Discusso, incerto, d’impaccio, ma infine ai nastri di partenza: il Mondiale – più unico che raro – che si terrà in Qatar dal 20 novembre è pronto ad iniziare.
Trentadue nazionali, centinaia di giocatori, decine di campioni e migliaia di storie da raccontare pre-, durante e post- rassegna. Possibilmente con una favorita sopra le altre, una cenerentola, le possibili sorprese e quelle che potrebbero fallire già al girone. Siete pronti al nostro power ranking mondiale?
- Francia.
È senza dubbio la squadra da battere, non solo a livello teorico – essendo detentrice dell’ultimo mondiale, disputato nel 2018 – ma pratico, si direbbe calcistico, di campo. Lo stop di Nkunku – che dice addio alla rassegna prima di iniziarla – fa quasi sorridere a dare una rapida occhiata al resto della rosa (semplicemente spaventosa). Eppure, Deschamps – alla guida dei galletti da dieci anni– è sotto osservazione dopo un europeo tutt’altro che memorabile.
Forse è per questo che l’allenatore transalpino ha deciso di portare con sé solo 10 dei 23 campioni del mondo di quattro anni fa. Si passerà al 3-4-1-2 nel segno del duo Mbappé-Benzema, il nuovo (già antico) che fa epoca e il vecchio (eppure nuovo) che ne chiude un’altra. - Inghilterra.
Dio stramaledica gli inglesi! È una frase celebre anche dalle parti di Sua Maestà il Re, soprattutto da quando Southgate siede sulla panchina dei Tre Leoni. Un europeo disputato brillantemente ma perso in finale contro l’Italia è stato l’inizio di un calvario tecnico, tattico e di risultati (si pensi alla Nations League) di non poco conto.
Le esclusioni di alcuni uomini – su tutti Smalling e Tomori – hanno poi fatto discutere quei malandrini della stampa inglese, sempre pronti a far polemiche (qui forse giustificate). All’Inghilterra non manca nulla sotto il profilo della qualità, e questo è il primo mondiale della storia che si giocherà d’inverno, stagione ideale agli inglesi visti i ritmi della Premier. Puntiamo un gallone su Harry Kane miglior marcatore, e magari sull’Inghilterra finalista. - Brasile.
Tutti conoscono i calciatori convocati da Tite, nessuno sa che il vero nome dell’allenatore è Adenor Leonardo Bacchi: il che a nostro avviso la dice lunga sul Brasile versione Qatar 2022: una squadra forte, persino fortissima, almeno nei singoli. Allenata bene, a dire il vero: ma mai davvero solida a livello di competizioni ufficiali, dove manca all’appello da un po’ – parlando del mondiale, dal 2002.
In Brasile vi diranno che è l’anno verdeoro, ed è pure quello del verdeoro per eccellenza, insieme mascotte e superstar del mondiale (qatariota, si badi bene): Neymar Jr, il cui milionario acquisto al PSG di qualche anno fa non era altro che il preludio a questa manifestazione. Non entriamo però nel terreno della (geo)politica, rimaniamo su quello della mistica(lcistica). Il Brasile c’è sempre. - Argentina.
A differenza del Brasile, l’Argentina ha una rosa più debole ma uno spirito più pronto (direbbe San Paolo, così caro alla nazione verdeoro).
Scaloni l’ha guidata al successo continentale con serietà e dedizione, mettendo al centro della scena quel Messi (anche lui di reggia parigina) sul quale i tifosi puntano ancora una volta per la realizzazione finale di una carriera che lo meriterebbe. In caso contrario, date retta al bisturi della Storia, che recide senza pietà anche i miti più luminosi. - Portogallo.
È una delle squadre più forti dell’intero mondiale. Non solo nell’undici, ma ancor più nei 26. Insieme alla Francia, da questo punto di vista, il Portogallo fa un mondiale a parte. Poi però subentra il gioco – solido sì, ma ancora poco intuitivo – e la magna quaestio Cristiano Ronaldo.
Convocato da Fernando Santos, il fuoriclasse con la 7 è una mina vagante dello spogliatoio, che non lo rispetta più come un tempo (le immagini del saluto con Bruno Fernandes parlano chiarissimo). Se il gossip rimarrà fuori dalla room portoghese, ne vedremo delle belle. Ma in un mondiale così chiacchierato, ne dubitiamo fortemente. - Spagna.
Luis Enrique è uomo degli eccessi. Non può concepire il silenzio insieme al rumore, né i singoli insieme al gruppo: forse è per questo che ha escluso – di nuovo – Sergio Ramos (all’ultimo mondiale?) dalla rosa dei 26 convocati.
O forse, più semplicemente, l’allenatore ex Barcellona ha fatto un ragionamento: puntare sulla enorme qualità del suo centrocampo-attacco per sopperire a evidenti lacune difensive (insieme tattiche, tecniche e mentali). La Spagna vive di eccessi come il proprio allenatore, e pur essendo una delle squadre più forti del mondiale il suo percorso è quasi impronosticabile. - Belgio.
