Tra le 24 squadre che prenderanno parte al Campionato Europeo di calcio a partire dal prossimo 11 giugno e che si concluderanno esattamente un mese dopo, l’undici di luglio, la nazionale italiana di calcio è quella che, alla luce della tremenda esclusione del 2018 e del sentimento popolare sempre tra i più accesi quando si parla di pallone, dovrebbe essere la più affamata di tutte le partecipanti.
Inopinatamente esclusa dalla fase finale dei mondiali in Russia, la squadra di Mancini si porterà dietro il pesante fardello, o se preferite l’ulteriore spinta, di chi giocherà una competizione ufficiale tra nazionali che manca ormai dal 2016, quando il Portogallo vinse gli Europei giocati in Francia, se si eccettuano le decisamente meno importanti apparizioni in Nations League.
Il CT: Roberto Mancini
All’indomani del fatale pareggio contro la Svezia, il 14 maggio del 2018, a sostituire l’ex Commissario Tecnico della nazionale italiana, Giampiero Ventura, viene chiamato Roberto Mancini, Jesino, classe 1964, ex centrocampista avanzato di classe sopraffina che ha legato indissolubilmente la sua carriera da giocatore a due squadre in particolare, la Sampdoria e la Lazio.
Coi blucerchiati “Bobby Gol” vinse il titolo nel 1991 sotto la guida di Boskov, titolo al quale aggiunse ben 4 Coppe Italia, mentre con i biancazzurri, oltre allo scudetto del 2000, portò a casa altre due Coppe Italia. Nel palmares del Mancio anche due Supercoppa italiana, una a Genova e una a Roma.
In campo internazionale, Mancini ha conquistato da giocatore due Coppe delle Coppe, ancora una volta equamente suddivise tra Samp e Lazio e una Supercoppa Uefa, quest’ultima con la Lazio nel 1999 in finale col Manchester UTD sotto la guida di Eriksen.
Con la nazionale, Mancini ha colto da giocatore un terzo posto ai mondiali di Italia 90 e ancora un terzo e un secondo posto agli europei Under 21 del 1984 e del 1986
La carriera da allenatore di Mancini comincia subito dopo il ritiro dal calcio giocato al termine di una stagione incolore con il Leicester e una da vice di Eriksson.
Il primo incarico da capo allenatore gli viene affidato dalla Fiorentina, dove vincerà subito una Coppa Italia in finale contro il Parma di Ulivieri.
Da quel momento comincia il suo pellegrinaggio tra club molto prestigiosi, tra i quali Lazio, Inter, Manchester City, Galatasaray, ancora Inter e Zenit San Pietroburgo.
Anche qui il palmares è piuttosto ricco. Firma tre scudetti con l’Inter dal 2005 al 2008, 4 Coppe Italia, due con l’Inter, una con la Fiorentina e una con la Lazio. Una Premier League col Manchester City, quella conquistata all’ultima giornata nello storico 3-2 contro il QPR, al quale vanno aggiunte una Coppa d’Inghilterra e una Community Shield. Col Galatasaray porta invece a casa una Coppa di Turchia.
Da allenatore della nazionale, Mancini comincia il suo percorso evitando la retrocessione nel Gruppo B in quella che è la prima edizione della Nations League, per poi intraprendere il fortunato percorso che l’ha portata a qualificarsi per gli europei 2020 con ben tre giornate di anticipo e la matematica prima posizione nel girone J.
La vittoria per 5-0 con il Liechtenstein permette a Mancini di eguagliare il record di 9 vittorie consecutive che apparteneva a Pozzo dal 1938, record poi superato con le vittorie su Bosnia-Erzegovina e Armenia.
Il nostro CT predilige il modulo 4-3-3, intervallato, seppur in rare circostanze, da un 4-2-3-1 che non lo ha però mai convinto fino in fondo.
Convinto sostenitore della linea verde e di un calcio propositivo atto ad esaltare le qualità tecniche di centrocampo e attacco, Mancini preferisce la costruzione dal basso, palesata, in sede di rimessa dal fondo, dall’allargamento dei due difensori centrali ai lati di Donnarumma, spesso Chiellini e Bonucci, con l’avanzamento dei due laterali di difesa, sovente ruotati da Mancini, ma che dovrebbero essere due tra Florenzi, favorito, e Toloi a destra e tra Emerson e Spinazzola a sinistra.
Due tra i centrocampisti si abbassano per dare inizio alla manovra, preferibilmente Jorginho e Verratti, mentre Barella viene utilizzato leggermente più alto per fare da raccordo tra linea mediana e trio d’attacco, quest’ultimo formato da Insigne, immobile e Chiesa.
La stella: Marco Verratti
Il tragitto di Mancini è stato fin qui privo di sbavature importanti, gli obiettivi sono stati tutti raggiunti in tempo breve e la caratteristica principale della squadra plasmata dal CT jesino è quella di aver permesso al suo undici di coniugare tecnica e forza fisica, esattamente come richiede il calcio moderno.
Ma una squadra vincente necessita anche e soprattutto di geometrie nelle parti nevralgiche del campo, dove, i tre che faranno da raccordo tra difesa e attacco, saranno molto spesso Jorginho, Barella e Verratti.
I tre hanno dimostrato di sapersi interscambiare nelle occasioni, tante, in cui hanno giocato insieme.
La tecnica sopraffina di Verratti, “la garra” di Barella e la disciplina tattica di Jorginho, hanno fin qui garantito più di una soluzione fruibile dagli attaccanti della nostra nazionale. Senza contare le incursioni “guastatrici” del giocatore dell’Inter e le qualità balistiche, anche su calcio piazzato, leggasi alla voce “rigori”, del giocatore del Chelsea.
