Ci ha impiegato 16 anni Lionel Messi ad alzare un pesante trofeo con la maglia dell’Argentina. Tanti anni, troppi per un monumento del calcio.
L’erede di Diego Armando Maradona, assieme ai suoi compagni, ha messo fine ad un digiuno quasi grottesco. E non poteva che finire la maledizione contro il Brasile e in casa dei nemici di sempre, nella finale di Copa America. Insomma miglior modo non poteva esserci per la “Pulguita Atomica” per prendersi un trofeo anche con la camiseta dell’Albiceleste.
Se il tabù cade per Messi, figuriamoci per la selezione argentina che dal 1993 non vinceva un trofeo: guarda caso sempre in Copa America. Tantissimi anni di bocconi amari mandati giù per una squadra che dall’addio di Maradona ha sempre dato la sensazione di essere una bella incompiuta.
In certi casi scelte folli dei CT, in altre giocatori non all’altezza e infine, un pizzico di sfortuna che ci ha messo lo zampino. Stesso discorso per Messi: fenomenale e vincente con il Barcellona, certe volte l’ombra di se stesso con la nazionale. Anche lui ha pagato lo scotto, ma cerchiamo di vedere più a fondo, cosa non è andato nell’era di Messi con la truppa albiceleste, almeno fino alla scorsa notte.
Messi e Diego: classe infinita, ma caratteri opposti
Il più grande errore è stato quello di paragonare costantemente Messi a Diego Armando Maradona. Soprattutto in nazionale. Tecnicamente il ragazzo di Rosario è davvero l’unico degno di essere accostato al “Pibe de Oro”, ma caratterialmente sono due persone diverse. Troppo diverse per azzardare paragoni a livello di leadership.
Lo dice la storia dei due giocatori. Leo nato in una famiglia normale: né ricca e nemmeno povera. Partito alla volta di Barcellona ad appena 12 anni, ha vissuto gran parte della sua vita all’ombra del Camp Nou diventando ben presto la stella del Barcellona. Ragazzo taciturno (forse anche troppo per uno che è capitano), introverso e poco avvezzo ai discorsi. Tutto l’opposto di Diego che da bambino ha patito la fame nel suo Barrio, con il fango come pavimento quando la pioggia invadeva la baracca dove viveva con i genitori e i tantissimi fratelli.
Già da qui si capisce che le storie non sono simili. Diego è sempre stato un combattente, perché la vita ben presto lo ha portato a fare scelte, a mettersi in gioco e a lottare per emergere. Leo ha fatto un percorso a sua volta speciale, ma in una vita di un normale ragazzo della sua età. Difficilmente Messi lo vedrete arringare oltre modo il suo pubblico. Maradona invece oltre che ad incendiare le folle, aizzava i compagni alla battaglia per la loro gente, come in quel famoso Argentina – Inghilterra del 1986: il calcio come sfogo per la guerra persa alle Malvinas contro i britannici.
Insomma, due poli opposti caratterialmente parlando, ma immensamente grandi. L’errore però è stato quello di paragonare due personalità e due stili differenti.
L’errore del troppo tatticismo
Molti CT che si sono succeduti negli anni sulla panchina Albiceleste hanno commesso l’errore di imporre il loro credo tattico a Messi. Non che la stella del Barcellona sia anarchico in questo senso. Anzi, come dimostra l’era Guardiola al Barcellona, Messi da falso nueve ha aperto un nuovo mondo nella tattica del calcio moderno. Ma allo stesso tempo, confinare il ragazzo di Rosario in un determinato ruolo e solo in quello alla lunga non ha giovato a nessuno.
Messi è uno dei pochi al mondo che non deve avere una collocazione precisa. È quel fenomeno a cui ogni allenatore dovrebbe dire: “Vai in campo, divertiti, gioca come e dove vuoi”. Perché la classe e la genialità vanno ben oltre ogni dogma tattico. Lo sa bene lo stesso Guardiola che capì di avere uno fuori dal comune nel suo Barcellona. Poteva partire da falso nueve, oppure sulla trequarti e ancora come attaccante esterno.
Ma erano ruoli “volanti” per Messi che svariava sul fronte di attacco e che aggrediva lo spazio, salvo poi farsi dare palla e pennellare giocate su giocate, oltre alle reti. In nazionale no invece: l’ego di alcuni allenatori, il credo tattico di alcuni CT alla fine hanno prevalso sulla poesia in movimento di Lionel Messi. Danneggiando lui e il resto della squadra. Messi non ha bisogno di ordini, ma solo di giocare come vuole. Perché quelli come lui (che sono pochissimi al mondo) fanno cose che gli altri nemmeno pensano.
