Come mai Hector Cuper, un allenatore che per più di due stagioni ha guidato una delle squadre più titolate d’Italia è entrato nel cuore dei suoi tifosi pur non vincendo nulla e anzi, rendendosi protagonista di alcune delle disfatte più clamorose della storia nerazzurra?
Forse perché nonostante le sconfitte, o meglio, proprio per quelle sconfitte Cuper, l’hombre vertical, ha incarnato al meglio lo zeitgeist, lo spirito del tempo che ha permeato quell’intera epoca interista.
Chi era Hector Cuper e perché arrivò all’Inter
Hector Cuper, nato a Chabas, in Argentina, nel 1955, era stato un difensore di un certo spessore in patria, arrivando anche a collezionare qualche presenza con l’Albiceleste a metà degli anni ‘80. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, intraprese la carriera di allenatore con l’Huracan, arrivando a sfiorare un clamoroso titolo di Clausura nel 1994, sfuggito solo all’ultima giornata a causa della sconfitta contro l’Indipendiente quando sarebbe bastato un pareggio.
Dopo un biennio al Lanus, con cui riesce a conquistare una Coppa CONMEBOL nel 1996, sbarca in Europa, alla guida del Maiorca. Arrivò in finale prima di Coppa di Spagna e poi di Coppa delle Coppe, perdendo entrambe le volte, prima con il Real Madrid e poi con la Lazio. Dal 1999 al 2001 passa al Valencia, risollevando il club in campionato al punto di arrivare anche a disputare due finali consecutive di Champions League, perdendo ancora una volta con il Real Madrid prima e contro il Bayern Monaco (ai rigori) poi.
Nonostante nella sua esperienza spagnola conquisti anche due Supercoppe di Spagna, inizia a farsi strada la nomea dell’”eterno secondo”, o del “perdente di successo”. In realtà il suo Valencia, nonostante le sconfitte, ha incantato tutta Europa, al punto che Massimo Moratti, in preda a quel romanticismo un po’ nostalgico che ha contraddistinto tutta la sua presidenza interista, lo vede come l’erede ideale di Helenio Herrera, un nuovo allenatore argentino con cui cercare di ripetere i successi della Grande Inter costruita da suo padre Angelo.
Il sogno di Cuper come nuovo Herrera
Massimo Moratti è reduce da tre stagioni in cui si sono avvicendati ben 6 tecnici sulla panchina dell’Inter. Dopo l’esonero di Gigi Simoni nella stagione 98/99, a cui sono succeduti nell’arco di pochi mesi Mircea Lucescu, Luciano Castellini e Roy Hodgson, Moratti aveva puntato sul fautore degli ultimi successi juventini, ovvero Marcello Lippi. L’esperienza di Lippi all’Inter si rivelò disastrosa su più livelli, ma la sua sostituzione con Marco Tardelli portò ad ulteriori umiliazioni come un derby perso per 0-6.
Moratti individuò in Cuper l’uomo adatto a riportare carattere e orgoglio nella squadra nerazzurra e tornare ad una vittoria in campionato che mancava ormai da 13 anni. Cuper arrivava ad allenare una delle coppie d’attacco potenzialmente più forti della storia, ovvero Ronaldo e Christian Vieri, e fu accontentato dal presidente nei vari acquisti, come il pupillo di Valencia Kily Gonzales e altri giocatori più adatti a giocare sulla fascia del suo 4-4-2 rispetto a talenti come Clarence Seedorf, che con il tecnico argentino fu poi sacrificato in uno scambio con il Milan per aggiungere giocatori meno tecnici ma con più gamba e polmoni.
L’Inter di Cuper, tutta sudore e orgoglio con quel problema a sinistra
Cuper ebbe in dote una rosa ricca di centrocampisti adatti al suo gioco: centrali fisici e in grado di assicurare copertura e geometrie come Luigi Di Biagio, Cristiano Zanetti o Stephan Dalmat, ali veloci e instancabili come Kily Gonzales e Sergio Conceiçao capaci di sfornare cross per Christian Vieri o per i suoi sostituti Mohammed Kallon e Nicola Ventola. La rosa interista rimaneva sempre però molto sbilanciata, con una qualità impressionante nei giocatori avanzati ma con evidenti lacune nel reparto arretrato, dove, oltre ai centrali titolari Ivan Cordoba e Marco Materazzi e al capitano Javier Zanetti sulla fascia destra, non si registravano alternative di livello, per non parlare poi dell’atavico problema del terzino sinistro.
La fascia di sinistra difensiva dell’Inter era sempre stata un problema dall’addio di Roberto Carlos nel 1996, ma con Lippi sembrava che si fosse trovato un sostituto dignitoso come il greco Grigoris Georgatos. Ma il greco cadde preda alla nostalgia di casa e dopo una stagione in prestito all’Olympiakos al ritorno a Milano le prestazioni non furono più allo stesso livello. Cuper dovette quindi ripiegare su altre soluzioni, cercando di adattare prima altri difensori come Ivan Cordoba e Nelson Vivas per poi puntare sul giovane slovacco Vratislav Gresko.
