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Sarà per quell’atavico astio fuoriuscito come lava ribollente nella finale di Euro 2020 ormai quattro anni fa (luglio 2021), che ci ha visti per giunta trionfare nel loro tempio del calcio (pardon, del football). O per il fatto, più semplicemente, che molti di noi – tra le tifoserie d’Italia, ma pure tra i semplici calciofili – vedono al football d’Oltremanica come Colombo dal suo cannocchiale le Nuove Terre d’America, di là da essere scoperte. Rimane il fatto, sottaciuto dai più, che la Premier League ha cessato di essere il campionato più affascinante d’Europa, e non da ieri. Ciò significa, forse, che ha smesso di essere il più difficile? Abbiamo i nostri dubbi.

Nel 2023, quando era agli albori della sua esperienza all’Aston Villa, Unai Emery, già ottimo allenatore in Spagna, aveva dichiarato che come la Premier non esiste nessun campionato al mondo per difficoltà ed equilibrio. Allo stesso modo Antonio Conte, più di recente, il quale ha ricordato come vincere in Premier non abbia eguali. Se a dirlo è uno che ha fatto della vittoria un’ossessione tale da chiamarci una delle due figlie, c’è da crederlo. A cosa è dovuto, questo primato?

La Premier è il campionato più ricco del mondo

È vero che la cultura incide tanto sulla qualità del calcio di un Paese, anche molto povero – vedasi il Brasile, vedete l’Argentina –, ma se in un Paese con grande cultura calcistica come l’Inghilterra ci aggiungete pure una valanga di soldi, il discorso cambia e parecchio. Basti un dato, su tutti: una squadra che salga in Premier e retroceda al primo anno, incasserebbe più di 150 milioni in appena un anno, una cifra che non si avvicina nemmeno lontanamente a chi in Italia VINCE (sic!) il campionato di SERIE A: 20 mln (+ 6.8 derivanti dalla qualificazione in Champions League). È appena un dato, ma piuttosto esemplificativo del benessere economico del calcio inglese – più che della sola Premier – che ha nella vecchia First Division, appunto, la corona di un Re già molto in carne.

Questi soldi consentono alle squadre di acquistare giocatori forti, e di aumentare quindi il livello della competizione. Inoltre, attraggono più di qualsiasi altro campionato acquirenti esteri. La Premier League in questo senso è la regina in Europa (con 15 proprietà o multiproprietà straniere, seguita dalla Jupiter League belga con 11).

L’entrata di capitali esteri nel calcio inglese ha spinto i club di tutto il Regno Unito ad una strana – ma positiva, dal punto di vista della competizione – lotta geopolitica. Ai qatarini del Manchester City hanno risposto i sauditi del Newcastle; ai sauditi del Newcastle hanno contro risposto gli americani dello United e i cinesi del Wolverhampton (ci fermiamo qui). La Premier ad oggi è il campionato più ricco del mondo anche per questo. E infatti nella classifica dei club più ricchi al mondo, la Premier domina con 7 squadre.

Il motivo è legato ad un ecosistema che permette ai club inglesi di fare il pieno di ricavi, siano essi televisivi (soprattutto) o derivanti dalle sponsorizzazioni (anche). Per non parlare poi dei premi UEFA, diretta conseguenza dell’elevata competitività di queste squadre nei tornei europei. Anche se dopo le accuse finanziarie mosse al City la situazione sembra essersi placata rispetto al passato, la Premier rimane uno dei campionati dove si spende più soldi: nella stagione 2022/23 sono stati spesi più di 2,4 miliardi di sterline, con il Chelsea che da solo è arrivato a quota 611 milioni di euro.

Il confronto con le altre leghe europee è impietoso. Il valore totale delle rose in Premier League quest’anno ammonta a 11.84 mld di €. Al secondo posto la Liga spagnola con 5.32 mld, seguita dalla Serie A con 5.14 mld. Bundes quarta con 4.59, Ligue 1 – con il forte condizionamento del PSG – con 3.6.

