Si può essere bandiera, leader, uomo di campo e appiglio anche a vent’anni. Si può esserlo anche a Napoli, così lontano da Banska Bystrica, città natale, e così diversa da quella Brescia che l’aveva cullato e gli aveva dato un sogno da adolescente.
Marek Hamsik, per sempre Marekiaro e rigorosamente con la ‘K’ nel mezzo, è stato il punto di partenza e d’arrivo di un periodo comunque magico per i colori azzurri. Una storia di risalita – arriva dopo il ritorno in A dei partenopei – e di sogni spezzati, lui che più di tutti ha patito l’addio allo scudetto prima e quello di Maurizio Sarri poi.
Non ne aveva più per stare a certi livelli? Chissà. Di sicuro anche al Trabzonspor, squadra in cui milita ora, non hanno avuto grossi dubbi a dargli un ruolo di primissimo ordine, di tanto in tanto già la fascia di capitano, persino un’occasione davanti alla difesa.
Dimenticavamo: lui nasce esterno offensivo, poi si rivela incursore, infine viene fuori la sua vera natura di regista. Non centrale, non arretrato, ma esterno. Dal centro-destra o sinistra, prende palla e inventa una giocata. E’ una dote primordiale. L’istinto di chi ha sempre avuto qualcosa in più.
L’erede di Pavel Nedved
Nonostante il nickname, Hamsik a Napoli non ha mai scelto di vivere di fianco al mare: ha preferito la comodità di quartieri vicini al centro d’allenamento, lui che più di tutti ha tenuto insieme più anime della squadra prima di Reja, quindi di Mazzarri, poi Benitez e infine di Maurizio Sarri.
Per ognuno di questi allenatori è stato fondamentale a suo modo. A partire proprio da Edi: De Laurentiis gli aveva regalato questo ragazzotto tutti nervi e corsa, 5 milioni e mezzo per strapparlo alla Sampdoria. Al suo fianco, il primo giorno, c’era pure il Pocho Lavezzi e soprattutto un chiaro numero di contestatori: per tanti non erano all’altezza, semplicemente perché non avevano poi questi nomi così altisonanti.
Eppure l’allora direttore tecnico Pierpaolo Marino aveva capito, percepito, fiutato: Marek, a soli 20 anni, si piazza interno sinistro nel 3-5-2 di Reja e segna subito in Coppa Italia, contro il Cesena. Un mese più tardi, alla terza di campionato, subito colpita la Sampdoria con tanto di boato del San Paolo.
A fine anno, diventerà il capocannoniere stagionale del club azzurro con 9 gol. E senza calciare i rigori. Da sconosciuto a promessa, mantenuta nell’arco di pochi mesi, parecchi attimi esaltanti. Nel 2008 è il miglior giovane del campionato italiano, anche se con Donadoni non è che giri tutto alla perfezione.
La svolta assumerà i tratti di un toscano passionale a appassionato, pronto a renderlo il perno di un centrocampo da notti esaltanti, quelle che torneranno a splendere sul San Paolo con il Napoli di Mazzarri.
La consacrazione? 31 ottobre del 2009: doppietta in casa della Juventus nella vittoria degli azzurri per 3-2. Walter, il Mago, Mazzarri l’aveva piazzato esattamente al fianco di Lavezzi alle spalle della prima punta.
Un 3-4-2-1 che esaltava inserimenti e proiezione offensiva di Marek, entrato nel cuore dei napoletani – e soprattutto per quella vittoria – che mancava all’appello da 21 anni.
A fine stagione, Pavel Nedved, che si sarebbe ritirato un anno dopo, non ebbe dubbi: “Lui è il mio erede. Per caratteristiche e modo di giocare, si avvicina a me”. Entrambi da quella parte di mondo, entrambi con il gol nel sangue e un passo deciso, di carisma.
Gli anni d’oro
Ma Marek non ha fatto ancora nulla. O meglio: ha già fatto tanto, perché per 3 stagioni di fila è il capocannoniere azzurro e questo era capitato solo a Maradona.
Però manca qualcosa, una vittoria, un cenno alla storia, una firma in calce di quanto vissuto e sudato. Nel 2010 ritorna la Champions League, nel settembre 2011 segna il gol contro il Villarreal e a fine stagione realizzerà un primo sogno: vincere la Coppa Italia. E farlo ai danni ancora della Juventus, nella serata d’addio al calcio italiano di Alessandro Del Piero.
Sono gli anni d’oro. Quelli in cui tutto sembra possibile, eppure l’egemonia della Juventus è appena iniziata. Il Napoli spesso, con la Roma, si fa diretta antagonista di una storia però incontrastabile.
Nel 2013, dopo Mazzarri, è il turno dell’internazionalizzazione data da Rafa Benitez. La sua idea di Hamsik: trequartista alle spalle della punta, 4-2-3-1 e azzurri iper offensivi. Arriverà un infortunio al piede che lo terrà lontano e sottotono, ma anche la gioia di ereditare un cimelio prezioso: la fascia di capitano, con Paolo Cannavaro ceduto al Sassuolo.
Da leader dichiarato (e conclamato), porterà a casa una delle vittorie più preziose: la Supercoppa italiana del 2014, vinta ai rigori dagli azzurri grazie alle parate di Rafael.
Con l’allenatore spagnolo non andrà poi così bene: perde inserimenti e perde gol. Come sempre, servirà un altro toscano a rimetterlo in piedi e a ridargli l’aurea di imbattibilità, la dimensione dell’ennesimo sogno.
Il decennio e Sarri
Quando siamo al decimo anno di Napoli, Marek si ritrova una nuvola di fumo di fianco alla panchina: semplicemente, Maurizio Sarri ha appena iniziato il suo corso.
E sul capitano conta. Conta tantissimo. Nel suo 4-3-3, Marek è ancora l’incursore di sinistra, è l’uomo che spariglia le carte e gli dà un elemento preziosissimo sulla trequarti, negli ultimi metri, a chiudere le azioni.
Non è un caso che nel match di Bologna nel febbraio 2017, lo slovacco porta a casa la prima tripletta della sua carriera. Non è un caso che il 23 dicembre dello stesso anno, nella stagione forse più bella, supera per reti Diego Maradona e il 6 maggio tocca quota 100 gol in Serie A.
E non è un caso che, nella partita di Champions League contro il Psg, superi persino Peppe Bruscolotti, storico capitano azzurro, per numero di presenze totali in azzurro: 520 partite e 121 reti.
Nessuno come lui. Almeno finché non è arrivato Mertens, quantomeno nella classifica di marcatori. Il 14 febbraio del 2019, Marek, ormai ai margini e un po’ provato dal suo lento calare, decide di tentare l’avventura nella Chinese Super League. Un anno dopo, lo stop per Covid. Due anni dopo, la risoluzione del contratto. Ha giocato al Goteborg e oggi e al Trabzonspor, ma il cuore sarà sempre azzurro. Come il mare. Come il Marekiaro.