Giocatori non all’altezza
Rispetto agli anni ottanta e agli anni novanta, non c’è stato nella nazionale argentina quel ricambio di giocatori per puntare al colpo grosso. Da Maradona, Caniggia, Batistuta, Crespo e altri ancora, il livello nel corso del tempo si è abbassato. L’ultima grande Argentina, seppur senza Diego, l’abbiamo vista a Francia 98‘. L’eliminazione patita nei quarti contro l’Olanda ha aperto una sorta di buco nero.
Nel 2002 una truppa ormai “anziana” ha mollato ben presto nel mondiale nipponico, mentre le finali di Copa America del 2004 e del 2007 erano sempre sfuggite in finale contro il Brasile. Nella prima Messi ancora non era nel giro della nazionale maggiore, ma ci sarà tre anni dopo nel canto del cigno verde oro. 3-0 per i brasiliani, con Ronaldinho che oscura Messi. Quella notte in molti alzarono dei dubbi sulle qualità carismatiche di Lionel. In tanti però lo difesero asserendo che la personalità di un 20enne non può bastare da sola.
Ci sono delle verità in questa ultima affermazione. Spesso Messi si è trovato a predicare nel deserto: sia per compagni non altezza e sia per le famose scelte di alcuni CT che nelle convocazioni avevano spesso azzardato esclusioni eccellenti. Lo stesso Maradona da CT argentino nel 2010 aveva quasi portato la nazionale ad una mancata qualificazione del mondiale sudafricano, per poi essere salvato dall’eterno Martin Palermo al 92′ sotto il diluvio del Monumental contro il Perù.
Il 2014 poteva essere l’anno della svolta per Messi e i suoi connazionali. Non una squadra di grandi fenomeni, ma sicuramente più quadrata rispetto agli ultimi 15 anni. Partito a fare spenti, il ragazzo di Rosario prese per mano la squadra fino a raggiungere la finale contro la Germania che in semifinale aveva spazzato via il Brasile per 7-1. Fu una finale molto spigolosa, l’ennesima rivincita tra le due truppe e decisa solo nei supplementari, con Messi ingabbiato da una marcatura asfissiante.
Da quella finale persa e giocata così e così da Messi, spesso si è parlato del ritiro dall’albicelste della stessa Pulga, ma alla fine il 10 di Rosario non ha mollato e seppur travolto spesso dalle critiche ha raggiunto il suo scopo. Vittoria in Brasile contro il Brasile nella finale di Copa America. A poco più di un anno dal mondiale in Qatar.
Forma non sempre al top
Nelle delusioni di Messi con l’Argetina spesso ha influito anche la sua forma, certe volte non al top. In diverse occasioni, acciaccato o addirittura infortunato i vari CT lo hanno schierato ugualmente. Perché Messi è Messi anche se a mezzo servizio, perché la presenza di Leo aiuta i compagni e intimorisce i rivali, perché un campione di questo calibro può sempre cambiare la storia anche con un solo pallone toccato e perché, anche gli sponsor fanno pressioni per vederlo sul rettangolo di gioco.
Eppure anche questo ha influito sul rendimento di Messi in nazionale. Quando il fisico non risponde a modo, anche la testa per quanto geniale rischia di partorire meno magie. Messi è uno che dal Barcellona è stato spesso “spolpato” nel minutaggio anche in match dove francamente bastavano i suoi compagni per portare a casa la singola vittoria.
Ma il Barcellona dal 2006 in poi è diventato un club che non può scegliere quale obiettivo tenere e quale mollare. Così si lotta su tutti fronti: Liga, Champions, Copa del Re e Supercopa, per oltre 50 match stagionali. Metteteci almeno 7-8 voli intercontinentali all’anno per raggiungere la selezione argentina e capirete che Messi per almeno 11 mesi non si ferma mai. Essendo i grandi eventi per le nazionali a fine stagione è chiaro che lo stesso Leo non possa arrivare al massimo della forma, ma casomai in riserva piena.
A maggior ragione a 34 anni Messi, con il club e la nazionale, deve valutare una gestione più certosina e meno dispendiosa.
Gli anni alla fine si sentono per tutti. Anche se sei l’erede di Diego e anche se sei il più forte giocatore al mondo. Chissà che la fine del tabù con l’Albiceleste non dia nuova linfa a Lionel Messi. In fondo il mondiale qatariota è quasi dietro l’angolo.