Ma il centrocampista che potrebbe regalare agli azzurri quelle giocate che scombinano le difese avversarie, risponde al nome di Marco Verratti.
Il giocatore di proprietà del Paris Saint Germain, è ormai giunto alla sua piena maturità sportiva alla vigilia dei suoi 29 anni.
Nato a Pescara il 5 novembre del 1992, Verratti ha la caratteristica di essere stato convocato per la prima volta in nazionale maggiore, senza aver mai giocato una partita in Serie A, insieme a Raffaele Costantino e Massimo Maccarone, che lo erano diventati prima di lui e, successivamente, Meret, Grifo e Zaniolo.
Di certo non si può dire che Verratti sia un giramondo che ha militato in tante squadre, visto che dopo il lancio con il Pescara, prima nelle giovanili guidate da Beppe Galderisi, poi in prima squadra ad agosto del 2008 in Prima Divisione, da professionista si è trasferito in pianta stabile a Parigi.
Col Pescara è l’artefice della promozione in serie B dopo la vittoria dei play-off con Antonello Cuccureddu in panchina e nella stagione successiva, è con Di Francesco che matura in maniera notevole, giocando ben 28 partite con gli adriatici.
Ma la definitiva consacrazione arriva un anno più tardi sotto la guida di Zdenek Zeman, che farà di quel Pescara una squadra molto offensiva, di cui Verratti è una sorta di metronomo davanti alla difesa.
È proprio qui che cominciano i paragoni con Andrea Pirlo, anche grazie alla promozione in Serie A nel 2012.
Il PSG lo acquista per una cifra vicina ai 12 milioni di Euro e, ancora diciannovenne, gioca la sua prima partita da titolare il 14 settembre del 2012, quando Ancelotti gli consegna definitivamente le chiavi del centrocampo parigino, facendolo esordire anche in Champions League quattro giorni più tardi.
Quell’anno vince il suo primo titolo in Francia per poi lavorare nelle stagioni successive con allenatori del calibro di Laurent Blanc, Unay Emery e Thomas Tuchel, prima che, a gennaio di quest’anno, Mauricio Pochettino prendesse il posto del tecnico tedesco.
Vince 7 titoli francesi, 8 Supercoppe francesi, 8 Coppe di Lega e 6 coppe di Francia, tutti trofei che gli permettono di diventare il giocatore più titolato della storia del club.
Come tutti i giocatori della nazionale azzurra che parteciperanno alla spedizione europea, Verratti non ha ancora vinto alcun titolo con l’Italia.
Mancini lo utilizza a sinistra nei tre di centrocampo e, esattamente come quelli che saranno probabilmente i suoi due compagni di reparto, può ricoprire i ruoli più svariati, dal già citato playmaker davanti alla difesa, passando per mezzala sinistra per finire da trequartista puro, ruolo che con il 4-3-3 di stampo manciniano, potrà tornare utile in alcuni frangenti dei match nel prossimo europeo.
Sarà Locatelli la sorpresa azzurra?
Non è mai facile capire quali possano essere le sorprese in una manifestazione così complicata come un Campionato europeo di calcio.
In una nazionale come quella italiana, poi, dove i punti fermi non sono tantissimi, scegliere un nome tra i papabili che partiranno dalla panchina per provare a scalare posizioni nelle gerarchie di Mister Mancini, la cosa si fa ancora più ardua.
Il coin flip finale è ricaduto tra due degli elementi che hanno fatto grande il Sassuolo di De Zerbi in questi ultimi anni, Domenico Berardi e Manuel Locatelli.
Abbiamo scelto quest’ultimo solo per il fatto che, visto il paragrafo precedente dedicato a Verratti, qualora andasse storto qualcosa al centrocampista del Paris Saint Germain, il naturale sostituto dovrebbe essere il 23enne lecchese.
Classe 1998, Manuel Locatelli è esploso come vera e propria rivelazione delle ultime due stagioni in neroverde, diventando uno degli oggetti dei desideri delle squadre più in vista del nostro campionato.
Il ruolo in cui è stato maggiormente utilizzato dal neo allenatore dello Shakhtar, è stato quello di regista davanti alla difesa, ma in una squadra dove correre è un imperativo dal quale non si può scappare, Locatelli ha dimostrato di sapersi adattare anche alla fase offensiva, oltre a quella di costruzione della manovra.
Dotato di buon tiro e di un discreto fiuto del gol, Locatelli ha esordito in serie A con il Milan alla fine della stagione 2015/2016, dopo essersi fatto luce nelle giovanili di Atalanta e della stessa squadra rossonera.
Con Montella comincia a trovare spazio in mediana, anche e soprattutto in virtù dell’infortunio occorso a Montolivo, per poi rimanere chiuso, nella stagione successiva, dall’arrivo di Lucas Biglia, a lui preferito in più di un’occasione.
Il passaggio al Sassuolo avviene nella stagione successiva e Locatelli diventa uno dei titolari della squadra, garantendo all’undici messo in campo da De Zerbi, quell’equilibrio necessario ad una squadra che ha fatto del dinamismo il suo marchio di fabbrica.
In 161 presenze da professionista, ha segnato 9 reti, mentre in nazionale maggiore esordisce con Mancini nel 2020, collezionando 9 presenze e realizzando un gol, uno dei due della vittoria a Sofia contro la Bulgaria per 2-0, valevole per le qualificazioni ai mondiali 2022.
Rispetto ai tre centrocampisti titolari dell’Italia, i già citati Jorginho, Verratti e Barella, Locatelli rappresenta una valida alternativa che può tornare utile nei momenti in cui ci sarà da contrastare la forza fisica e il dinamismo dei pari ruolo avversari, nel caso in cui i tre “piccoletti” risultassero fin troppo leggeri.