Nel mondo del calcio italiano tanti sono stati campioni entrati nella storia dalla porta principale, quella del campo. Talenti indiscussi, che illuminavano tutto con le loro giocate. Ecco, il Nereo Rocco giocatore non era uno di questi probabilmente, pur la sua (unica) presenza in maglia azzurra l’ha portata a casa, ma umanamente parlando è stato uno di quei personaggi irripetibili, che avrebbero saputo farsi ricordare da tutti al di là del palmares di vittorie con cui ha poi riempito la bacheca del Milan da allenatore.
Il Nereo Rocco Allenatore: la Triestina
Se è vero che basta un capitolo della storia per parlare del Nereo Rocco calciatore, delle sue 232 presente con la maglia delle Triestina (e 65 gol) prima della non proprio felice parentesi al Napoli (dove venne acquistato per 160.000 mila delle vecchie lire) e della chiusura a Padova. E’ vero anche che per la sua successiva storia da allenatore ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia.
Si comincia subito dopo la fine della guerra, con la Triestina appena ripescata in Serie A dall’ultimo posto della stagione precedente. Nereo accetta la sfida e prende in mano la squadra adottando una nuova strategia, quella poi ricordata come del “catenaccio“. Ma non ditelo a Nereo, che pure soprannominato il “Paron” (il padrone) non ha mai voluto sentire il suo nome associato questa parola. Tanto da ribadire spesso in torno sarcastico:
«Solo noi femo el catenaccio, i altri fa calcio prudente»
Nereo Rocco sul gioco della sua Triestina
Quello che è certo è che il libero messo lì in mezzo al campo, funziona bene. Tanto che la Triestina alla prima stagione del Rocco allenatore, si piazza niente meno che seconda in classifica, alle spalle del solo grande Torino.
L’impresa con il Padova
Negli anni a venire a dire il vero, non andò altrettanto bene, complice qualche vicenda ancora poco chiara che lo vide prima andare a Treviso e poi un’altra stagione non brillante alla Triestina dove venne addirittura esonerato. Non prima di aver lasciato altre perle di saggezza, come quando intervistato prima di una partita contro la Juventus, si produsse in una delle sue classiche risposte fulminanti al “Vinca il migliore” del giornalista, Nereo risposte così:
«Signor Rocco, Vinca il migliore»
« ciò, Speremo de no!”
Nereo Rocco prima di Padova-Juve
Si riparte dal Padova in Serie B, in una squadra che era tutto fuorchè piena di talenti. Eppure Nereo riesce pian piano a dare la sua identità, a tirare fuori il massimo da quei giocatori mediocri (spesso scartati da altre squadre più blasonate come Rosa, Blason, Scagnellato, Brighenti e soprattutto Hamrin, che uscito dalla Juve dopo diversi infortuni, era considerato poco più che un giocatore bravo ma “fragile”.
Ma le direttive di Nereo a quel gruppo sono chiare:
«A tuto quel che se movi su l’erba, daghe.
Se xe ‘l balon, no importa.»
Nereo Rocco, verso i suoi difensori
E così fanno. Difendono come degli ossessi e provano a segnare quando possibile, grazie anche proprio ad Harmin che lo stesso Nereo ha reso meno fragile grazie, si dice, a delle scarpe ortopediche fatte preparare su misura. Da quel momento l’Appiani diventa una roccaforte che prima porta di nuovo alla Serie A, poi addirittura a un terzo posto nel 1958, dove si toglie lo sfizio di battere molte squadre decisamente più blasonate. Nell’ultimo anno in veneto, lascia una squadra costantemente tra le prime della serie (e non a caso retrocessa proprio il primo anno senza Rocco), ma quell’ultimo 4-1 contro il Milan, fu decisivo per fare di lui il prossimo obiettivo rosso nero.
Nereo sul tetto d’Europa: la prima Coppa Campioni al Milan
Il passaggio al Milan segna il decisivo cambio di passo per Nereo Rocco. Certo qua la squadra è già altamente competitiva, ma all’inizio non è ancora “sua”. Manca il suo marchio di fabbrica e ha bisogno di inculcare nel gruppo quello spirito di sacrificio e abnegazione che è proprio del suo credo. Tanto che pur avendo in rosa un campionissimo come Jimmy Greaves, Nereo chiede qualcuno che possa lavorare duro in quel ruolo, trovandolo in Dino Sani.
E’ un grande Milan di talenti, con Rivera e Altafini a fare spettacolo in avanti (anche se il rapporto tra Nereo e Altafini non sarà sempre idilliaco), e Trapattoni e Sani a fare legna a centrocampo. Poi Maldini, Radice, Salvatore, insomma tutti gli ingredienti per portare a casa il titolo della Serie A. Ma il capolavoro deve ancora arrivare, perchè la stagione seguente Nereo Rocco porterà il Milan là dove nessuna italiana era mai giunta prima: alla vittoria della Coppa dei Campioni.
E’ una partita storica, contro il grande Benfica di Eusebio. Un match talmente importante che sul pullman Nereo caricò i suoi alla sua maniera (si dice lo disse crollando poi sul sedile):
«Chi no xe omo, resti sul pulman»
Rocco prima della finale di Wembley del 1963
La doppietta di Altafini riconcilierà poi i due almeno per quella serata, dove Wembley si dipinse di rosso e di nero. Ironia della sorte, dopo questa roboante vittoria, il Milan lasciò andare via Nereo in direzione Torino.
La seconda Coppa dei Campioni e la stella mancante
Le tre stagioni con il Torino non sono entusiasmanti però, e malgrado i tentativi di Nereo, la squadra non gira molto bene se non per un terzo posto nel 1965. Del resto come Nereo ripeteva spesso:
«Mi te digo cossa far, ma in campo te va ti»
Rocco motiva una dei suoi giocatori
E i miracoli non sempre riescono in un Torino onesto e volenteroso, ma non certo eccellente in quegli anni. Nereo coglie quindi l’occasione di tornare al Milan, che in quegli anni non era riuscito più a vincere il campionato (e dove oltre ai suoi “vecchi” discepoli, ritroverà anche il suo attaccante Hamrin). Il tocco di Nereo però è ancora magico. La prima stagione del suo ritorno segnerà il nono scudetto rosso nero, oltre alla vittoria della Coppa delle Coppe nel ’68. Per poi fare un incredibile “bis” in Coppa Campioni l’anno seguente (una marcia trionfale questa volta, con un secco 4-1 in finale contro l’Ajax con una tripletta di Prati) e finalmente anche nella Coppa Intercontinentale.
Gli anni seguenti raccontano di un Milan sempre competitivo su tutti i fronti, alla ricerca di una “stella” del decimo scudetto che anche Rocco insegue fortemente (come dichiarerà lui stesso). Arriveranno invece due secondi posti di un soffio, due Coppa Italia, la seconda Coppa delle Coppe e qualche altra semifinale e finale persa di poco.
Gli ultimi anni di Nereo
Ironia della sorte, Nereo non vedrà mai quella stella sul petto dei rosso neri. Quando nel maggio del 1979 il Milan vince il suo decimo scudetto, il “Paron” se n’è andato da appena due mesi.
Così come non riuscirà a vedere la nascita di quello che sarà poi battezzato come il “calcio totale” portato proprio da quegli olandesi che poi faranno le gioie del Milan di Sacchi. Abbandonando per sempre il calcio “catenacciario” all’italiana, reso per alcuni momenti invincibile proprio grazie a Nereo Rocco. Ma non diteglielo mai.