La multiproprietà nel calcio è una questione che sta diventando quasi un classico delle polemiche pallonare del nostro paese. Una situazione che andrebbe sanata definitivamente ma che, come spesso accade, risente di soluzioni ponte che poi non trovano sbocco in una normativa chiara.
Cosa dice la regola sulla multiproprietà nel calcio
La regola della FIFA sulle Multiproprietà o MCO (= Multi-Club Ownership), condivisa dal nostro calcio, prevede l’impossibilità per una stessa società (nel nome di uno o più soggetti) di possedere due o più squadre facenti parte della stessa competizione.
L’articolo 5 del Regulations of the UEFA Champions League va a menzionare questa eventualità: “nessun club che partecipa ad una competizione UEFA per club può direttamente o indirettamente detenere o negoziare titoli o azioni di qualsiasi altro club che vi partecipi. Un membro di una Società che partecipa alle competizioni UEFA per club non può essere allo stesso tempo coinvolto a qualsiasi titolo nella gestione, amministrazione o prestazione di qualsiasi altro club”.
E il caso RedBull? Non si sono infatti già incontrate (dal 2018 in poi) Salisburgo e Lipsia, entrambe società detenute dalla RedBull? Secondo la Camera Investigativa dell’Organo UEFA di Controllo Finanziario dei Club, la relazione tra Red Bull e Salisburgo/Lipsia, in seguito alle modifiche, è diventata una relazione di sponsorizzazione standard, stabilendo così che non è stato violato l’articolo 5.
La proroga e la durata
Capitolo Italia. Il 30 settembre 2021 era arrivato lo stop, il 28 luglio 2022 – giorno nel quale è stata determinata l’attuale regola – la proroga.
Nel calcio italiano si potrà essere proprietari di due diverse società professionistiche almeno fino al 2028. In questo senso, resta ovviamente immutato l’impianto normativo dell’art. 16 delle Noif per i club partecipanti allo stesso campionato con l’obbligo di immediata dismissione di una delle due società (la norma transitoria, fino al 28 luglio scorso fissata alla stagione 2024/25, è stata dunque prolungata di ben quattro stagioni).
Hanno così potuto festeggiare soprattutto i De Laurentiis, detentori del Napoli e del Bari (dal 2018, quando la società pugliese era stata dichiarata fallita) che oggi si gioca il primato in Serie A – eventualità che costringerebbe De Laurentiis alla cessione di uno dei due club, come accaduto con Claudio Lotito dopo la promozione in Serie A della Salernitana.
I casi di multiproprietà calcistica del passato
In Italia abbiamo già citato De Laurentiis e Lotito (che ha acquisito la Salernitana del 2011), ma è stato l’imprenditore friulano Pozzo l’apripista internazionale al sistema delle MCO: oltre all’Udinese, storica società della famiglia, Pozzo ha infatti espanso la sua rete (insieme commerciale e di scouting, aspetto quest’ultimo non secondario per lo sviluppo e la crescita dei giocatori nonché per l’ammortamento dei prezzi dei cartellini) in Spagna (Granada) e Watford (Inghilterra).
Dagli anni 10 del 2000 il caso Red Bull è diventato sempre più presente nel dibattito calcistico internazionale – fino a quando le due squadre si sono affrontate in Europa, non senza qualche imbarazzo da parte della UEFA. Il colosso statunitense detiene al momento in Germania il Lipsia, in Austria il Salisburgo, New York e Bragança Paulista: il sistema creato dalla Red Bull è chiaramente scorretto a livello di calciomercato e gestione dei calciatori – che passano da un club all’altro senza troppi problemi fiscali e con grandi vantaggi sul bilancio dei club – ma permette anche di evidenziare una grave falla nelle normative internazionali: queste infatti non prevedono come scritto ad inizio articolo il divieto di multiproprietà commerciali (a livello quindi di sponsorizzazioni).
Luca Pastore a Rivista Undici: “La presenza nel calcio di Red Bull ha una valenza puramente commerciale. Esserci serve a promuovere il nome del brand industriale nel mondo”.
Qualcosa di simile alla Red Bull ha provato a fare il fondo statunitense RedBird col Milan – in co-acquisizione, però, con Elliott Management Corporation.
Ma il vero colosso MCO in questo momento nel mondo è quello del City Football Group, una holding che ha partecipazioni in sette club nel mondo: il Manchester City in Inghilterra, il New York City negli Stati Uniti, il Melbourne City in Australia, lo Yokohama Marinos in Giappone, il Club Atlético Torque in Uruguay, il Girona in Spagna e – dalla scorsa estate – il Palermo in Italia. Per l’87% la proprietà appartiene ad Abu Dhabi United Group – con a capo lo sceicco Mansour, già gran-visir dei Citizens. Il restante 13% è di China Media Capitali, public company con sede a Shangai.
Altri celebri casi di multiproprietà passate e presenti sono la Suning (che fino al 2021 possedeva sia Inter che Jiangsu), il New York Cosmos di Rocco Commisso (proprietario Fiorentina), la famiglia reale qatariota con PSG e vari club minori in Austria Spagna e Belgio, il Red Star 777 Partners che da qualche mese controlla anche il Genoa (oltre ai già posseduti Standard Liegi e Vasco da Gama, peraltro senza grandi risultati in tutti e tre i casi).
Prima ancora, negli anni Novanta, la Parmalat di Calisto Tanzi proprietario del Parma sponsorizzava i brasiliani del Palmeiras, che in quegli anni vinse due campionati e una Copa Libertadores – ciò che portò a diversi scambi tra i due club, celebre quello di Asprilla.
Possibili scenari futuri
C’è un dato in particolare che può fare da vaticinio: nel 2017, quando l’UEFA si sforzò di rendicontare le multiproprietà nel calcio, eravamo a 26 club europei appartenenti a MCO. Quattro anni dopo, la cifra cresceva sensibilmente arrivando a 56. La rivista World Soccer addirittura ne conta 117, divisi in 45 gruppi e riguardanti 37 diversi paesi.
Va notato come mentre in passato (i casi di Tanzi e Pozzo, italiani, aiutano in questo senso a capire) l’idea delle multiproprietà (reali, come nel caso di Pozzo, o travestite, cioè via sponsor, come per Tanzi) era volta sempre e comunque al lato sportivo (= calciomercato), solo poi se possibile a quello economico.
Oggi sembra accadere il contrario. Le multiproprietà stanno crescendo a macchia d’olio proprio perché il calcio è un settore in continua crescita (a livello internazionale, è chiaro), e sempre più mani vogliono una fetta della torta. Non solo: ma grandi costi richiedono grandi gestioni economiche, e più mani risultano spesso non solo utili ma essenziali.
Il punto rimane commerciale: insediarsi nel posto giusto è fondamentale tanto quanto far crescere una squadra col minimo sforzo economico, magari contando appunto sulla rete di club creati internamente.
Secondo molti esperti, l’India e il Brasile soprattutto sono sempre più le mete privilegiate delle MCO, che in questi luoghi con uno sforzo economico ridotto possono ottenere grandissimi vantaggi – sportivi ed economici, appunto, nonché commerciali.