Quest’anno l’Inter in Champions League si era già resa protagonista di prestazioni di alto livello, con Barcellona e Porto in primis, ma sicuramente in pochissimi si aspettavano che potesse prendersi un vantaggio di 2 gol a Lisbona, in un Estadio da Luz gremito di tifosi in maglia rossa.
Si tratta dell’ennesima rinascita nerazzurra in questa stagione, e per l’ennesima volta nelle Coppe, ambiente in cui la squadra di Simone Inzaghi sembra esaltarsi, a differenza del campionato in cui è incappata in troppi passi falsi.
Un vantaggio importante: la semifinale è un obiettivo concreto
Tra una settimana a San Siro il Benfica sarà costretto a vincere con tre gol di scarto per ribaltare il risultato, contro una squadra come l’Inter che in casa ha subito al massimo 2 gol, solo da Bayern Monaco e Roma tra settembre e ottobre.
Saranno 90 minuti intensissimi e in cui i nerazzurri dovranno lottare allo stremo delle forze, ma possiamo comunque dire che l’Inter può legittimamente già aspirare di accedere alla semifinale.
La partita di Lisbona è stata, come quelle contro il Porto, un’impresa per un’Inter che ha messo in campo una compattezza di squadra che difficilmente si vede per tutti i 90 minuti in campionato, con il risultato di riuscire a mantenere la porta inviolata in uno stadio che vedeva il Benfica andare in gol da 13 partite consecutive in Champions League.
Considerato che in casa l’Inter avrà la spinta del proprio pubblico e la possibilità di sfruttare gli spazi che il Benfica dovrà per forza concedere, le chance di Barella e compagni di arrivare tra le prime quattro d’Europa sono tantissime.
I meriti di una vittoria del collettivo
Dai guizzi felini del leone camerunense Onana, mai troppo elegante tra i pali ma sempre tremendamente efficace, al terzetto difensivo tutto italiano Darmian-Acerbi-Bastoni, bravi a chiudere ogni spazio e a coprirsi le spalle vicendevolmente, fino ad un Marcelo Brozovic che forse rinfrancato dalla riscoperta della titolarità e della fascia da capitano è tornato ad essere quello schermo a protezione della difesa capace di interdire e impostare, tutta la squadra ha lavorato all’unisono per chiudere la porta agli assalti avversari.
Gli attaccanti stanno vivendo un chiaro momento di appannamento, ma dal punto di vista dell’impegno e dell’applicazione è impossibile trovare qualcuno di insufficiente nella serata del da Luz.
I nerazzurri devono ancora subire un gol nella fase ad eliminazione diretta, e quello che colpisce della squadra nerazzurra in serate come quella di Lisbona è lo spirito di squadra e la vocazione al sacrificio di tutti i giocatori, sia dei titolari che di quelli che entrano dalla panchina.
Ed è proprio quello che spesso invece è sembrato mancare in campionato: una mancanza di coesione che, in mancanza di obiettivi più concreti, si è di fatto addossata a Simone Inzaghi.
Simone Inzaghi, l’allenatore di Schrodinger: da esonerare in campionato, da esaltare in Coppa
Come si può parlare di esonero di un allenatore che in questo momento è in vantaggio per accedere alla semifinale di Champions League e alla finale di Coppa Italia, dopo aver già messo in bacheca la Supercoppa Italiana?
Certo, se addossiamo a Simone Inzaghi parte della responsabilità per i rovesci in campionato, non possiamo evitare di riconoscergli i meriti per i successi in nelle coppe. È una situazione che ricorda il paradosso del gatto di Schrodinger: fino a quando i risultati non si concretizzano Inzaghi è nello stesso momento allenatore sull’orlo dell’esonero e da celebrare per successi che in nerazzurro non si vedevano da più di una decina d’anni.
Non si possono certo ignorare i deficitari risultati in campionato, dove l’Inter è addirittura scivolata fuori dai primi quattro posti e rischia di mancare la vitale (per le casse societarie) qualificazione alla prossima Champions League.
Si tratta di schizofrenia? Una sorta di Inter maledetta che diventa Hulk nelle partite di coppa e torna il debole Banner in quelle di campionato? In realtà sembrerebbe che sia proprio il livello maggiore degli avversari a facilitare le cose per i nerazzurri.
In campionato le sconfitte contro Juventus e Fiorentina sono state più episodiche che altro, dovute ad una sconcertante imprecisione sottorete (che non è completamente scomparsa nemmeno in Champions, a dire la verità) che a prestazioni davvero insufficienti della squadra.
I problemi sono arrivati piuttosto contro squadre più chiuse come Salernitana, Spezia, Bologna o Sampdoria, in cui i nerazzurri non riuscivano a trovare gli spazi per attaccare e hanno progressivamente perso lucidità e precisione nella costruzione. Contro squadre che attaccano e offrono la possibilità di ripartire, l’Inter riesce a giocare al suo meglio.
Sarebbe però compito dell’allenatore trovare alternative quando il suo gioco non riesce a svilupparsi e Inzaghi sembra avere difficoltà in questo, anche se c’è da dire che la rosa dell’Inter non offre troppe variabili in questo senso. I cambi sembrano però sempre “automatici”, ruolo su ruolo o talvolta, se la situazione è proprio disperata, aggiungendo una punta per cercare il gol con la forza della disperazione.
Teniamo anche conto però che tra gli allenatori di vertice Simone Inzaghi è anche il più giovane, con soli 47 anni rispetto ai 64 di Spalletti e Sarri, i 60 di Mourinho, i 57 di Pioli, i 65 di Gasperini e i 55 di Allegri, e che la sua attività di allenatore tra i professionisti è iniziata solo nel 2016. La sua crescita è andata di pari passo con la sua esperienza, resta da vedere se la curva esponenziale coincide con il livello richiesto dall’Inter.