Non può essere vero. Da qualche parte Mazzarri deve pure aver iniziato. In qualche scartoffia lasciata in soffitta, magari dal corso di Coverciano, ci deve pur essere stato un plico dedicato a Napoli.
Altrimenti come si spiega quel miracolo che fu la stagione 2009/2010, e poi la 2010/11, e poi ancora la 2011/12, fino all’addio nel 2013?
Una stagione dopo l’altra, questo tecnico toscano che sorride raramente, parla poco ma giusto, a cui basta uno sguardo coi suoi uomini per invertire l’esito di una partita, questo burbero dal cuore d’oro, Walter Mazzarri, ha ricordato alla città di Napoli cosa significa essere grandi nel calcio.
Non lo vivevano dai tempi di Maradona. E se sono dieci stagioni consecutive che i partenopei vanno in Europa, gran parte del merito lo si deve a Walter Mazzarri, che in 4 stagioni è riuscito – insieme allo straordinario lavoro di Bigon ds e De Laurentiis presidente – a rendere il Napoli una realtà nazionale e internazionale.
Gli inizi di Mazzarri a Napoli
Dicevamo, però: da qualche parte Mazzarri deve pure aver iniziato. Spulciando le fonti e i documenti, le cartacce che lui amava poco e nulla, è stato trovato un dettaglio non irrilevante.
Nella stagione 1998/99, una stagione difficile ma non disastrosa, il Napoli è allenato da Renzo Ulivieri. Indovinate chi è il suo vice. Non c’è dubbio che Walter Mazzarri abbia appreso molto – il più possibile – da quella esperienza. E non solo a livello tattico. Certo, il 3-4-3 che vedremo all’opera nel suo Napoli ricalca in qualche modo le idee tattiche di Ulivieri, ma è soprattutto la connessione profonda tra lui, i giocatori e la piazza ad aver rappresentato il surplus decisivo nell’esperienza quadriennale a Napoli.
Quando il Napoli di Mazzarri scende in campo, sei costretto a tenere alta l’attenzione per 90’. Anzi, facciamo pure per 95’. Se non 100 – compreso il recupero di primo e secondo tempo. Una caratteristica, quella di dare tutto dal primo all’ultimo minuto di gioco, che Mazzarri riesce a trasmettere ai suoi giocatori già dall’esordio all’ottava giornata contro il Bologna. Rispetto al proprio predecessore Donadoni, si tratta di un’autentica rivoluzione.
Eppure, l’inizio di partita è col brivido. Adailton disegna una traiettoria magica col suo mancino vellutato, portando in vantaggio il Bologna dopo appena 15’. Da quel momento in avanti è dominio Napoli. Ma vuoi per la pioggia che cade lenta ma insistente, vuoi per Emiliano Viviano, che compie una serie di interventi prodigiosi, la partita il Napoli non riesce proprio a sbloccarla.
Walter, con la lunga chioma e quello sguardo profondo come il mare toscano, guarda El Pocho Lavezzi e Quagliarella, quasi con aria di sfida. Via qualsiasi schema, qui serve un gol. Minuto 27 della ripresa. Ottavo calcio d’angolo per il Napoli. La palla spiove nel mezzo, mischia furibonda e palla che carambola nella zona di Quagliarella, a pochi passi dalla porta. Chi conosce Fabio sa già l’esito. Lo sa Walter e lo sanno i 26.000 del San Paolo. La pioggia cade ancora, Mazzarri ha lo stesso sguardo di sempre. Ma il Napoli ha pareggiato.
Mazzarri guarda i suoi questa volta freneticamente. Il pareggio non ha fatto bene ai suoi ragazzi, quasi in preda alla follia del San Paolo, che tante volte guiderà il Napoli di Mazzarri nei successivi quattro anni. Troppa pressione. Britos prima e Di Vaio poi, quest’ultimo con una clamorosa occasione da gol, spaventano la porta partenopea. De Santis è monumentale. Al 38’ scena da Far West, scena da Walter Mazzarri.
Il Napoli sta ripartendo in contropiede da corner, e in sottofondo si sente Mazzarri che urla ai suoi «saliamo ragazzi, saliamo!», ma l’unico a salire è Lavezzi. Coast-to-coast da urlo fino all’area di rigore avversaria, ma sinistro alle stelle.
