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Forse non forte come quella argentina, ma un’ipotetica squadra di brasiliani passati per la Serie A, i migliori Undici per l’esattezza, ci si avvicina notevolmente. Gli manca, per cominciare – e pure per finire – quel Dieci che merita la maiuscola per la qualità globale della sua carriera, distribuita su un buon decennio di calcio ad altissimi livelli, la cui massima espressione rimane in ogni caso quella vissuta a Napoli: parliamo di Maradona naturalmente.

Il Brasile versione Serie A, ad ogni modo, assomiglia ai colori della corrispettiva albiceleste almeno per un dato, quasi ontologico: la qualità dei suoi interpreti, la meraviglia insita nel bel calcio dei suoi undici giocatori titolari.

Certo, è stata dura. Schierare una formazione (con annessa panchina) e per forza di cose costringersi a privazioni incredibili è un colpo al cuore di noi appassionati. Ma una scelta, anzi undici, andava fatta. Così, su due piedi, quant’era bravo quel genio di Leonardo? Eppure non c’è. Quanto forte è stato il profeta Hernanes? Eppure, non c’è neanche lui. Ci sarà Emerson, come vedremo. Ma togliere Ederson non è stata una sciocchezza. Andiamo a vedere nel dettaglio, allora, l’undici dei migliori giocatori brasiliani orbitati in Serie A.

Portiere: Julio Cesar

Il suo modo di difendere tra i pali è stato unico: la qualità di alcune sue parate persino inimitabile. Coi piedi, è stato uno dei primissimi interpreti del ruolo a costruire da dietro la prima manovra della sua squadra.

Nell’Inter del Triplete, e in quella immediatamente precedente, si è dimostrato l’arma in più nelle notti che contavano. Difficile scegliere tra lui e Dida, che di Champions ne ha vinte addirittura due. Ma per peso specifico all’interno del gruppo e delle vittorie, vince Julio.

Esterno destro: Cafù

Pendolino. Gomma da masticare. Due lampi di puri ricordi, sin dai tempi di Roma e poi verso Milano, anche lui parte fondamentale di un gruppo che resterà per sempre nella storia del calcio. Corsa e difesa, ma soprattutto costanza: palla in banca, con Cafù. Ma pure divertimento assicurato – meno per i suoi avversari, tipo Nedved in un celebre derby vinto dai giallorossi.

Centrale: Thiago Silva

Forte ovunque abbia giocato, dimostrando una costanza che dice tantissimo anche del carattere del giocatore, Thiago Silva è un nome imprescindibile nella nostra lista.

Capitano di mille avventure, e pure di qualche sventura. Ha mancato per un pelo il Milan degli irresistibili di Ancelotti, piazzandosi come promessa mantenuta di solidità e talento. Il dolore dei rossoneri, al suo addio forzato per motivi ovviamente economici, racconta tutta l’eredità che ha lasciato Thiago. Chi oggi guida la difesa rossonera, subisce un paragone quasi doloroso: tra Silva e Nesta, quel Milan era un muro insormontabile.

Centrale: Lucio

Anche lui prototipo di un nuovo modo di difendere la porta: non arretrandovi ma attaccandola, ripartendo alla prima occasione utile.

Cavallo pazzo. Qualcuno racconta che al Bayern Monaco avesse facilità di multa: non per problemi fuori dal campo, semmai per questioni legate al centro… campo. Ogni volta che lo superava palla al piede, il suo allenatore dell’epoca s’infuriava e sbraitava. Ma non lo toglieva mai, perché Lucio era grinta e perseveranza. E corsa, sì. A perdifiato. Un triplete con l’Inter in Italia, poi sei mesi alla Juve di cui si è immediatamente pentito.

Esterno sinistro: R. Carlos

Qualcuno potrebbe contestare questa scelta. Chi lo facesse, non ricorderebbe evidentemente che razza di giocatore è stato Roberto Carlos, anche solo per un anno, con la maglia dell’Inter.