Il cambio di paradigma

La vittoria in Champions League del Manchester City (2023) di due anni fa sembra aver attestato con più profondità di qualsiasi altra vittoria di club inglesi in campo europeo – il West Ham in Conference (2023), ad esempio, il Liverpool sempre in Champions League (2019), per rimanere a quelle più recenti – il cambio di paradigma del vecchio e caro british football in qualcosa che ormai ha scavalcato l’antichità di tale tradizione. Non ci riferiamo ad un fenomeno (solo) culturale o (solo) economico, ma paradigmatico, sociale. L’Inghilterra, quella dei media nazionali e locali e quello dei tifosi nei pub, ha compreso l’esigenza di dover cambiare stile di gioco per tornare a dominare il calcio europeo – e forse le due finali, certo entrambe perse, dell’Inghilterra nelle ultime due edizioni agli europei ne sono una testimonianza.

Nel settembre 2016, dopo sole quattro partite dall’inizio della stagione, un articolo del The Independent aveva già intuito l’impatto di Guardiola sull’ecosistema della Premier: «Il Manchester City sta dimostrando che anche in Inghilterra è possibile vincere praticando un calcio di possesso, con un modello lontano dallo stile stereotipato a cui siamo aggrappati. La Premier può vantare tanti calciatori di talento, ma i nostri manager non riescono a esaltare la qualità dei loro giocatori, a mettere a punto delle strategie che cerchino di andare oltre il successo a breve termine».

Se andiamo a vedere i manager che oggi allenano in Premier, su 20 squadre, due soltanto sono allenate attualmente da allenatori inglesi: Eddie Howe al Newcastle e Graham Potter al West Ham. Detto altrimenti, il calcio inglese ha capito di doversi rivolgere ai migliori maestri della tattica – italiani e spagnoli soprattutto – per poter non solo vincere in patria, ma dominare fuori, creando eventualmente nuovi stili di gioco. Ciò ha reso il campionato ancora più bello e complicato da vincere, perché il mix di culture non solo dei calciatori ma anche degli allenatori ha inciso profondamente sull’alzarsi generale del livello. Oggi le squadre inglesi non sono più quelle del “lancio lungo e pedalare”, semmai del “gestire, attendere, dominare col pallone tra i piedi”.

Il campionato più difficile del mondo

Quest’anno è stata una strana eccezione. Il Liverpool ha infatti dominato la Premier come non accadeva da anni. Al momento i Reds sono a +13 dalla seconda, l’Arsenal di Mikel Arteta impegnato seriamente in Champions League. Dietro, la situazione è ancora più buffa. L’Ipswich Town, terz’ultima e quindi al momento retrocessa in Championship, è a 21 punti, a -15 dalla quart’ultima West Ham (36 punti). Un divario clamoroso, che racconta di un campionato frammentato e spaccato, come non accadeva da anni.

Se prendiamo le ultime quindici stagioni di Premier, Manchester ha dominato la scena: lo United ha vinto due titoli (10/11, 12/13), il City ben otto (11/12, 13/14, 17/18, 18/19, dal 20/21 al 23/24). In mezzo, il miracolo del Leicester di Ranieri (15/16), la riscossa del Chelsea (14/15, 16/17) e il titolo vinto da Klopp in pieno Covid nel 2020.

Con tutti i match che si giocano in Inghilterra – che ricordiamo, ha una FA Cup che parte molto da lontano nel tabellone, e ha pure un’altra competizione, la Carabao Cup, quest’anno vinta dal Newcastle – vincere la Premier insomma è un’impresa epica, per chiunque. Non è normale il tracollo del City di quest’anno, ma non lo era neanche il dominio che Guardiola era riuscito ad assicurargli negli ultimi cinque anni. Nelle ultime sei stagioni, in finale di Champions League sei squadre su dieci erano inglesi – Manchester City e Liverpool due volte, Tottenham e Chelsea una volta. Solo in due edizioni, 2020 e 2024, non c’era una formazione inglese a giocarsi il trofeo. Insomma, in conclusione, la Premier rimane il campionato più difficile del pianeta, con buona pace dei suoi detrattori: i quali potranno forse rimpiangere i tempi del vecchio e caro calcio inglese, ma non della sua qualità in tutte e 20 le squadre partecipanti.