C’è un lungo elenco di sprechi nel calcio italiano. È quasi pari a un numero meno visibile, eppure visceralmente legato alle stesse storie: è la somma dei presidenti delusi dalle loro stesse intuizioni. Ora: non è che fosse così difficile perdere la testa per Claudio Borghi, il “Picasso del Calcio”, almeno secondo Michel Platini.
L’ex juventino l’aveva incontrato sul suo cammino verso la Coppa Intercontinentale: avevano vinto i bianconeri contro l’Argentinos Juniors, squadra capitanata proprio da Borghi.
Era una storia già scritta. Una stella già pronta a brillare nel firmamento del calcio europeo. Ma chi avrebbe goduto delle sue gesta? Silvio Berlusconi. Fresco di acquisto dei rossoneri e in perenne campagna elettorale per promuovere il suo operato da presidente del club rossonero.
Un passo indietro
Torniamo però al 1985. O meglio: al motivo per il quale era così facile innamorarsi di Claudio Borghi.
L’argentino aveva addirittura esordito nel 1982, ad appena 18 anni (classe 1964), ma è la sua storia a surclassare il suo talento, sebbene sia incredibile.
Borghi aveva infatti perso il padre dopo poco tempo e per sfamare la sua famiglia provvedeva con lavori di fortuna, giocando a calcio di sera, con gli amici, dopo aver messo da parte qualche soldo.
Ebbene: nelle strade di Castelar, uno scout lo segnala all’Argentinos Juniors. Che lo vede, lo provina, gli dà subito una maglia delle giovanili e lo fa crescere fino al giorno del debutto. Inizia attaccante, finirà per arretrare e diventare un regista offensivo. Crea gioco. Fornisce assist meravigliosi.
Borghi è stato a lungo famoso in Argentina in virtù del suo rapporto con la “rabona“. Non un giochetto fine a se stesso, ma una vera e propria invenzione per mascherare un grosso problema: Borghi era tutto destro, ma come lo sono i mancini. Poca forza e poca precisione nel piede debole: il guizzo gli veniva ben più facilmente con quel tipo di movimento lì.
La non-esperienza al Milan
Con un bagagliaio del genere, serviva piazzare un bagaglio di esperienze niente male.
Così, nel 1987, non ha neanche un misero dubbio sull’approdo in Italia. Berlusconi l’aveva visto proprio contro la Juventus, nel 1985: se n’era innamorato e, appena sbarcato a Milano, l’aveva preso dall’Argentinos per 3,5 miliardi di lire.
Sottovalutando un problema decisamente ingombrante: all’epoca era permesso avere solo due stranieri in Serie A. E i rossoneri avevano già gli olandesi Gullit e Van Basten.
Borghi non poteva giocare nel Milan, non prendendo il posto di due fuoriclasse assoluti. Per questo motivo, i rossoneri decidono di prestarlo al Como: vogliono farlo crescere, lasciarlo ambientare nel calcio italiano.
Andrà malissimo: 7 presenze, nessun gol. Guizzi sparsi, ma poca incisività. Talento vero, però ingabbiato dal tatticismo estremo della Serie A. Nonostante ciò, per Berlusconi è un problema di passaggio: vuole dare una chance al suo pupillo, vuole che Borghi illumini l’attacco del Milan proprio come faceva all’Argentinos Juniors. Alla fine? Tutto tra le mani di Sacchi.
Ecco: è ormai risaputo il carattere dell’ex CT. E soprattutto quanto sia stato un tutt’uno con i suoi principi di gioco, che prevedevano qualità e movimenti, più importante di qualsiasi traino del singolo.
Borghi era l’anti-Sacchi: anarchico e pigro, meraviglioso ma solista. Di tutta risposta, Berlusconi chiese e ottenne di avere uno straniero in più, regola poi estesa all’intero campionato. Di ulteriore risposta, Sacchi fece il nome di Rijkaard e portò a tre il numero degli olandesi al Milan. Fu la sua fortuna.
E l’inizio del declino di Borghi: arrivato prima della flotta Orange, eppure già rispedito in Sudamerica. Neanche un minuto in rossonero, ma un cuore innamorato sì: quello di Silvio Berlusconi.