Roberto Carlos è stato semplicemente il terzino più forte degli ultimi trent’anni, forse l’unico a giocarsela, ma alla lontana, è Marcelo. Un altro, escluso dalla nostra lista, è Maicon. Corsa e costanza, ma soprattutto quel mancino potente e raffinato allo stesso tempo. Una meraviglia. Coi nerazzurri gioca una stagione sola, la 95/96, ricca di sprint velocissimi e missili scagliati verso i portieri avversari. All’inizio con Ottavio Bianchi tutto bene, poi arriva Hodgson per cui il brasiliano è troppo “attaccante” e troppo poco difensore. Clamorosa topica di mercato dell’Inter che su indicazione del tecnico britannico (che gli preferisce Pistone!) lo spedisce al Real Madrid nell’affare che porta Zamorano in nerazzurro.

Regista: Falcao

A Roma ancora gli rimproverano di essersi tirato indietro nel momento più importante, ad un palmo dalla Coppa dalle grandi orecchie contro il Liverpool.

Noi però ricordiamo il resto. Tutto il resto. Falcao è stato uno dei centrocampisti più forti e completi di tutti i tempi. Cresciuto nell’Internacional, si consacra alla Roma, dove i tifosi perdono completamente la testa per lui: lo chiamano l’Ottavo Re, come prima di lui Amedeo Amadei, subito dopo Francesco Totti. Guida di uno dei Brasile più forti di ogni epoca, ha vinto meno di quanto il suo talento avrebbe meritato.

Centrale centrocampo: Emerson

Fabio Capello se ne innamorò perdutamente. Lo volle alla Roma, lo pretese alla Juventus. Il motivo è presto detto: Emerson sapeva cambiare drasticamente il volto alle squadre in cui giocava. L’ha fatto anche al Real Madrid, successivamente al Milan. Una carriera stellare per un giocatore sì di qualità, ma soprattutto di sostanza. Non mancava mai, se non per cause di forza maggiore.

Trequartista sinistro: Ronaldinho

Qui bisognerebbe arrestarsi un momento in religiosa contemplazione, in stupefatto silenzio. Con Ronaldinho infatti entriamo in una regione quasi astrale, oscura. Il suo nome non è quasi mai associato ai top tre della storia, e il perché ci è ignoto.

Pallone d’Oro, Champions, primo assistente di Lionel Messi, che lo ringrazierà per sempre. El Gaucho è stato semplicemente un calciatore differente. Giocate differenti, pensieri differenti, ambizione differente. Ha tenuto duro, mentalmente, finché ha potuto: al suo arrivo a Milano, va detto che il viale del tramonto era già ben imboccato. Eppure Berlusconi non si preoccupò più di tanto: l’aveva inseguito a lungo, riuscì a goderselo finché Dinho ne ebbe. E ne aveva cnora.

Trequartista centrale: Zico

Arrivato ad Udine in seguito ad una sorte di sommovimento popolare – O Zico o l’Istria! –, in un’epoca che vide un numero spropositato di colpi dall’estero – si pensi ad un altro brasiliano come Socrates, alla Fiorentina –, O Galinho, il galletto, scrisse un pezzo di storia italiana con l’Udinese. Un giocatore totale da 750 partite ufficiali e 516 gol nel carretto. 826 reti se invece contiamo anche le partite non ufficiali. Un paio di stagioni in bianconero, dal 1983 al 1985. 39 gettoni e 22 gol. Ma, al di là dei freddi numeri, uno spettacolo costante per i propri tifosi.

Trequartista destro: Kaka

Anche i tifosi del Milan, quando la cessione di Kakà al City sembrava cosa fatta, si opposero sollevandosi in massa.

Un mare di gente e un fiume di ammirazione, per quel brasiliano arrivato giovanissimo in una squadra di campioni e che pian piano ne era diventato il leader tecnico ed emotivo. Dopo l’addio necessario (andò al Real Madrid nello stesso anno di Benzema e CR7), il ritorno di cuore. Pochi scampoli del vero Kakà bastarono a far rivivere il mito. Che rimane indelebile nella storia del club rossonero.

Centravanti: Ronaldo

Il Fenomeno. Quello vero. Probabilmente il più forte attaccante di sempre, di certo della sua generazione (di altri fenomeni). Arriva in Europa grazie al PSV, poi al Barcellona, quindi all’Inter per la consacrazione definitiva, con una prima stagione da marziano. Arrivò solo una Coppa Uefa in cinque stagioni, ma il numero di giocate, di gol, di emozioni è stato semplicemente incalcolabile. Un dolore, la cessione al Real. Ancor più forte, quello dei continui infortuni che l’hanno persino limitato nella sua grandezza.