Una partita di calcio può emozionarci, può elettrizzarci, può annoiarci e intrattenerci. Solitamente, al termine di essa, puntiamo sempre con lo sguardo e la mente alla prossima partita, tenendo fede (seppur tacitamente) alle parole di Nick Hornby in Febbre a 90°: c’è sempre un’altra stagione. C’è sempre un’altra partita.
Alcune partite, però, si sganciano da quest’ottica, escono per così dire dagli schemi abituali, per elevarsi al di sopra della materia in un etere che, come uno strano gioco della nostra lingua suggerisce, già tiene in sé il sapore dell’eterno.
Lazio-Milan 4-4 è una di quelle partite. Quinta giornata di Serie A, stagione 1999/2000. È una serata di ottobre. L’Olimpico, gremito in ogni ordine di posto, accoglie i rivali rossoneri del Milan come se i diavoli, però, fossero quelli vestiti di bianco e celeste.
Una stagione da riscattare, uno Scudetto da riprendersi e una fame che aumenta al riempirsi dei seggiolini sugli spalti. Questa è l’atmosfera che annuncia una partita epica e ancora oggi memorabile, tra le più belle di sempre in Serie A.
E si può capire perché dando un rapido sguardo alle due formazioni.
Spesso il racconto di una partita è macchiato a priori dall’interpretazione di un singolo evento, di un singolo personaggio, di un singolo calciatore. Macchiato, in che senso? Che a partire da quel nome, e sappiamo tutti a quale nome qui si fa riferimento, si vede la partita, lo svolgersi della partita.
Ma per apprezzare davvero quell’evento chiamato Andriy Shevchenko è bene fare esattamente il contrario, cioè partire dai momenti salienti e apprezzare, in tutto il suo splendore, la rivelazione del talento ucraino, che quella sera si mostrò agli occhi del mondo come uno dei centravanti più forti della sua generazione – promesse mantenute, persino superate.
Minuto 17
Un lancio di Ambrosini per Sheva centra in pieno, poco dopo il centrocampo, la schiena del direttore di gara: il signor Bazzoli. Non c’è ancora la regola del ridare il pallone a chi ne era in possesso; la Lazio, semplicemente, ringrazia e riparte in contropiede.
Si ferma, però, e riparte da dietro, con un giro palla veloce e preciso. Un lungo lancio di Favalli pesca Boksic, che controlla come niente fosse su uno spiovente alto e velenoso, puntando Ayala.
Lo supera con una gran giocata per poi eludere con una finta di corpo il povero Costacurta, che per poco non si rompe un ginocchio rimanendo piantato sulle proprie suole. Il cross del croato pesca Conceição che la rimette in mezzo; il Milan allontana ma di poco, e l’accorrente Veron non si lascia minimamente intimorire da quel pallone, schiaffandolo in direzione della porta difesa da Abbiati, che prova a smanacciarla ma viene piegato dalla potenza del pallone, che entra in rete. Lazio in vantaggio.
Minuto 35
Negro è appena uscito per far posto a Pancaro. Il Milan sembra aver reagito, la Lazio invece rifiata.
Da Albertini a Maldini, l’azione del Milan si sviluppa sulla sinistra. Maldini trova Sheva sulla verticale il quale con enorme lungimiranza pesca Serginho – o meglio lo lancia sapendo quale motorino Madre Natura ha riservato al brasiliano – che dal fondo la mette in mezzo bruciando Favalli: Weah tocca malissimo, quasi di tacco esterno, ma colpisce Mihajlovic che aveva tentato l’intervento disperato a salvare in extremis. È pareggio Milan, è 1-1.
Minuto 36
La Lazio però reagisce subito.
Almeyda dal cerchio di centrocampo pesca Salas tra le linee, è messa male la difesa rossonera. Salas imbuca per Boksic che calcia con una violenza inaudita, ma Abbiati respinge in corner. Mihajlovic con una traiettoria tagliente come il rasoio dei barbieri negli anni 20 del Novecento pesca un impreparato – e come poteva essere altrimenti, visto il taglio dato al pallone – Abbiati, che smanaccia nella propria porta: Lazio nuovamente in vantaggio, 2-1.
Minuto 38
La Lazio è in un momento di totale trance agonistica.
