L’Italia è un paese di tormentoni, oltre che di assetati di calcio. Non sorprende, dunque, che quando è trapelata la notizia che il CT dell’Italia Roberto Mancini ha convocato il 23enne argentino Mateo Retegui, il ragazzo sia immediatamente diventato trending topic un po’ ovunque. Se poi per caso dovesse segnare in una delle due partite di qualificazione agli europei, in particolare contro l’Inghilterra, scoppierebbe ufficialmente la Retegui-mania.
Cerchiamo di capire allora non solo chi è, ma di rispondere anche ad altre domande su Mateo Retegui: che caratteristiche ha, cosa può dare alla Nazionale, perché ha accettato la convocazione e che futuro può avere nel calcio.
Chi è Mateo Retegui e perché era convocabile dall’Italia
Mateo Retegui nasce a San Fernando, circa 30km da Buenos Aires, il 29 aprile del 1999. Suo padre è Carlos José Retegui detto “El Chapa” (da cui deriverà “Chapita”, il nickname di Mateo), ex giocatore professionista di hockey su prato nonché CT della nazionale argentina di hockey, sia maschile che femminile.
Sua madre, María De la Paz Grandoli, è a sua volta una ex giocatrice di hockey su prato ed è di origini siciliane da parte materna, precisamente da Canicattì. Di fatto, è la ragione per cui ne stiamo parlando tutti.
Mateo ha una sorella maggiore, Michaela, che a sua volta è giocatrice di hockey su prato e nazionale argentina, vincitrice della medaglia d’argento alle Olimpiadi di Tokyo, con il padre come CT.
Che attaccante è
1,86 per 80kg, Retegui è una prima punta classica, potente, un po’ alla Scamacca anche se fisicamente ricorda più un Belotti. Il collega di Tuttosport Roberto Colombo svela che a inizio carriera, quando era arrivato alle giovanili del Boca, Retegui giocava come centrocampista. Questo passato ha forse contribuito a renderlo un puntero moderno, capace di ragionare nell’interesse della squadra col sacrificio ma anche con sponde e movimenti.
Cosa ha Mateo Retegui che gli attaccanti italiani non hanno
Qualche giorno fa, è stato chiesto a Mancini le ragioni di questa convocazione. “Ha delle qualità che ci mancano”, ha risposto il CT. La risposta è ovviamente ammantata di diplomazia, e senza peli sulla lingua sarebbe stata: “Segna, cosa che da noi non fa più nessuno”.
In realtà la convocazione è arrivata anche per situazioni contingenti, ovvero infortunio di Gianluca Scamacca (da cui non si è ancora pienamente ripreso) e la condizione non affidabile di Andrea Belotti, ma non solo. La triste realtà è che produciamo sempre meno attaccanti di livello, problema questo che necessiterebbe di una trattazione a parte, ma che soprattutto ci mette a rischio per gli anni a seguire.
Fra i nostri giovani, Andrea Pinamonti ha mostrato già qualche limite forse più caratteriale che tecnico, Moise Kean ha grossi margini di miglioramento ma anche una tenuta mentale a dir poco rivedibile e il baby Lorenzo Colombo ha giocato ancora troppo poco a livello senior per averne un’idea precisa. Poi ci sono i vari Raspadori (al di là dell’infortunio) e Berardi che incarnano tipologie di giocatori offensivi molto valide, ma non sono prime punte.
Ecco allora la “pazza idea”: un giocatore giovane, possente e che ha dimostrato di avere dentro il sacro fuoco del gol. In sette partite del campionato argentino con il Club Atlético Tigre, Mateo Retegui ha segnato ben 6 gol. “El Chapita” però si era rivelato nella scorsa stagione della Primera División, di cui era stato capocannoniere con 19 gol in 27 partite. Al primo anno da titolare, va detto.
“Lo stavamo seguendo da tempo”, ha detto Mancini durante l’intervista citata, aggiungendo anche “pensavamo che non volesse venire, ma invece ha detto subito di sì e lo abbiamo convocato”. A questo punto la domanda nasce spontanea: Perché Mateo Retegui ha accettato?
Perché Mateo Retegui ha accettato la convocazione con l’Italia
Mettiamoci nei panni di Mateo Retegui. Hai 23 anni, un’età in cui molti calciatori devono ancora esplodere, ma sufficiente per individuare un fenomeno. E fenomeno Mateo non lo è. Questo non per deprecare le qualità del ragazzo, ma per capire bene cosa può passare per la testa di un giocatore forte ma che sa di non essere un predestinato, dunque deve costruirsi la miglior carriera possibile.
Tuttavia sei argentino, la Selección ha appena vinto il Mondiale e tu sei capocannoniere uscente del campionato del tuo paese. Perché mai dovresti accettare la corte di una nazione calcisticamente molto prestigiosa, ma che appare in una profonda crisi generazionale e di sistema?
Chi lo conosce descrive Retegui come un ragazzo sveglio, pronto, dunque avrà fatto almeno uno dei seguenti ragionamenti:
- Lionel Scaloni punta apertamente su 4 attaccanti: Lautaro Martinez, Julián Álvarez, Joaquín Correa e Giovanni Simeone. I quattro hanno età che vanno dai 23 anni di Álvarez ai 28 del “Tucu” ex Lazio ora all’Inter, uno su cui Retegui poteva pensare di fare la corsa. Per cosa, però? Per sperare di strappare una convocazione e diventare il quarto-quinto attaccante da zero minuti negli appuntamenti che contano?
- La geografia del calcio sta cambiando, ma una cosa non cambia: il paradiso del calcio professionistico è e rimarrà l’Europa. La maglia dell’Italia può rappresentare per Mateo Retegui una occasione straordinaria, un corridoio preferenziale per un approdo in qualche club del Vecchio Continente. Un approdo che magari avverrebbe comunque, ma per il quale il passaggio in maglia azzurra – specie se impreziosito da qualche bella prestazione – sarebbe un catalizzatore incredibile.
Nazionale e nazionalismi e ipocrisia
Teniamoci pronti, perché se c’è uno sport in cui l’italiano è sempre al top, quello è la “salita sul carro del vincitore”. Per cui se – come ci auguriamo tutti – Mateo Retegui andrà bene con la maglia dell’Italia saranno tutti a celebrarlo. Allo stesso modo, alla prima difficoltà ci sarà chi storcerà il naso: “eh ma gli oriundi”, “eh ma non è italiano”, eccetera.
Senza tornare sulle decine di oriundi che hanno vestito la maglia della nazionale, l’ultimo dei quali – Mauro German Camoranesi – ha contribuito a portarci la Coppa del Mondo, il problema di chi si pone certe questioni è la scarsa percezione del mondo in cui viviamo.
Ma non parlo di altri mondi, ma rimango nel calcio: la Francia è diventata una megapotenza calcistica grazie ai tantissimi calciatori originari di ex colonie, discorso che vale anche per l’Inghilterra. La Germania tornata sul tetto del mondo è la nazionale più multietnica che si ricordi e il calciatore più forte nella storia della Svezia è un croato-bosniaco. Questo non basterà per tappare la bocca ai soliti idioti, ma almeno gli si concede un ripassino.