Mazzarri applaude fiducioso, sente il profumo dell’impresa come lo squalo il sangue a chilometri di distanza. Minuto 46. Primo dei quattro di recupero. Calcio di punizione molto defilato sulla destra. La palla spiove in area arretrata, a pochi passi dal limite dell’area di rigore. Lavezzi raccoglie il pallone sulla sinistra. Finta il destro e sterza con una giocata da urlo sul mancino, per poi calciare con quanta più potenza possibile in area piccola. Maggio, uno degli uomini simbolo di Walter Mazzarri e della rinascita partenopea, appoggia in rete il più facile dei palloni. È 2-1 Napoli.
È iniziata la rivoluzione di Walter Mazzarri.
Con Mazzarri si torna a battere la Juve a Torino
In fila, dopo questo successo, arriveranno la vittoria a Firenze, l’incredibile 2-2 in rimonta contro il Milan e la storica vittoria a Torino contro la Juventus per 3-2. Anche qui in rimonta. Non c’è niente da fare. Il Napoli di Mazzarri o vince stupendo tutti o niente.
Nel 2-2 contro il Milan i partenopei vanno sotto di due reti dopo appena cinque minuti (Inzaghi, Pato). A sei dal termine, quando il Milan sembrava controllare senza problemi (soprattutto per merito di Dida) l’incontro, Abate viene espulso e il San Paolo inizia a crederci. 2-1 di Cigarini con un mancino incredibile da fuori area al volo, imparabile anche per il monumentale Dida di quella sera. Poi, a pochi secondi dal termine, El Tanque Denis, uno dei tanti sudamericani rilanciati o fatti esplodere da Mazzarri, svetta di testa incrociando sul palo opposto, senza lasciare scampo all’estremo difensore brasiliano. La partita di Torino merita invece un piccolo paragrafo a parte.
È il 31 ottobre del 2009. Halloween, signori. Dolcetto o scherzetto, quella roba lì. Bene. Dopo 54’, il Napoli è sotto di due reti a zero. Prima Trezeguet e poi Giovinco su regalo di Contini. Notate bene questo dettaglio: quella rosa è una delle più mediocri del Napoli da quando è tornato in Serie A. Il vero fuoriclasse è Walter Mazzarri. Che dopo il 2-0, anziché girarsi dall’altra parte, rimane fermo in piedi davanti alla sua panchina, chiama a sé Hamsik e gli dice: «Marek, la vinciamo noi. Vincila per noi».
Minuto 58. “Dragonball” Datolo scende sulla sinistra e scaglia un traversone tagliente come il coltello nel burro caldo. La difesa della Juventus si scioglie e Hamsik, proprio lui, col piattone destro, decide finalmente di iniziare la propria partita. 2-1.
Passano appena sei minuti. Da corner, una mischia furibonda si forma davanti a Buffon che non riesce a spazzare. Spunta la gamba di Datolo, Dragonball, con la sfera magica a piazzarla in rete. 2-2. Auriemma, commentatore di fede partenopea, si lascia andare una prima volta: «è tornata la giostra della felicità, salite tutti! È gratis. Si chiama Napoli».
Ancora non può immaginare quello che sta per succedere. Minuto 81. Altra discesa poderosa di Datolo, palla in mezzo malamente spazzata dalla difesa juventina. In realtà è un assist per l’accorrente Hamsik, che arriva come un treno e la scaglia sotto l’incrocio dei pali. Incredibile a Torino, 2-3. E Auriemma lì diventa storico: «Vogliamo morire qui, seppelliteci qui».
Mazzarri e l’epoca Cavani: il ritorno tre le “grandi”
Il Napoli di Mazzarri arriverà sesto in classifica, sopra la Juventus.
Dopo aver vinto l’andata a Torino, vincerà infatti anche 3-1 al San Paolo, ancora una volta in rimonta e con tanto di rigore sbagliato da Hamsik – che si rifarà pochi minuti dopo per il momentaneo 1-1, tramutato in 2-1 e 3-1 da Quagliarella e Lavezzi. Sesto posto, che significa Europa League. Che vuol dire rinascita. Ma anche un addio, quello di Quagliarella nel mercato estivo – per motivi che si sapranno solo molti anni più tardi.