Prima Boksic ha l’occasione per mandare i biancocelesti sul 3-1, poi tocca a Salas, e questa volta il Mattatore colpisce, tenendo fede al proprio nomignolo. È una delle più belle azioni di quell’anno in Serie A.
Pancaro pesca Salas che viene a prendersi il pallone bassissimo sulla destra. Salas va da Boksic che è però spalle alla porta. Alen l’Alieno scarica allora il pallone per Conceição. Il cross del portoghese è immediato, neanche troppo forte, precisamente sul dischetto dell’area di rigore, alto: ma Salas si arrampica sulle nuvole e stacca di testa con una violenza che dalle parti dell’Olimpico non si è più registrata.
3-1, gol clamoroso del cileno, e partita quasi in cassaforte per la Lazio. «Che ce frega de Ronaldo, noi c’avemo el Matador».
Minuto 43
Ma la partita è tutt’altro che chiusa.
Giunti vince con caparbietà un duello a centrocampo – la zona del rettangolo verde maggiormente esposta alla battaglia quella sera – e si avvicina al limite.
Serve Sheva una prima volta ma il pallone non passa; gli ritorna la sfera, altro servizio di destro per Sheva che danza al limite dell’area di rigore come un falco pronto a involarsi verso l’area piccola: Favalli tenta l’intervento ma lo manca (anche) perché Sheva con una finta di corpo lo elude: controllo di destro interno, dribbling magico a Marchegiani, che tra l’ucraino e Ronaldo non sa più che pesci prendere, e destro appena al di sotto della traversa: un gol di rabbia, di potenza, di classe e intelligenza. Un gol alla Sheva. 3-2.
Minuto 56
Mentre Boksic e Ayala proseguono dialetticamente il duello iniziato sul gol di Veron dell’1-0 Lazio, il Milan attacca, ora forte della spinta emotiva che il gol di Sheva a fine primo tempo gli ha fornito.
Ambrosini imbecca con un pallone semplicemente superlativo l’accorrente Weah, che parte in posizione dubbia ma buona per l’assistente. Marchegiani lo stende commettendo un’enorme ingenuità, che paga a carissimo prezzo. Dal dischetto Sheva non si fa intimorire da quello che pure è considerato un pararigori.
3-3, incredibile partita all’Olimpico. Sheva ha appena 23 anni, ma quella sera ne dimostra 30. Gioca come un veterano, un talento davvero incredibile: palla da una parte e portiere dall’altra. Galliani si lascia andare al solito urlo liberatorio, a malapena trattenuto sotto il piccolo pugno alla Zio Fester.
Minuto 68
Le due squadre sembrano essersi acquetate dopo la rete del 3-3, come a voler dire: mettiamo le armi da parte, che quest’anno ne vedremo delle belle. Neanche per sogno.
Il Milan quella sera ha in campo non un giocatore, ma una forza della natura. Il suo nome è Andriy, il suo cognome è Shevchenko. Weah trova un tracciante forte ma improvviso per qualunque altro giocatore, non per Sheva, che con un riflesso da felino arpiona il pallone di sinistro, il quale gli scivola leggermente sull’esterno.
Il povero Favalli non sa che pesci prendere. Sheva col sinistro fulmina Marchegiani, che ritorna in piedi quasi scosso da quella giocata sublime. All’Olimpico sono quasi tutti increduli. 3-4, tripletta dell’ucraino più forte della storia del calcio.
Minuto 72
Qualunque altro giocatore quel pallone di Weah non l’avrebbe controllato e poi scaraventato con quella violenza in porta. E l’abbiamo detto. Ma va detta un’altra cosa. Qualunque altra squadra, avanti di due reti e rimontata di fronte al proprio pubblico, avrebbe mollato la presa. Non quella squadra, non quel museo del calcio che è la Lazio di Eriksson.
Ancora Conceição pesca Simone Inzaghi, il cui tiro è ribattuto da Maldini. Arriva però Veron dall’esterno, che piazza un pallone preciso e delicato per l’accorrente Salas, che di sinistro ringrazia l’argentino con l’orecchino d’argento, la brujita, e piazza comodamente in rete.
In area di rigore c’era anche Mancini, tanto per dare l’idea di che razza di squadra fosse quella. E quindi, di riflesso, di che razza di giocatore stiamo parlando pensando a Shevchenko, l’uomo che segnò in una sola notte 3 gol alla squadra più forte del pianeta. 4-4.