Ha cambiato le regole del centravanti e no, non poteva bastargli. Ha giocato in una delle squadre più forti di tutti i tempi e sì, doveva proseguire. Anche intraprendendo un’altra strada, restando però sempre fedele a se stesso. Maurizio Ganz, classe 1968, oggi è l’allenatore del Milan Femminile: alle spalle, una vita da idolo totale del milanismo.
Perché è una questione di sostanza, ma anche di apparenza: “E al Milan conta tantissimo. Io ho giocato con Maldini, Boban e Angelo Carbone, e nella loro scelta sono convinto che abbia contato l’aspetto umano e l’attaccamento ai colori”.
Un amore folle, quello con i rossoneri. Diventati famiglia, dai tempi da calciatore a quelli odierni, da insegnante in un calcio non esattamente ‘suo’. Sua mamma Franca fondò una squadra femminile: dal 1976 al 1984 girò le sagre del Friuli per sfidare gli altri comuni. Giocava in porta, la sorella era l’attaccante della squadra. Maurizio, piccolo, era il guardalinee.
El segna semper lü
Duecentosessanta presenze, settantasei reti in Serie A. Ganz ha vinto uno scudetto, una Coppa Italia, ha sfiorato per due anni consecutivi la Coppa Uefa, la prima nel 97′ quando trascina l’Inter alla finale a suon di gol e la seconda nel 98′ quando lascia la stessa Inter qualche mese prima del trionfo.
È stato per ben due volte capocannoniere: mai del massimo dal campionato, ma ha vinto la scarpetta d’oro della Serie B e poi sbalordì tutti in quell’Uefa col suo marchio. Non è stata una vita di solo Milan: è partito dalla Samp, ha giocato nel Monza, un anno al Parma, quindi l’Atalanta. I primi dieci anni della sua carriera li ha vissuti in provincia, perché Maurizio – un metro e settantaquattro per settanta chili – non era esattamente il puntazo richiesto dalle grandi squadre, affascinate dagli attaccanti alla Rossi prima e Schillaci poi, ma alla continua ricerca della sostanza di scontri e smanacciate.
Il boom arriva quando meno se l’aspetta, persino un sognatore come Maurizio. A ventidue anni, vince appunto la classifica marcatori in Serie B con il Brescia. Poi il passaggio all’arcirivale Atalanta: un campionato in A e uno in B, 37 gol in 76 presenze. Gli vale una chiamata dall’alto.
Quattro anni a Milano sono la consacrazione di un talento. E se per tanti il suo nome è visceralmente legato alla maglia rossonera, è con l’Inter che Ganz dimostra di essere un attaccante di livello internazionale.
I nerazzurri lo acquistano per 8 miliardi di lire nel 1995. Sono due anni di altissimo livello: il primo da 13 gol, il secondo da 11 reti. Soprattutto, Ganz diventa il ‘bello di Coppa’: in 16 partite europee, Maurizio arriva a segnare addirittura 10 gol. “El segna semper lu”, gridano dagli spalti. Segna sempre lui. E chi, sennò? Ecco, al limite Ronaldo il Fenomeno, che l’anno dopo l’exploit in Uefa di Ganz arrivò fino alla finale di Parigi, battendo la Lazio.
No, lì Ganz non si vide. Questo perché sei mesi prima aveva ricevuto la chiamata del Milan: è il gennaio del 1998, i tifosi nerazzurri sono sull’orlo di una contestazione. ‘Ganz non si tocca’, bar e strade milanesi non parlano d’altro: c’è il super accordo con i rossoneri, un miliardo e poco più con Moriero nell’affare. Maurizio è rossonero.
“Ho ricevuto tantissime chiamate dal dottor Galliani e Ariedo Braida, e così ho deciso di venire a giocare al Milan mentre ero sul pullman dell’Inter, una sera di una cena di Natale. È stata una scelta perfetta direi, la svolta della mia carriera”, racconterà in seguito.
La storia con il Milan
Pochi giorni dopo il trasferimento, Ganz sarà già in campo con la maglia del Milan. Guarda un po’ il caso: proprio contro l’Inter, in un Derby passato alla storia per il 5-0 rifilato dal Diavolo ai nerazzurri. Per l’attaccante friulano è un massacro di cori, striscioni, odio dagli spalti. Aveva tutti gli occhi puntati addosso: gli ex compagni lo guardavano come se fosse un traditore. Accerchiato, Ganz rispose con l’unica arma a sua disposizione: un mancino rasoterra e il 2-0 per il Milan. Poi arrivò la goleada. E l’esultanza fortissima sotto la curva.
Brescia e Atalanta prima, Inter e Milan poi. Non ha badato ai sentimenti, non così tanto, Maurizio Ganz.
In rossonero vincerà uno scudetto, quello sotto la guida di Zaccheroni: farà 5 gol in 20 partite, alcuni di questi decisivi per la vittoria sulla Lazio, come quello del 3-2 in una soffertissima vittoria contro la Sampdoria a San Siro, che se chiedete ai tifosi rossoneri è QUELLO il gol scudetto della stagione.
Nel gennaio del 2000, il prestito al Venezia, poi Atalanta, Fiorentina, Ancona e Modena. Fino al Lugano, nel 2006 gli ultimi dieci gol alla Pro Vercelli. Ogni stagione, almeno cinque gol segnati. Probabilmente, un unicum di cui andrà fiero. Fino alla fine.
Ecco, a proposito di unicità. Ventuno anni da professionista e tredici in panchina. Ganz ha allenato chiunque e ovunque: dai Beretti alle prime squadre, oggi la squadra femminile rossonera.
L’ha fatto anche in Svizzera, tanti chilometri tra andata e ritorno. Segno che, alla base della sua vita, inteso proprio come motore, ci sia una passione senza precedenti. “Mi incazzo uguale a prima, ma in chiave diversa. Il merito è delle ragazze, che mi hanno aiutato moltissimo a trovare le corde più giuste per questo ambiente”, ha raccontato del suo Milan Women.
Che sta provando a portare in alto, con un progetto serio e ben strutturato. “Dicono che sono pazzo, mi sono rivisto e hanno ragione: sono pazzo di questo sport. Io ho sempre esultato così, anche allenando i ragazzini, ma non ho mai mancato di rispetto a nessuno. Se perdo mi deprimo, se vinco esulto. È strano?”. No, per nulla.