Viviamo nell’epoca dei petroldollari applicati al vecchio e caro football.
Ci siamo talmente dentro che se il City di Pep Guardiola – meglio, di al-Mubarak – spende più di un miliardo di euro in sei anni, per noi la questione – squisitamente economica – si riduce a quella sportiva.
Che differenza fa, per uno con i suoi soldi e la sua disponibilità finanziaria, se arriva un Haaland per appena 60 milioni di euro? Grealish è l’acquisto più costoso della storia dei citizens? Non importa, l’importante è che segni e giochi bene.
Dentro quest’epoca, dicevamo, l’oggetto è ridotto a oggetto del consumo, ma nel 1982 la concezione del Mondo non era ancora quella presente. Lo spirito ancora aleggiava sopra le acque – pardon, la materia.
Quel Francia-Kuwait al Mundial ’82
Prima di tutto, maestro, qualche coordinata. La sceneggiatura è delle più succulente: Mundial 1982, quello che tanto per intenderci culminerà col trionfo degli azzurri di Bearzot per la terza stella della nostra storia.
Il palcoscenico, però, non riguarda una partita dell’Italia. Al José Zorrilla di Valladolid, 21 giugno 1982, si gioca Francia-Kuwait. Dopo la sconfitta nel match d’esordio contro l’Inghilterra, les Blues hanno l’obbligo di vincere per tenere vive le chances di qualificazione al turno successivo.
L’avversario fa sorridere, ma pochi giorni prima aveva fatto piangere la Cecoslovacchia (pareggio) terza classificata agli Europei di due anni prima. Il clima già teso è ulteriormente tirato da questioni di gossip: è infatti divenuta pubblica la relazione extra-coniugale tra Christelle e il mediano Jean-François Larios – quest’ultimo, dopo l’esordio, non vedrà più il campo fino alla fine del Mondiale.
L’incontro col Kuwait, comunque, rispecchia i favori del pronostico. Platini gioca una partita sontuosa, disegnando calcio. La sua Francia va avanti di tre reti, per poi addormentarsi in pieno spirito regale e concedendo il gol della bandiera al Kuwait.
Mancano dieci minuti alla fine quando Platini imbecca Alain Giresse con un delicato quanto impressionante mezzo esterno destro, capace di recidere in due la difesa kuwaitiana. L’arbitro sovietico Stupar prende in mano il cartellino, segna il marcatore – Giresse appunto – e indica il centrocampo.
Poi, il caos.
L’intervento dall’alto
Dalle tribune del piccolo stadio – appena 20.000 posti – si odono le grida e i febbrili gesti del membro del CIO e presidente della Federazione kuwaitiana Al-Sabah.
Tutti, compresi i giocatori, si girano in direzione della tribuna e notano tra il serio e il faceto l’ampia gestualità del braccio destro del kuwaitiano.
C’è poco da interpretare: Al-Sabah vuole il ritiro della squadra dal campo. A tutti i costi, al punto da arrivare in un attimo a bordo campo.
La Guardia Civil che dovrebbe impedire tutto questo si apre come la difesa del Kuwait pochi istanti prima, concedendo al ricco sceicco kuwaitiano un imbarazzante pasillo de onor.
Il ct francese Hidalgo è furibondo e cerca di avvicinarsi per capire cosa stia succedendo, ma il teatro dell’incontro mondiale si è appena trasformato in quello di Orwell in 1984.
Seguono sei minuti di autentica follia.
Al-Sabah parla fitto fitto con l’arbitro Stupar, spiegandogli – chissà come – che la difesa del Kuwait non è intervenuta a causa di un fischio proveniente dagli spalti.
Il gol non è valido, dice lui. La cosa che sorprende tutti, però, è un’altra: l’arbitro gli dà ragione.
Giresse è infuriato, Platini confuso, lo stadio si rende conto di vivere un momento storico. Nessuno si rende conto che Al-Sabah, scendendo in campo, porta con sé una valigetta che dà alla scena un tocco di lovecraftiana surrealtà.
La partita terminerà 4-1 dopo la ripresa del gioco (gol di Bossis), e l’arbitro Stupar non vedrà più il campo.
Il Kuwait perderà quella come l’ultima partita del girone contro gli inglesi. In seguito al conflitto con l’Iraq, Al-Sabah morirà otto anni dopo. Ma pochi si ricorderanno di lui per questo.