Spesso, per non dire quasi sempre, l’eccellenza nasce da mosse fuori standard, da azioni inconsuete o che vanno contro tendenza. Nell’Italia del calcio, microcosmo in cui il connaturato campanilismo del nostro popolo ha sempre trovato piena espressione, il colpo di genio si originò nell’antitesi del campanilismo: una fusione. Andrea Doria e Sampierdarenese che, nell’immediato dopoguerra, si mettono insieme formando una squadra (prima che un brand) riconoscibile fin dal nome: SAMPDORIA.
Samp: la fusione che plasma un’icona
Chi è stato bambino negli anni ’70-80, non avendo il sovraccarico di stimoli e di attività possibili oggi, e non avendo nemmeno Wikipedia a soddisfare ogni micro-curiosità, doveva industriarsi a sognare guardando e riguardando, leggendo e rileggendo il poco materiale che aveva a disposizione.
Un classicone era l’album Panini, che leggevi e rileggevi, mandando a memoria ogni cosa dei tuoi calciatori preferiti, e anche dei meno preferiti: presenze e gol dell’anno tal dei tali, luogo di nascita e così via. Di quegli album Panini mandati, nella memoria di bambino alcuni dettagli rimanevano più impressi di altri.
Ad esempio la Sampdoria, per due ragioni: l’anno di nascita (1946) che la rendeva più fresca e vicina a te, e poi quella strana maglietta. Bella e strana, certo unica. Col tempo poi ti rendi conto che ciò non accadeva solo a te perché eri bambino e particolarmente sensibile a certi pattern, ma che era così per tutta Italia. Anzi, anche di più.
L’incoronazione di ESPN (e non solo)
Qualche anno fa, ESPN fece una sorta di sondaggio sulle divise di calcio più belle della storia.
Oltre 100 divise di vari campionati e di svariate annate messe in ordine e, indovinate un po’, al primo posto c’era lei: la maglia casalinga della Sampdoria 1991/92, quella con il primo e unico scudetto cucito sul petto.
Una maglia Asics, che alla fine riprendeva quanto sviluppato dallo sponsor tecnico precedente che era Kappa, con qualche piccola variazione. Uno scollo a V un po’ meno pronunciato e una vestibilità un pelo più ampia. E poi lo scudetto lì, all’altezza del petto, bellissimo anche perché unico, mica come Juve, Inter e Milan a cui capita ogni 2-3 anni.
Ma la vittoria di uno scudetto, seppure indimenticabile, non spiega il successo planetario di questi colori. Diverse squadre ne hanno tratto ispirazione, e il fascino del blucerchiato ha presto travalicato i confini del mondo-pallone.
Prima di tutto, però, cerchiamo di capire: cosa rende così iconica una divisa di calcio? Un mix di elementi, a partire dalla fusione di cui si parlava prima.
Sampdoria: i segreti di una divisa bellissima
Il set cromatico: perché la maglia della Samp ha quei colori
Le due società da cui ebbe origine la Sampdoria avevano colori sociali che non potevano essere meno compatibili: bianco-blu l’Andrea Doria, rosso-nera la Sampierdarenese. Nella nuova società trovarono posto tutti e 4 i colori, le cui possibilità di accostamento erano e sono in realtà infinite, e da qui è nata anche la fortuna di una divisa così iconica.
Una dimostrazione pratica di quanto appena detto è la divisa da trasferta 1986/87, targata “Enneerre”. Una casacca bianca e attillata, con il classico scudo bianco con bordi blu e croce rossa in mezzo, e sulla destra una fascia verticale la stessa serie di colori (interno rosso-nero, esterni bianchi) della divisa classica, con due strisce esterne blu a completare l’impatto e al contempo ricordare il colore classico di fondo della divisa sampdoriana.
Una meraviglia, soprattutto indossata da campioni longilinei come Toninho Cerezo, un po’ meno dal Gianluca Vialli che proprio quell’anno iniziò a segnare a grappoli.
Sponsor e modelli che sfilano: da Chiorri, a Vialli, a Quagliarella
I “modelli” sono appunto un altro elemento, di natura squisitamente nostalgica, che rendono immortali alcune divise di calcio, insieme allo sponsor che a volte era compagno fisso, altre volte segnale di stagionalità. La Juve di Platini era Ariston, la Roma di Falcao Barilla, il Napoli di Maradona Mars o Buitoni, la Samp di Mancini e Vialli ERG.
Rimanendo sulla Samp e la sua singolare divisa di gioco, è naturale che se ne ricordino vari modelli indossati da calciatori simbolo di una certa epoca.
La Samp che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 si liberava gradualmente dall’abbonamento alla Serie B per mettere radici in A aveva una divisa pura, essendo al tempo vietati gli sponsor sulla maglia, dunque la banda orizzontale appariva ancora più grande insieme allo scudo, era la squadra che aveva in Alviero Chiorri la mezzala che poteva inventare la giocata in qualsiasi momento.
Quella arrembante di fine anni ’80 ha ovviamente nei gemelli del gol, Vialli-Mancini, le icone più rappresentative, insieme al calcio sempre elegante e dinoccolato di un pur anziano Cerezo.
Degli anni ’90, che sportivamente hanno significato un lento ma costante declino dalle vette toccate con scudetto e finale di Coppa Campioni nel 1992, rimangono impresse nella memoria altre divise molto belle, come la variante “all red”, presente in varie annate e indossate da diversi campioni recentemente scomparsi, e che contribuiscono a portare un filo di tristezza in questo articolo, come l’ultimo Vialli doriano e Sinisa Mihajlovic.
Si arriva ai giorni nostri, che coincidono con tempi durissimi per società e tifosi. Lo spettro della possibile retrocessione non è improvvisamente più il peggiore scenario possibile, visto il forte indebitamento e la brutta sensazione che ci sia ancora qualche brutto colpo di scena pronto. Nello scenario un po’ dimesso della Doria odierna, svetta il fresco quarantenne Fabio Quagliarella come simbolo estetico di uomo-franchigia, l’unico realmente degno di apparire con quei gloriosi colori.
Il Baciccia e la genovesità
Accanto al set cromatico, ai calciatori che l’anno indossata e allo sponsor, c’è l’altro fattore che ha reso unica la Sampdoria: il “Baciccia”. Quel simbolo stilizzato del popolano con la pipa in bocca, mai presente al centro della divisa ma sempre sulle maniche e nei loghi. Un simbolo unico perché sintesi felice e taciturna di tanta genovesità, ma dal fascino universale e infatti ripreso anche da contesti lontanissimi dal calcio.
Proprio la forte presenza di Genova nei colori e nei simboli (il Baciccia, i colori delle due società fondatrici, il blu del mare come sfondo), rende la divisa della Sampdoria così radicata alla propria terra, e al contempo dotata di canoni estetici perfetti per consacrarne l’universalità.
Questo fatto provoca da sempre una certa amara ironia nei rivali del Genoa, i cui tifosi usano l’appellativo “ciclisti” per definire la maglia doriana, a loro dire simile alle casacche un po’ pacchiane dei corridori. In questo nomignolo c’è però della simpatica quanto comprensibile invidia, per qualcosa che inesorabilmente connota i tuoi rivali e non te.