Un giorno la Storia del Calcio dovrà interrogarsi sullo strano fenomeno – tipo Jeunesse dorée versione futbolista – della “generazione anni 90” dei fenomeni belgi. Tutti fortissimi, da De Bruyne a Lukaku, da Hazard a Courtois, nei rispettivi club, meno quando si tratta di unirsi (identitariamente) in una competizione per nazionali.
È il solito parco giochi, più adatto al biglietto singolo che alla tournée integrale, o Roberto Martinez ha infine trovato la quadra? Campo canta. - Germania.
La Germania è come un lupo che esce nella notte. Pericoloso, ma guardingo. Affamato, ma stanco. Hansi Flick è il vero volto nuovo, sebbene alcuni elementi della rosa non fossero presenti all’ultimo europeo.
Parliamo di un allenatore troppo intelligente per fare figure barbine, ma la sua rosa – in crescita – non è ancora al livello delle grandissime. Comunque, un consiglio: non andate a dirlo a Muller e Neuer, potrebbero arrabbiarsi e trasformarsi in lupi mannari. - Danimarca.
La Danimarca non è venuta in Qatar per giochicchiare, ma per stupire – ripetendo se possibile il risultato della semifinale nel 2021 all’Europeo. La rosa è forte, giovane e ben allenata. Il campo potrebbe riservare grandi sorprese, magari a tinte biancorosse. - Olanda.
Assente a Russia 2018, gli Oranje potrebbero essere una delle grandi sorprese del torneo insieme alla Serbia. Parliamo di una nazionale allenata da un pazzo-geniale come Van Gaal, al canto del cigno su panchina. Comunque vada, appenderà al chiodo le proprie brillanti idee tattiche dopo il mondiale. Intanto però vuole stupire tutti, e come rosa può farlo davvero. - Serbia.
Qualcuno un giorno ha detto che i serbi sono i brasiliani dei Balcani, definendo come meglio non si potrebbe un’etnia calcistica tutta particolare. Forte, in parte mostruosamente forte (Sergej, Vlahovic, Kostic, Mitrovic vi dicono qualcosa?), ma lunatica – come appunto i brasiliani, talmente forti da essere sentimentalmente imprevedibili.
Con una differenza rispetto al passato: che il calcio globalizzante del 2022 ha in parte attutito queste romanticherie legate alla cultura dei popoli. E allora occhio alla Serbia: senza ironia, occhio per davvero. - Croazia.
Deve riprendere quello che ha lasciato per strada all’ultimo europeo, ma parliamo di una squadra estremamente malinconica, ancora legata ad un passato glorioso.
Soprattutto se quel passato è presente nei nomi più luminosi dei suoi singoli, come Luka Modric. A livello di rosa, recuperato anche Brozovic, la Croazia può essere una mina vagante. Ma conterà tanto altro: e non è poco. - Svizzera.
Una squadra che conosciamo molto bene, ahinoi. E che conosce bene il calcio mondiale, visti gli ottimi risultati degli ultimi vent’anni. La Svizzera vive una condizione ideale per una squadra di calcio: è forte ma nessuno ci crede. E questo può rappresentare un grosso vantaggio a lungo andare. - Uruguay.
È pura nostalgia. Ma è anche rinnovamento. È ancora Oscar Washington Tabarez, ma è anche Diego Alonso: è Suarez ma è soprattutto Valverde. È insieme passato e futuro: tocca vedere al presente cosa è. Ma per un popolo che vive l’Utopia come un orizzonte, niente è davvero scritto. - Polonia.
Squadra solida, con tre individualità di livello (Szczesny, Zielinski e Lewandowski) e un undici nel complesso presentabile. Difficile però pronosticare qualcosa in più del passaggio ai gironi: Lewa, sorta di Hercules polacco, sa bene che a calcio non si gioca uno (facciamo tre) contro undici. - Messico.
A differenza dell’ultima storica rassegna, quando la Tricolor riuscì ad eliminare la Germania dai mondiali, la fiducia intorno al Tata Martino si è leggermente appannata. Eppure, guai a sottovalutare l’orgoglio del popolo messicano, che nei suoi giocatori ha capipopolo più abili giocolieri del pallone. - Ecuador.
È riuscita a passare il girone di ferro del Sudamerica per qualificarsi al mondiale, e vuole dimostrare al mondo intero la bontà dell’impresa – macchiata come noto dal caso di errata nazionalità di Byron Castillo, una storiaccia risolta con tre punti di penalizzazione da scontare alle qualificazioni dei mondiali del 2026 e 100mila franchi di multa. Non il miglior clima, dunque, per iniziare il mondiale. Non che a quelle latitudini, comunque, non siano abituati alle difficoltà. - Senegal.
È la nazionale campione in carica della Coppa d’Africa. Il che però paradossalmente potrebbe frenare una rosa davvero molto forte – più delle sopracitate, almeno fino alla posizione 14 – già sazia del successo continentale. Soprattutto, l’assenza di Mané al match d’esordio potrebbe pesare e non poco. Parte sfavorita, ma nel caso in cui dovesse passare il girone potrebbe essere la cenerentola del torneo. - Galles.