Non va male comunque al Napoli. Che perde sì il suo miglior attaccante, ma ne prende uno che diventerà il migliore al mondo: Edison Cavani. È il più grande colpo dell’era De Laurentiis. Hattrick alla Juventus alla prima stagione. 78 reti in Serie A su 104 partite. In sole tre stagioni, quando lascerà per approdare a Parigi. Oltre ai quattro gol segnati al Dnipro, e la tripletta alla Juventus, memorabile il suo gol al Lecce a tempo scaduto e la tripletta alla Lazio dell’ex Edy Reja nella stagione 2010/2011, col Napoli qualificato in Champions League.
Mazzarri è stato il miglior interprete italiano del 3-4-3. Perfetto per il contropiede, capace di attendere le squadre avversarie, soprattutto quando davvero forti, e di colpirle nella ripartenza.
Un 3-4-3 che si trasforma in 4-5-1 per una squadra protrattile, capace di uscire fuori quando l’aria è quella giusta. Un catenaccio 2.0. Che in Europa frutterà grandi risultati.
Il punto più alto sarà toccato contro il Chelsea di Di Matteo, che il Napoli supera al San Paolo con uno straordinario 3-1, per poi perdere il ritorno 4-1. Anche in quella doppia sfida, gli interpreti fondamentali del gioco di Mazzarri sono i due esterni.
Uno è naturalmente esterno, Lavezzi. L’altro è adattato, e alle volte non è facile dire con certezza se non giochi come trequartista: Marechiaro Hamsik. Davanti Cavani, che con Mazzarri vivrà il miglior momento della sua carriera. Semplicemente inarrestabile.
Sugli esterni Zuniga e Maggio danno sostanza e qualità, a centrocampo l’acquisto di Gargano, Cigarini come Inler, portano equilibrio. Dietro, la difesa a tre non schiera affatto fenomeni. Ma da Aronica a Paolo Cannavaro, da Campagnaro a Morgan De Sanctis, sono loro i grandi artefici del ciclo vincente di Walter Mazzarri. Senza difesa non esiste attacco.
Alla seconda stagione col Napoli Mazzarri ottiene il pass per la Champions dopo essere arrivato terzo dietro le due milanesi in Serie A. In Europa League, verrà sconfitto prematuramente dal Villarreal.
Era un Napoli appena avvezzo alla tripla competizione. Le cose andranno diversamente nel 2011/2012. L’acquisto di Inler con tanto di presentazione mascherata, il clima euforico da Castel Volturno, testimoniano una febbre calcistica che non si avvertiva a Napoli da parecchio tempo.
Gli azzurri incontrano il Manchester City degli sceicchi al girone. È la prima partecipazione per i citizens, ed è anche la prima partecipazione per il Napoli. Di sempre da quando è cambiata la formula della massima competizione europea per club.
Il punteggio? 2-1 con doppietta di Cavani, da sogno. A testimonianza del fatto che le idee e l’intelligenza tattica possono molto più dei soldi e dei giocatori strapagati. Una lezione tutta toscana che Mazzarri ha insegnato a Napoli con ardore magistrale.
Nella stessa annata il Napoli vince la Coppa Italia contro la Juventus di Conte. È il primo storico successo dallo scudetto di Maradona del 1990. Arriva il quinto posto, ma poco importa. I tifosi, che potevano solo sognare traguardi simili dopo l’addio di Donadoni, appena due anni dopo iniziano a leccarsi i baffi.
E a ragione. Lavezzi lascia il Napoli per andare a Parigi, così Mazzarri anziché intervenire sul mercato in quel ruolo decide di dare fiducia a quello che diventerà il futuro capitano: Lorenzo Insigne, reduce dalla splendida esperienza di Pescara.
L’ultima stagione di Mazzarri mostra ancora una volta un Napoli bipolare, capace di finire secondo in campionato ma di prendere cinque sonori schiaffi contro il Viktoria Plzen in EL, o di perdere contro un Bologna privo di titolari in Coppa Italia. Anche in questo caso, comunque, pazzo chi si ricorda di queste cadute.
Perché molte furono con Mazzarri le glorie. Se oggi il Napoli è in pianta stabile una delle grandi del nostro calcio, lo deve soprattutto a quegli anni lì.
Lo deve senza dubbio a De Laurentiis, Bigon, Hamsik, Lavezzi, Cavani e via discorrendo.
Ma in primo luogo a Walter Mazzari, l’uomo della rinascita partenopea.