Okay, dopo l’introduzione dei ricordi di Pippo Inzaghi, da qui procediamo step dopo step. Perché il racconto merita di farsi immagine. E perché quel Milan-Ajax del 23 aprile di 18 anni fa ha necessità di un racconto con background incorporato.
Siamo a Milano, sì. E siamo al ritorno dei quarti di finale di Champions League. Il Milan di Carlo Ancelotti deve rispondere allo scialbo 0-0 dell’andata sul campo dell’Ajax. Non c’erano stati guizzi, non c’erano state sentenze. C’era un gran silenzio attorno all’ambizione di questa squadra, che in campionato zoppicava e che vedeva il treno Champions come ultimo appiglio di una squadra importante e pronta a farsi straordinaria. Al Meazza, c’era solo un risultato: davanti a sé, la ghiotta chance della semifinale da disputare a Milano, a prescindere. Avrebbero trovato l’Inter. Sarebbe stata storia.
La partita
Altro preambolo necessario: quella partita che sembrava così scontata, non lo era neanche per un briciolo. Il motivo stava tutto nelle assenze, da sempre portatrici di cattive notizie in ottica Champions League. Ancelotti doveva fare a meno di Andrea Pirlo, Rino Gattuso e Clarence Seedorf. Di fatto, i titolarissimi, gli uomini ai quali aggrapparsi nei momenti topici. Era rimasto solo Massimo Ambrosini, con un purosangue come Brocchi. A rimpinguare l’albero di Natale, ecco Kakha Kaladze. Per il resto, tutto confermato: Simic con Maldini, Nesta e Costacurta. Rui Costa a inventare per Inzaghi e Sheva.
Pronti, via e… Pippo. Sempre Pippo. Alla mezz’ora è già Inzaghi a infiammare i tifosi: bravo di testa a battere Lobont proprio su cross di Shevchenko. L’Ajax è tramortito, ma dura un attimo. Al 18′ della ripresa, Litmanen sfodera un colpo di sciabola e taglia in due le speranze rossonere. Che hanno tempo di ribaltare. Anzi: lo fanno subito, dopo appena due minuti. Inzaghi per Sheva nel remake al contrario del primo gol: stavolta è l’ucraino a battere l’Ajax, sempre di testa. Due a uno, sembra fatta ed è una sensazione che durerà quasi per un quarto d’ora.
Carletto non ha di fatto la forza di cambiare. In panchina ci sarebbero Rivaldo e Tomasson, non due qualsiasi, ma il tecnico si fa tentare dalla buona tenuta del gruppo e resta fedele alle sue scelte. Al 33′ del secondo tempo, quando la partita si fa più dura e frammentata, un guizzo di Pienaar gela San Siro. Dida è battuto e l’Ajax si chiude a riccio sul 2-2 che le darebbe il passaggio del turno. L’euro-derby rischia di sfumare su un tocco di un australiano, robe che neanche un romanzo di formazione potrebbe rendere così atroci.
L’ultimo guizzo
Il Milan ha 10 minuti più recupero per riversare il suo talento in attacco. Ha 10 minuti per riscrivere la storia e per dare ossigeno a questa stagione, che rischia di implodere sotto i colpi della delusione. Mentre il quarto uomo è pronto ad alzare il tabellone del recupero, Massimo Ambrosini guarda lo spiovente di Maldini e stacca di testa verso Pippo Inzaghi. La palla ha i giri giusti e l’arroganza perfetta: Inzaghi deve solo toccarla a modo suo, meravigliosamente feroce e violentemente delicato. Un colpo secco, lob, ed è gol. Pippo corre ovunque e il Milan lo fa in direzione semifinale di Champions League.
Ah, per una volta la favola non ha morale ma una beffa: il tocco finale sarebbe di Tomasson, che infatti finisce sul taccuino dei marcatori. Il gol resterà però per sempre di Inzaghi. “Io ho visto il pallone andare in porta e sul momento ho esultato. Rivedendo l’azione, se un guardalinee non è bravo può pure alzare la bandierina e annullare il gol. Quell’anno abbiamo vinto la Champions League”. Cosa insegna quel match? Che le partite, nel calcio e nella vita, non finiscono mai davvero.