Il nervosismo palesato da Martusciello nella conferenza post-partita dell’Olimpico, quando il vice di Sarri ha lamentato un differente trattamento della stampa a parità di partite poco piacevoli – con chiaro riferimento a quelli «anche molto vicini a noi», quindi la Roma di Mourinho –, non può essere preso sottogamba da chi vuole analizzare il calcio nella sua complessità, la quale considera certo gli aspetti fisici, atletici, tecnici e tattici, ma soprattutto quelli psicologici. La Lazio in questo momento aveva bisogno di tre punti, e di nient’altro. Lo ha ribadito Martusciello, che ha però compreso senz’altro i fischi dei tifosi al termine della partita, e lo aveva sottolineato anche Ciro Immobile, fresco di premio per i 200 gol con la Lazio – diventati 203 dopo i match contro Salernitana e Celtic.
Una stagione incerta
Eppure quel nervosismo rivela anche qualcos’altro. Certo, il gruppo è unito e lo sta dimostrando reagendo di volta in volta ai capitomboli di questa stagione così incerta – non una novità per una squadra arrivata in Champions quattro volte in 18 anni con Lotito, e tutte le volte, l’anno dopo il traguardo raggiunto, fuori dalle prime cinque della classe in Serie A. Ma che la Lazio sia malata e abbia bisogno di cure specifiche, è fuori discussione. D’accordo l’ambientamento dei nuovi, val bene un calendario poco favorevole fino a novembre, ma come giustificare le sconfitte con Salernitana, Genoa e Lecce? Come giustificare le difficoltà di costruzione con un uomo in più per oltre sessanta minuti sabato sera (dopo l’espulsione di Makoumbou) contro una squadra non certo impenetrabile come quella cagliaritana?
La Lazio ha vinto 1-0 grazie al gol di Pedro Rodrigues dopo 7 minuti di gioco. Due minuti dopo ha avuto l’occasione per fare 2-0 quando sempre Pedro, imbeccato splendidamente da Ciro Immobile, ha sciupato tutto davanti a Scuffet (bravo nella circostanza). Da lì in avanti, il vuoto. Qualcuno lo ha ribattezzato Corto Sarri, a metà tra la malinconia di Corto Maltese e il pragmatismo del Corto Muso allegriano. Non ditelo a Sarri, ma lui è più contento di non prendere gol (per la seconda gara di fila) che di farne due. In fondo, adesso, conta vincere. Poi verrà il momento del gioco, sì ma quando? Se lo chiedono i tifosi e ce lo chiediamo noi, appassionati del sarrismo almeno da un punto di vista estetico.
Non è tutto buio
Comunque non è tutto buio. Con la sconfitta del Napoli contro l’Inter la Lazio si è portata a -4 dalla zona Champions League, che tutto sommato visto l’inizio di stagione dei biancocelesti è un’ottima notizia. Altri raggi di luce vengono dalle prestazioni di Guendouzi, Isaksen e Gila. Tutti giocatori entrati a poco a poco nel meccanismo di Sarri (meno il francese), che ora si stanno ritagliando uno spazio importante e con merito nello scacchiere del mister toscano. In attesa dei recuperi di Romagnoli e Casale, Provedel rimane il faro irrinunciabile di questa squadra.
Ancora una volta il portiere biondo ha salvato la Lazio sul finale. Non con un gol, ma quasi: una parata alla Buffon su colpo di testa di Pavoletti al minuto 91, nell’unica vera occasione della partita per i sardi. Ranieri è stato bravissimo a controllare la fioca manovra offensiva dei biancocelesti, provando a pungerla quando ormai non c’era più molto da speculare. Luvumbo ha giocato bene come sempre, Pavoletti ha rischiato di compiere un’altra impresa dopo i due gol last-minute nella rimonta al Frosinone di qualche settimana fa. È allo spirito che il Cagliari e la sua gente deve aggrapparsi per questa salvezza, che Ranieri ha rimandato «all’ultima giornata». In un campionato già stremato dai tanti impegni, la vince chi più è in grado di soffrire. Stavolta è toccato alla Lazio.