Il 26° successo per 1-0 della Juventus nell’era Allegri-bis non è stato come gli altri. Il risultato arrivato a tempo scaduto contro il Verona è stato sofferto ma fortissimamente cercato, oltre ad aver detto qualcosa sulle potenzialità della squadra nell’immediato futuro. E, tra queste potenzialità, c’è un Moise Kean che appare finalmente sulla via della maturazione.
Allegri, il Gran Mogol degli 1-0
Se c’è un aspetto in cui Massimiliano Allegri e la Juventus sono sempre apparsi sulla stessa lunghezza d’onda, è la “religione” del risultato. Alla fine, il motivazionale “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” ha trovato nel tecnico livornese una sorta di gran sacerdote. Da quando è tornato alla guida della Vecchia Signora, però, molte cose sono cambiate. La Juventus non aveva più la squadra più forte del campionato per distacco, le sono venuti a mancare molti leader e infinite certezze, e questo ha ammantato di sofferenza sportiva quasi ogni partita, che fosse con il Real Madrid o con l’Empoli. Ma andiamo a vedere il peso che ha avuto l’1-0 nella Juventus dell’Allegri-bis.
Da quando il tecnico livornese è tornato a Torino, ovvero da due stagioni e uno spicciolo, la Juventus ha vinto 65 partite. Di queste, 26 sono state portate a casa per 1-0. Si tratta del 40% del totale, una percentuale incredibilmente alta. Si pensi che la Roma di Mourinho, altro allenatore iper-pragmatico che ha vinto in carriera anche più partite di Allegri con lo scarto minimo, nello stesso periodo ha vinto per 1-0 19 volte su 62, pari al 30,6%.
Juve-Verona, non chiamatelo corto muso
Senza entrare nel logoro dibattito tra giochisti e risultatisti, è chiaro che non tutti gli 1-0 sono uguali. A volte, questo risultato, la Juve lo ha raggiunto con svogliatezza, talora con fortuna, talaltra con una supremazia un po’ ingessata, spesso con determinazione. Quest’ultima è forse la vera qualità in cui tutti i tifosi juventini, che siano allegriani, anti-allegriani o non interessati a referendum su “acciughina”, si possono identificare. Ecco, osservandolo sotto questa luce, l’1-0 al Verona di sabato sera è stato il più autenticamente juventino da molto tempo a questa parte, forse il primo da quando Massimiliano Allegri è tornato sulla panchina della Juventus.
30 conclusioni contro 7 e una ricerca caparbia del gol lungo tutto l’arco della partita, seppure con manovra non sempre limpida ed esteticamente rivedibile, ma anche una dimostrazione di carattere e resilienza. Questo ultimo aspetto demarca una netta differenza dalla Juve un po’ troppo fragile dell’ultimo paio di stagioni. I due gol annullati e le diverse situazioni che potevano far pensare a un destino avverso, avrebbero probabilmente tramortito quella Juve amorfa e priva di reali certezze che andava galleggiando, anche da prima che le vicende giudiziarie influenzassero il rendimento sul campo.
Oltretutto privi di un leader spirituale come Danilo, i bianconeri sono riusciti a non perdere mai lucidità e stimoli, aggredendo in lungo e in largo un avversario che invero non ha mai neanche provato a vincere la partita, ma fino al minuto 95 non la stava neanche perdendo. Le 56 palle recuperato contro 39 sono un dato eloquente, ma forse lo sono ancora di più i 12 dribbling riusciti contro 2. Sei di questi sono arrivati da Fabio Miretti, 3 da Moise Kean. Entrambi si sono resi autori di una performance di alto livello, ma sull’attaccante va aperta una parentesi.
Kean (finalmente) il guerriero
Raramente si ricorda un calciatore più contraddittorio e disorientante di lui. Primo “millennial” a esordire in Champions League, e sempre primo “2000” a segnare sia in Serie A che in Nazionale, Moise Kean ha già accumulato una storia calcistica molto lunga, purtroppo non solo in positivo. Ceduto all’Everton per far cassa, sacrificato per poter pagare la cambiale-CR7, Moise si era un po’ perso. Poi è tornato a mostrare le sue potenzialità in un altro calderone disfunzionale come il PSG, quindi l’Everton lo ha rispedito alla Juve, in prestito con un obbligo di riscatto carissimo. Alzi la mano chi non ha storto il naso quando, lo scorso 1 luglio, la Juventus ha dovuto pagare i 30 milioni previsti per il suo riscatto all’Everton. Sì, perché negli ultimi anni avevamo smarrito la definizione di Moise Kean, e probabilmente l’aveva dimenticata anche lui. A 23 anni, il ragazzo sembrava prigioniero di fantasmi ed etichette non proprio entusiastiche, come quella di possibile nuovo Balotelli. Era in un limbo, e forse lo è ancora, ma sabato ci ha dimostrato di avere forse trovato una via di uscita.
Già contro il Milan era stato decisivo, provocando l’espulsione di Thiaw e con altre ottime giocate in un’ora scarsa di impiego. Contro il Verona è arrivata la conferma di un periodo di forma strepitoso. Parliamo di forma psico-fisica, perché Moise sta bene e si vede, ma sembra credere molto più di prima in quello che fa. La sua fisicità, abbinata a una tecnica comunque fuori dal comune per la stazza, lo rendono un attaccante moderno e difficilmente arginabile, quando in serata. Sabato sera, Moise Kean ha giocato una partita di grandissima concretezza, ma soprattutto rimanendo concentrato fino alla fine. Questa connessione con la partita è il game-changer per un giocatore come lui, i cui “in” e “out” hanno finora disegnato una prima parte di carriera da incompiuto.
Se davvero questo è il vero Kean che vedremo da ora in avanti, per quale ragione al mondo la Juve non dovrebbe costruire la squadra anche intorno a lui?
La Juve Kean-centrica?
Non è viaggiare con la fantasia dopo un paio di ottime performance, è solo un ragionare sulla possibilità che la Juventus si ritrovi di nuovo tra le mani un tesoro che sembrava perduto. Moise Kean ha ancora margini di miglioramento enormi, come pulizia tecnica, come capacità di lettura delle partite, ma anche quella di limitare gli eccessi caratteriali. Tecnicamente è una prima punta che può fare anche la seconda punta e l’esterno, è dunque in possesso dei requisiti minimi per considerarsi un attaccante moderno. I suoi strappi, uniti a quelli di Chiesa, possono fare danni incalcolabili a quasi tutte le difese. Volendo, sa anche sacrificarsi in copertura e, anzi, un Kean più maturo potrebbe regalarsi e regalarci anche questa dimensione, incanalando una generosità che è già evidente ma un po’ anarchica. Se poi Allegri riuscirà a farlo ulteriormente migliorare nell’aiuto alla squadra e nelle scelte di passaggio, allora costruirgli una squadra intorno potrebbe non essere più una episodica suggestione. Non parliamo di un fuoriclasse, ma se davvero Moise riesce a limare certi difetti e diventare il giocatore per il suo reale potenziale, la Juve e la Nazionale non potranno che beneficiarne.