Non sono in tanti, soprattutto nel nostro Paese, a catalogare la rivalità tra Italia e Spagna come “derby del Mediterraneo“, eppure all’estero, ogni volta che queste due nazionali si incontrano, la partita viene presentata in questo modo.
I numeri, storicamente parlando, dicono fortemente Italia, alla luce delle quattro Coppe del Mondo e dei due Campionati Europei portati a casa dagli azzurri, a differenza dell’unica Coppa del Mondo e dei tre titoli continentali vinti dalla Furie Rosse.
Recentemente la Spagna ha messo più volte in difficoltà la squadra azzurra, anche e soprattutto in virtù del doppio fallimento della spedizione azzurra nelle qualificazione agli ultimi due mondiali, intervallato dalla vittoria degli europei del 2020, ma ancora vivo è il ricordo di una partita vinta dagli azzurri a Euro 2016 in terra francese, valevole per gli ottavi di finale di quel torneo.
Poche speranze
Quella allenata dal Commissario Tecnico Antonio Conte, fu una squadra alla quale i tifosi italiani si affezionarono lungo il cammino, viste le poche speranze che essa originava, alla luce di un gruppo che non convinceva tutti e che, secondo molti, era destinato a tornare a casa molto presto.
Eppure, fin dalle prime due partite, disputatesi all’interno del gruppo E, del quale facevano parte anche Belgio, accreditata per la vittoria finale, Irlanda e Svezia, Conte riuscì a trasmettere a quel gruppo quella grinta e quell’aggressività che è il marchio di fabbrica delle squadre che ha allenato durante la sua carriera.
L’Italia esordì con una vittoria proprio contro il Belgio, mettendo in campo una formazione della quale facevano parte, tra gli altri, Parolo, Candreva, Giaccherini e Darmian a mettere insieme una mediana di grande gamba e supportare il suo d’attacco formato da Eder e Pellè.
Conte si affidò alla difesa bianconera con Bonucci, centrale e Barzagli e Chiellini come braccetti, con il già eterno Buffon ultimo baluardo di uno schieramento e di una partita portata a casa grazie alle reti di Giaccherini e Pellè.
Il successivo 1-0 contro la Svezia, firmato da Eder negli ultimi minuti di gioco, ci diede la matematica qualificazione agli ottavi e alla fase ad eliminazione diretta e mise in condizione Conte di rivoluzionare lo schieramento per far rifiatare buona parte di quelli che fino allora erano considerati titolari.
Contro i campioni d’Europa
L’amore crescente al quale abbiamo accennato nel paragrafo precedente, sbocciò senza tentennamenti nell’ottavo di finale che dovemmo giocare contro la Spagna, che non riuscì a vincere il Gruppo D a causa della sconfitta nella partita decisiva contro la Croazia, guidata in quell’occasione da Rakitic trequartista e un letale Perisic a tutta fascia che si intese a meraviglia con l’unica punta Kalinic, entrambi a segno dopo il gol di Morata al settimo.
Eppure quella era una Spagna che tutti indicavano come una delle candidate al trono d’Europa, anche e soprattutto dopo il praticamente perfetto europeo disputato 4 anni prima, che doppiò peraltro quello del 2008.
Nel 2012 l’Italia di Prandelli perse la finale proprio contro la Spagna di Del Bosque, in una partita durante la quale gli iberici non ci fecero letteralmente vedere la palla.
Alcuni dei giocatori della partita del 2016, si legarono al dito quella finale e l’atteggiamento iniziale fu quello giusto.
Il Saint Denis stracolmo
A sottolineare l’amore verso la nostra nazionale, ci pensarono i nostri tifosi accorsi in massa allo stadio Saint Denis di Parigi, dove si giocò la partita nel pieno pomeriggio del 27 giugno, per una temperatura piacevole, mitigata da una continua pioggia insistente, che non condizionò le trame delle due squadre.
La capienza dello stadio parigino fu messa a dura prova dai supporters delle sue nazionali, visto che degli 81.000 posti a sedere, 76.000 furono quelli occupati dagli spettatori.
