene in Brasile dopo aver guadagnato una montagna di soldi.
In una conferenza stampa rilasciata a Rio De janeiro poche settimane dopo il suo rientro, Pelè dichiarò che la magia del Cosmos poteva considerarsi bella e che terminata.
Ed era la verità: la Lega americana era ormai un piccolo sogno irrealizzato e, per allora, irrealizzabile. Le squadre che potevano definirsi tali erano due, sopravvissute alla crisi economica delle altre 22 sorelle crollate tutte, una ad una, in ginocchio.
La Warner, per costruire il giocattolo Cosmos, si indebitò per qualcosa come 30 milioni di dollari e Chinaglia, che all’epoca era presidente della Lazio fu l’uomo designato per provare a mantenere in piedi un progetto che non aveva alcun futuro, visto che le azioni di un ex gigante produttivo come quella squadra, valevano, nel 1983 meno, molto meno, dell’Intera Lazio stessa.
Nel solo 1983 il Cosmos perse qualcosa come 5 milioni di dollari e, di lì a pochi mesi, si spense insieme a tutto il movimento professionistico americano.
Commisso e i tentativi di rinascita
Nel 2009 una cordata di imprenditori americani capitanata da Paul Kemsey acquistò i titoli del Cosmos, richiamando tutti i personaggi di qualche anno prima: Pelè presidente onorario, Chinaglia ambasciatore del brand ed Eric Cantonà direttore tecnico.
Pochi anni dopo entrarono nell’organico dirigenziale anche Robert de Niro e Carlos Alberto, mentre un contratto di sponsorizzazione con la Nike, permise l’iscrizione al campionato della nuova NASL.
Nel 2016 la squadra dovette liberare i propri giocatori per l’ennesima crisi economica e societaria, ma qualche mese più tardi, Rocco Commisso, l’attuale presidente della Fiorentina, rilevò le quote della moribonda Cosmos.
Nel 2020 i New York Cosmos si sono iscritti al campionato di terza divisione, il National Independent Soccer Association (NISA).