Gresko, voluto all’Inter da Marco Tardelli che l’aveva affrontato alla guida dell’Italia Under 21, era alla sua seconda stagione all’Inter, in cui non era mai riuscito a ritagliarsi un ruolo da protagonista ma interpretando dignitosamente il ruolo di rincalzo. Eppure, dall’ennesimo carneade dell’Inter di Moratti, che aveva visto andare e venire decine e decine di giocatori, sarebbe diventato un vero e proprio incubo per il tifoso interista nella seconda metà della stagione 2001/2002.
In particolare, l’equivoco tattico creato da Alvaro Recoba, pupillo del presidente Moratti e giocatore capace di risolvere le partite con veri e propri lampi di genio, creò una serie di problemi a Gresko. Cuper, fedelissimo al suo 4-4-2 che prevedeva due punte vere in attacco, faticava a vedere il talento uruguaiano come attaccante, arrivando spesso a schierarlo sulla corsia sinistra del centrocampo. In questa maniera però veniva a mancare totalmente il supporto difensivo a Gresko sulla stessa fascia, lasciando lo slovacco in balia degli avversari e preda di brutte figure.
Lo psicodramma del 5 maggio
L’Inter di Cuper nel corso dell’inizio del 2002 è in testa alla classifica nonostante infortuni a ripetizione e una forma fisica sempre più precaria, riuscendo spesso a vincere le partite grazie alla tenacia e all’orgoglio dei suoi uomini. Non sempre però, e verso fine campionato, dopo una serie di passi falsi, la Juventus arriva ad un solo punto di distacco, e la Roma a due. All’ultima giornata di campionato i nerazzurri giocano a Roma contro la Lazio, in uno stadio popolato da una tifoseria gemellata che accetterebbe di buon grado una sconfitta dei biancocelesti.
Eppure, nonostante tutto sembrerebbe spingere per la vittoria dei nerazzurri, avviene l’impensabile: una prestazione sconcertante della squadra nerazzurra, paralizzata dalla paura e con un Gresko in confusione totale, spiana la strada alla vittoria per 4-2 della Lazio che, a causa delle contemporanee vittorie di Juventus e Roma, fa scivolare l’Inter al 3° posto in classifica.
Esplodono quindi tutti i problemi che lo spogliatoio interista si portava dietro da tempo, con giocatori come Ronaldo e Seedorf poco inclini a seguire le indicazioni tattiche di un Cuper che dai suoi giocatori voleva prima di tutto corsa e sudore, e solo dopo le belle giocate. I due se ne andarono, uno al Real Madrid e l’altro al Milan, e Cuper ottenne giocatori più adatti al suo credo tattico come Hernan Crespo, deputato a sostituire Ronaldo, Francesco Coco, Fabio Cannavaro e Matias Almeyda.
Il derby di Champions e la fine dell’epopea cuperiana
Nella stagione successiva la fiducia in Cuper era decisamente minore, ma il tecnico riuscì a portare avanti un’ottima stagione sia in campionato, chiuso alle spalle della Juventus ma precedendo il Milan al secondo posto, che in Champions League, dove venne eliminato solo in semifinale nel doppio confronto contro il Milan giocato con un attacco falcidiato dagli infortuni.
La beffa dell’eliminazione per il doppio pareggio nel derby europeo fu probabilmente la pietra tombale dell’esperienza di Cuper all’Inter. Ormai marchiato con l’etichetta di eterno perdente, Cuper iniziò la stagione successiva con sempre meno fiducia attorno a sé, per arrivare alla rescissione del campionato già in ottobre.
La sua carriera sarebbe proseguita quindi tra alti e bassi, tra un ritorno al Maiorca e una retrocessione con il Parma, per poi giungere a panchine più esotiche nei campionati turchi e arabi e alle nazionali di Georgia, Uzbekistan e Egitto, con il quale perde l’ennesima finale, in Coppa d’Africa nel 2017 contro il Camerun, ma allo stesso tempo conquista una storica qualificazione ai Mondiali del 2018. Oggi è il commissario tecnico della Repubblica Democratica del Congo.
Cosa ha significato Hector Cuper per l’Inter
Una delle differenze più marcate tra il tifoso interista e l’acerrimo nemico juventino è il completo rifiuto del motto bianconero “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, coniato dall’icona della Vecchia Signora Giampiero Boniperti. Per l’interista la vittoria è sicuramente importantissima, ma non tanto quanto l’appartenenza, lo spirito di sacrificio e la volontà di combattere contro le avversità.
Per questo il tifoso nerazzurro, nonostante abbia gioito di vittorie arrivate grazie a personaggi lontani dalla storia dell’Inter come Antonio Conte, ha riservato un posto speciale nel suo cuore ad uno degli uomini che meglio ha incarnato questo spirito interista, pur senza riuscire a vincere nulla. O forse anche proprio per questo.
Alla luce dello scandalo di Calciopoli il ricordo di Hector Cuper è stato in ampia parte rivalutato. L’hombre vertical, l’uomo tutto di un pezzo che dava una pacca sul cuore a tutti i suoi giocatori prima che entrassero in campo, è diventato il simbolo di un’Inter che di fronte alle sconfitte e alle ingiustizie non si è mai piegata, e che ha sempre rivendicato la sua identità con orgoglio.