Nel 1991 Giovanni Trapattoni lascia l’Inter da vincente, avendo portato nella bacheca nerazzurra lo scudetto dei record, una Supercoppa Italiana e una Coppa Uefa. Alla Juventus l’esperimento di Gigi Maifredi è appena fallito miseramente e hanno deciso di ripartire dalle certezze, ovvero dal Trap.
Nel taccuino del direttore sportivo nerazzurro Beltrami ci sono appuntati vari nomi di allenatori reputati adatti alla panchina nerazzurra, da Claudio Ranieri a Ottavio Bianchi, ma su tutti c’è una forte concorrenza.
Il presidente Ernesto Pellegrini decide allora di dare retta al suo istinto e pescare un personaggio fuori dal circuito delle grandi panchine (giusto una stagione in Serie A alla guida dell’Udinese una decina di anni prima), che ha appena portato la Lucchese dalla Serie C alla Serie B conquistando un sorprendente 6° posto in cadetteria: Corrado Orrico.
Un allenatore cresciuto nella provincia toscana
Toscano verace, formatosi sui campi di provincia della Sarzanese come giocatore prima e allenatore poi, passato per le panchine di Carrarese, Camaiore e Massese prima di lasciare senza troppa fortuna i confini regionali con esperienze poco felici ad Udine e Brescia, Orrico era una figura distantissima dalla dimensione glamour milanese dell’Inter.
“Seguo la regola di mio nonno: è meglio apparire peggio di quello che si è. Se uno ha un’aria educata e intelligente e poi rivela qualche difetto, tutti restano delusi”, ebbe a dire riguardo alla sua aria apparentemente trasandata.
L’altra metà di Milano era all’apice dell’era berlusconiana, con Arrigo Sacchi che aveva rivoluzionato la maniera stessa di intendere il calcio. Ernesto Pellegrini, imprenditore che a differenza di Berlusconi lavorava con il cibo invece che con lo spettacolo, scelse un profilo simile in quanto a filosofia di gioco ma agli antipodi come carattere e atteggiamento.
Se Sacchi era un professore che discuteva di calcio ai massimi sistemi, Orrico era un maestro di strada che inculcava i concetti a suon di allenamenti nella “gabbia” e poche parole.
Eppure la loro idea di calcio era simile: squadra corta, pressing e zona asfissiante. Il sogno di Pellegrini era quello di un’Inter che si imponesse sulla scena europea come il Milan sacchiano.
La scena giornalistica milanese, abituata allo star system berlusconiano da parte milanista e che sulla sponda nerazzurra aveva avuto a che fare con personalità schiette ma affabili come Trapattoni e Beltrami, fu decisamente spiazzata da questo burbero toscanaccio che mal sopportava microfoni e interviste.
Una squadra contraddittoria
La prima di campionato vede l’Inter affrontare il Foggia di un’altro allenatore emergente votato alla zona e al gioco offensivo, Zdenek Zeman. La partita è frizzante e si chiude sull’1-1, mettendo subito in chiaro che l’Inter di Orrico, più concentrata sulla fase offensiva che su quella difensiva, sarà quanto di più distante si possa immaginare dalla squadra trapattoniana.
L’Inter di Orrico riesce a tenere il passo del Milan in testa alla classifica per il primo periodo, ma dopo una sconfitta in Coppa UEFA contro il Boavista (2-1 in Portogallo), la squadra ha un crollo, con una sconcertante sconfitta per 4-0 a Genova contro la Samp seguita da quattro pareggi consecutivi contro Fiorentina, Cagliari, Napoli e Torino, per poi ospitare il Boavista a San Siro nel ritorno di Coppa UEFA. I portoghesi resistono agli assalti nerazzurri, portando a casa uno 0-0 che sancisce l’uscita dell’Inter, detentrice della Coppa, al primo turno della competizione.
Questo è il momento in cui Orrico perde del tutto il feeling con la squadra: se i vecchi cuori nerazzurri come Zenga e Bergomi riescono a tenere un minimo a galla la squadra, il blocco tedesco si sfalda, con Klinsmann che perde la via della rete, Brehme totalmente impalpabile e Matthäus, non ancora del tutto recuperato dall’intervento al ginocchio subito in estate, che si accende a corrente alternata.
La stagione prosegue tra alti e bassi, tra un derby pareggiato per 1-1 con una prestazione che sembra il preludio ad una rinascita nerazzurra e una bruciante sconfitta per 2-1 a Torino contro la Juve. La contestazione contro una squadra che appare incerta e fragile, soprattutto al confronto con la solida Inter dei record ancora nella mente di tutti, monta inesorabilmente, ma il presidente Pellegrini continua a ribadire la sua fiducia nell’allenatore.
La sconfitta e le dimissioni
Il 19 gennaio 1992 a Bergamo si gioca Atalanta-Inter, una settimana dopo che i tifosi hanno duramente contestato la squadra che aveva battuto a fatica il Bari a San Siro e che era a quota 18 punti dopo 15 giornate, in zona UEFA ma decisamente staccata dalla vetta.
La partita finisce 1-0 per l’Atalanta grazie ad un rigore trasformato da Bianchezi, e a fine partite Orrico si presenta scuro in volto davanti ai microfoni:
“Ritengo che la mia presenza qui all’Inter sia, secondo le mie valutazioni, ormai più negativa che positiva, quindi è bene che tolga il disturbo e siano altri a proseguire il lavoro. […] Esatto, sono io il colpevole, mi assumo tutte le responsabilità di questa situazione e dico che ho fallito io e non l’idea che avevo e che ritengo tuttora valida per questa squadra”
Le dimissioni di Orrico sono irrevocabili, nonostante Pellegrini cerchi in tutti i modi di far cambiare idea all’allenatore. L’allenatore lascia la squadra e metà dello stipendio più ricco che abbia mai visto in carriera (e che mai vedrà) per tornare nella sua Toscana.
Anni dopo Orrico dirà che fu una scelta istintiva e sbagliata, frutto di un crollo nervoso. Con una vittoria l’Inter (e una partita con la Cremonese ancora da recuperare) l’Inter sarebbe potuta risalire al quarto posto, di certo non lottare per lo scudetto ma cercare di ottenere un buon piazzamento.
La squadra fu invece affidata a Luis Suarez, che non riuscì a migliorare la situazione: la squadra scivolò addirittura all’ottavo posto, restando fuori dalle competizioni europee, e fu eliminata dalla Juventus in Coppa Italia.
L’idea di trovare un nuovo Sacchi per l’Inter fu rapidamente accantonata da Pellegrini, che nella stagione successiva si affidò nuovamente al taccuino di Beltrami ingaggiando un allenatore esperto e “tradizionale” come Osvaldo Bagnoli, mentre Orrico sarebbe ripartito dalla sua Lucchese, non tornando mai più in una Serie A decisamente poco adatta ad uno spirito come il suo.