Una delle frasi più celebri di Fabrizio Piscitelli – in arte Diabolik –, in risposta a chi gli chiedeva perché la tifoseria laziale (di cui era capo) fosse tanto estrema (politicamente, di fondo), è: «ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati». Il tifoso laziale è così: ribelle per necessità, in una città che è dominata da chi invece antepone l’amore incondizionato al polemos. Ai laziali, dell’amore, interessa molto meno. E lo stesso Generale Vaccaro, colui che si oppose alla fusione con la Roma nel 1927 – data di fondazione del club giallorosso –, sottolineò con forza come «la Lazio non proviene da, la Lazio è. Prima c’era la Lazio, i tifosi sono venuti dopo».
Una tifoseria ribelle
Sembra una frase scontata; non lo è affatto. Come quasi tutte le azioni del tifo biancoceleste, guidate da uno stato di ribellione – ed ebollizione – interna, quasi una natura. Così, appena due settimane fa, la Lazio di Sarri ha vinto 1-0 contro il Cagliari uscendo tra i fischi. L’allenatore toscano ha parlato di ‘ambiente devastante’, paragonando quest’attitudine tanto critica del tifo laziale alla gioia da ‘fuochi d’artificio’ dell’altra sponda del Tevere, appena arriva un minimo risultato positivo. Sarri ha detto di essersi innamorato della piazza biancoceleste, ma evidentemente non l’ha ancora capita. I laziali non sono come i romanisti: la loro azione non proviene da, è. A prescindere dalle voci esterne, incondizionatamente. I tifosi laziali sono irriducibili, detto altrimenti.
E così forse è più facile capire quanto accadde il 2 maggio del 2010, in quel celebre Lazio-Inter 0-2. Quel giorno si affrontavano due squadre forti, una maledetta l’altra benedetta. La Lazio aveva vinto ad inizio anno la Supercoppa italiana a Pechino, proprio contro l’Inter di Mourinho che a fine stagione entrerà nella storia a seguito della vittoria del Triplete, ma era anche caduta vittima di una crisi senza fondo che aveva portato Lotito ad esonerare Davide Ballardini – al suo posto Reja, che porterà la Lazio al 12esimo posto. Quella sera però non era il momento di pensare al proprio destino. O meglio, era proprio il momento di pensarci, mettendo tra parentesi il bene del club, per i tifosi della Lazio.
Ricordatevi: prima è venuto il club, i laziali sono una cosa a parte. E i laziali quella sera volevano la sconfitta, la desideravano con tutto il proprio spirito, in una sorta di rivisitazione contemporaneo-calcistica della filosofia harakiri giapponese. L’Inter di Mourinho si giocava punto a punto il primo posto con la Roma, e la Lazio a quel punto del campionato era ormai salva – certo non matematicamente. La sconfitta dell’Atalanta nel pomeriggio aveva ulteriormente favorito un animo giocondo tra i 50.000 dell’Olimpico.
Un gemellaggio eterno
Come noto, Lazio e Inter sono tifoserie gemellate – nonostante e forse proprio in virtù di clamorosi duelli tra i due club nel corso della storia, 5 maggio docet, «l’ha ripresa Vecino» risponde –, mentre leggete questo articolo da 35 anni: un’amicizia rinnovata ufficialmente sui canali social degli Ultras Lazio ad agosto di quest’anno. Nessuno però poteva aspettarsi quello che sarebbe accaduto durante quella partita. I tifosi biancocelesti quasi a fischiare i propri giocatori all’attacco verso la porta di Julio Cesar, con Zarate più volte polemico con la propria tifoseria (idem Kolarov).
Dall’altra parte un’Inter quasi confusa, che non riusciva a sbloccare il risultato non in virtù di una difficoltà tecnico-tattica (ci mancherebbe), ma psicologica. Cioè: tifare contro, da parte dei tifosi laziali, stava avendo come contraccolpo l’orgoglio dei calciatori biancocelesti e – e contrario – il braccino corto dei giocatori dell’Inter. Il gol di Samuel al 45’, ex Roma, viene accolto da un boato di tutto lo stadio. Le risate si avvertono distintamente dagli spalti, poi appare uno striscione destinato a fare la storia del tifo nazionale (nel bene e nel male): OH NOOOO, da parte dei tifosi della Lazio. L’ironia non gli manca di certo. Poco prima, sempre in Curva Nord, si leggeva: MOURINHO UNICO UOMO VERO, che a risentirlo oggi fa quantomeno strano. SCANSAMOSE, dalla Tevere. SE VINCETE VE MENAMO, canta poco democraticamente la Curva Nord laziale.
Prima Samuel, dunque, poi Thiago Motta, al minuto 70. E Inter ancora a +2 dalla Roma, con due partite (Chievo e Siena) da vincere per laurearsi campione – come accadrà. Tutt’intorno, uno stadio che canta all’unisono “Vinceremo il tricolor”. Per i tifosi di tutta Italia, uno scandalo mai visto, una roba che marchia per sempre. Dicono, gli altri. Ma i laziali, seduti dalla parte del torto, ricordano quell’evento con gioconda ilarità. In fondo contava la salvaguardia della città, mica del club. Il laziale è a sé, la Lazio è come in aggiunta. Cosa vuoi che conti una partita, quando in gioco c’è la propria stessa esistenza?