Ha tre giocatori più forti degli altri, e in questo assomiglia alla Polonia. Più dei polacchi ha dalla sua la motivazione di rivivere un mondiale dopo 64 anni. Non può bastare, certo; ma forse non conoscete la lingua e le leggende gaeliche, pronte ad essere rispolverate per Qatar 2022. - Canada.
Potrebbe essere una delle sorprese. John Herdman, il tecnico dei canadesi, è un maniaco del controllo, una sorta di Pep Guardiola della partita secca, preparatissimo sugli avversari, studioso certosino e medievale. Se ci aggiungete che il Canada ha alcuni elementi davvero molto interessanti in rosa, capirete che il mondiale dei nordamericani è tutt’altro che scritto. - Costa Rica.
Maledetti gli inglesi, dicevamo, ma pure i costaricani! Nazionale per noi beffarda, e isolata dal mondo noto. Ogni quattro anni la Costa Rica ricompare sulla geografia del calcio mondiale, e nessuno sa mai come ci sia finita. Intanto però la nazionale è forte, solida e con una tradizione importante.
Il suo punto forte è la panchina: Luis Fernando Suarez è un allenatore estremamente pratico, abile stregone nel rendere impossibile il gioco agli avversari, e nel trasformare i suoi ragazzi in killer di pronostici scritti. - Camerun.
Aspettiamo il Camerun da Italia 90. Quali novità? Onana, Ebosse, Hongla e Zambo Anguissa, per gradire il menù offerto proprio dal nostro campionato.
Eto’o, neo-presidente della Federazione, lo scorso settembre ha parlato di «obiettivo finalissima». Noi ci ridiamo, forse però non dovremmo: quando una nazionale si mette in testa qualcosa, possono nascere cose incredibili. Soprattutto se il suo nomignolo rimanda al regno dei Leoni. - Marocco.
Più che una nazionale africana, è europea: per lo spirito, il gioco e i giocatori. Il suo tecnico, Hoalid Regragui, è cresciuto calcisticamente in Francia e pensa il calcio alla francese. In difesa il Marocco ha giocatori importanti (Mazraoui, Hakimi), a centrocampo pure (Amrabat, Ziyech), in attacco può sorprendere (Sabiri e Boufal). Manca però di un portiere affidabile, non esattamente un dettaglio in competizioni così brevi e concentrate come questa. - Stati Uniti.
Torna al mondiale, come l’Olanda, dopo lo stop in Russia nel 2018. Nel frattempo ha cresciuto nel proprio giardino alcuni talentissimi come Reyna, Musah e Pulisic. Tutti molto bravi, tutti forse troppo giovani. È un banco di prova, ma è anche un mondiale ambiguo e diverso dagli altri. Impossible is nothing. - Giappone.
Da sempre squadra creativa ma estremamente vulnerabile in difesa, oggi il Giappone vive una stagione al rovescio rispetto alla propria tradizione calcistica: è debole davanti ma è fortissima dietro. Mishima ne sarebbe orgoglioso: forse però non basta per far bene a un mondiale. - Ghana.
La vera novità nel Ghana è rappresentata dal suo allenatore Otto Addo, autoctono dopo tanta scuola franco-tedesca. Il CT dovrà essere bravo nel motivare e legare insieme un gruppo giovane di potenziali stelle (Kudus, quel fenomeno di Inaki Williams, Gyasi). Tra le africane, è quella che parte un po’ più dietro: potrebbe essere un vantaggio. - Iran.
Dell’Iran si parlerà sempre come nazione maledetta, al pari del Qatar e dell’Arabia Saudita, per la questione sui diritti civili e umani del Paese. Peccato, perché a livello calcistico questa squadra può regalare, come già fatto agli ultimi mondiali, parecchie sorprese. - Tunisia.
Squadra davvero indecifrabile con un obiettivo storico: passare per la prima volta nella sua storia i gironi del Mondiale. - Australia.
Non è più quell’Australia dei Cahill, ma sarebbe strano il contrario. Difficile aspettarsi grandi cose da questa nazionale, arrivata al mondiale al fotofinish. - Corea del Sud.
Con Son in campo sarebbe stata una squadra da osservare con attenzione, anche perché dietro c’è quel soldato di Kim, e davanti ci sono Lee Jae-Sung (Mainz) e Lee Kang-In (Mallorca). Molto se non tutto dipenderà dalle condizioni della stella del Tottenham. - Qatar.
Occhio a sottovalutare la nazionale ospitante. Non parliamo certo di una cenerentola, ma il lavoro che il Qatar come Paese ha fatto nel calcio negli ultimi dieci anni è impressionante. Quasi nessun giocatore qatariota è nato in Qatar, e questo è un grosso vantaggio per la nazionale. - Arabia Saudita.
È la nazionale fanalino di coda. Vittima sacrificale nel gruppo C, può contare sulla vicinanza geografica della sede del mondiale. Poco altro, servirà un miracolo – la fede in Allah può tutto, nevvero?