Conte presentò una formazione molto simile a quella che mise a tacere le velleità del Belgio all’esordio, presentando il solito blocco difensivo bianconero, con De Sciglio a tutta fascia sinistra, con il suo omologo Florenzi sul versante opposto, Giaccherini e Parolo mezz’ali e De Rossi centrocampista centrale con le due punte di riferimento, ancora Eder e Pellè.
La partita fu all’inizio equilibrata, con i nostri intenti ad arginare le sfuriate iberiche fin dalla trequarti avversaria, con la squadra ancora allenata da Del Bosque, incapace di essere pericolosa sotto porta, nonostante la presenza di un tridente invidiabile formato da David Silva, Nolito e il solito Morata punta centrale.
Ma erano i tre di centrocampo a spaventare più di ogni altro elemento, Busquets, Iniesta e Fabregas, con una difesa a quattro nella quale Piqué e Ramos giocavano centrali, coadiuvati da Juanfran a destra e Jordi Alba a sinistra.
Inizio sorprendente
Nessuno si sarebbe aspettato un’Italia così intraprendente, soprattutto nella parte iniziale del match, solitamente territorio spagnolo come vuole la tradizione.
Il contrassegno di tale inizio convincente, fu quello imposto dalla coppia Florenzi-Pellè, che confezionarono un’azione scevra da impostazioni arzigogolate, che si tradusse in un cross da parte dell’esterno e un colpo di testa della punta azzurra, parato dall’ottimo de Gea, che sarà chiamato in causa più di una volta durante la prima frazione di gioco, come nell’occasione di Giaccherini e di Eder, preludio alla rete azzurra.
Sfogo naturale di questa frizzantezza tricolore, arrivò, dunque, al minuto 33, quando de Gea respinse il tiro di Eder appena esposto e scagliato dalla nostra seconda punta in virtù di una punizione originata da un fallo di Ramos su Pellè al limite dell’area; la respinta fu cortissima e si avventarono sul pallone sia Giaccherini che Chiellini e fu proprio il nostro difensore a spingere in rete.
Lo stesso Giaccherini trovò uno splendido tiro a giro poco prima dell’intervallo, ma De Gea fu ancora attento e l’Italia andò al riposo con il rammarico di non aver messo più di una rete di distanza di vantaggio sugli avversari.
La reazione spagnola
Il risveglio spagnolo, atteso da tutti gli spettatori della partita, arrivava puntuale, ma Morata era poco lucido in un paio di occasioni e l’Italia reggeva, tenendo fede alle statistiche di una difesa che aveva subito una sola rete nella fase a gironi, quella della sconfitta pleonastica contro l’Irlanda.
L’Italia avrebbe potuto chiudere il discorso dopo 10 minuti dall’inizio della ripresa, ma Eder era poco preciso, davanti a De Gea, imbeccato da Pellè, per una volta in veste di trequartista, e sparava proprio in bocca all’estremo difensore iberico.
Un evanescente Morata lasciava il posto per Lucas Vazquez e arrivava il momento di Luigi Buffon, che prima sventava una bomba di Iniesta, deviandola sopra la trasferta, probabilmente l’occasione più pericolosa della Spagna, che, con l’andare del tempo, provava con sempre maggiore confusione ad impensierire la difesa azzurra e dopo su Piqué, poco prima che Pellè chiudesse i conti.
Sul rovesciamento di fronte, era Darmian, all’epoca in forza del Manchester United, a raccogliere il pallone sulla trequarti, per un contropiede orchestrato perfettamente dagli azzurri, vedeva il taglio della sua punta verso De Gea e lo serviva con un pallone sporco che si impennava proprio di fronte al nostro attaccante, il quale scagliava al volo alle spalle del portiere avversario.
La rete, segnata al 91°, originò il trionfo dei nostri giocatori e il passaggio certo dell’Italia ai quarti di finale.
Quella fu la prima sconfitta della Spagna in una competizione importante dal 2006 nella fase ad eliminazione diretta, mentre l’Italia fu eliminata nel turno successivo dopo i famigerati rigori contro la Germania, al termine dei quali Zaza e Pellè vennero presi di mira da tutto il movimento calcistico nazionale.
Fu comunque un’Italia che risvegliò l’amore per la nazionale, molto più “operaia” di altre versioni, con gente che pedalava e che aveva dimostrato, a suon di gagliarde prestazioni, il proprio attaccamento alla maglia azzurra.