“Ricordo tutto: l’atmosfera della città, la preparazione della partita, il pubblico, lo stadio gremito come non mai. Ho ancora nelle orecchie il boato dei tifosi, un’emozione grandissima. Era il mio primo anno in serie A, a Vicenza sono diventato calciatore. È qualcosa che resta per sempre”. Lamberto Zauli spalanca gli occhi come fosse ancora lì, al Menti. Come avesse appena segnato al Chelsea nella semifinale di andata della Coppa delle Coppe. Nell’intervista al Corriere del Veneto, lascia scorrere volentieri i brividi, dandoci l’input perfetto per iniziare a raccontare una delle storie più belle del calcio italiano. E non solo.
Nella sua lunga storia, la Lanerossi è stata culla di talenti. Due su tutti, da Pallone d’Oro: Paolo Rossi, protagonista incredibile del secondo posto del ’78 da neopromossi, e Roberto Baggio, già nell’85 il giocatore più forte che avesse calcato il Romeo Menti. Un ventennio di Serie A, alti e bassi, d’onestissima provincia in grado di stupire. Sembrava che il massimo, ai tempi, fosse stato ormai raggiunto. Dieci anni dopo l’approdo di Roby, c’era un’altra porta del destino pronta a spalancarsi.
Dalla Coppa Italia
Stagione 1994-95. Da Renzo Ulivieri, il Vicenza si affida a mister Guidolin. Ha allenato poco e male in Serie A, qualche apparizione con l’Atalanta. In campo, giocatori comunque di spessore: su tutti, Mimmo di Carlo, che oggi siede proprio sulla panchina dei biancorossi. Dall’estero, Guidolin si fa prendere tre calciatori di qualità: il primo è Marcelo Otero, attaccante uruguagio che entrerà nella storia del club; quindi Bjorklund e Mendez. Corsa, tecnica, tanta intelligenza tattica. Poi, il saper soffrire. Tratto fondamentale che il Vicenza manterrà nella – grandiosa – stagione successiva.
Il ’97 è l’anno della Coppa Italia. E della firma di Guidolin, già a inizio stagione: a novembre, infatti, i biancorossi raggiungeranno il primato esattamente vent’anni dopo la squadra di Rossi. Poi, il percorso in Coppa. Tortuoso e perciò bellissimo. Subito fuori Lucchese e Genoa; il Milan ai quarti di finale con l’1-1 a San Siro (super Ambrosetti, dall’altra parte l’ex Baggio) e 0-0 di grinta al Menti che apre l’accesso alle semifinali contro il Bologna del vecchio allenatore Ulivieri. Lì basterà Murgita a scatenare il popolo verso la festa. In finale, l’ultimo grande scoglio: arriva il Napoli, che non vince da un po’ e ha una fame di festeggiare unica nel suo genere.
All’andata, in un San Paolo colmo di numero e passione, Pecchia brucia l’1-0 partenopeo. Si decide tutto al Menti, dove Gimmy Maini pareggia subito la sfida, portando il duello ai supplementari. 118′: punizione di Beghetto, Taglialatela la prende male e Rossi – stavolta Maurizio, ma il romanticismo resta – sigla d’istinto. Nel finale, è 3-0 di Iannuzzi. E i caroselli non si fanno attendere, con Fabbri e Paolo Rossi a godersi lo spettacolo sugli spalti.
La Coppa delle Coppe
Una vittoria storica, che dà al Vicenza l’opportunità di continuare a sbalordire anche fuori dai confini italiani. La terza stagione in Serie A si arricchisce della Coppa delle Coppe: dal mercato arrivano Luiso, Baronio, Coco. Poi ci sono i giovani Zauli e Ambrosini, con loro Stovini e Di Napoli. Saluteranno gli eroi della Coppa, come Murgita e Maini. C’è aria di rinnovamento, e Guidolin sa di aver bisogno di un miracolo soltanto per ripetere quanto accaduto nella stagione precedente.
Comunque, l’Europa. Si parte dal Legia Varsavia: nel primo tempo, Luiso e Ambrosetti si scrollano immediatamente quel filo d’emozione e registrano un uno-due che il Vicenza manterrà fino alla fine. In Polonia, Kacprzak spaventa ma non morde; Zauli mette al sicuro gli ottavi di finale, dove i veneti troveranno lo Shakthar Donetsk. E’ andata bene, decisamente. E lo dimostra la doppietta di Luiso (con aggiunta di Beghetto) che in trasferta regola subito i conti. Ai quarti, i ragazzi di Guidolin trovano gli olandesi del Roda. Anche qui, già in terra straniera, la sorte sorride senza patemi.
Chelsea, Stoccarda e Lokomotiv Mosca a giocarsi un posto in finale. L’urna, invece, a decidere gli accoppiamenti: saranno i Blues a contendere l’epilogo con i biancorossi. La squadra appena diventata di Vialli, con una vecchia conoscenza come Gianfranco Zola ad agitare giornali, opinione pubblica, tifosi. Non era un derby, ma l’accompagnamento (e le pressioni) furono ben diverse.
A un passo dal sogno
2 aprile del ’98. Guidolin li schiera tutti, unendo ciò che è stato a ciò che in quel momento vaga tra sogno e realtà. Mimmo Di Carlo guida una squadra giovane e sfacciata, davanti a loro il Chelsea all’italiana, con Zola, Di Matteo e Vialli in calzoncini a dare indicazioni e non esattamente dalla panchina. Non dovrebbe esserci storia, e invece ne spunta una decisamente bella. Al quindicesimo, Lamberto Zauli estrae dal cilindro un capolavoro: aggancio maestoso, rientra sul destro e piazza il mancino all’angolo opposto. 1-0, rimarrà così fino alla fine del primo tempo.
Alla ripresa, gli inglesi sfiorano più volte la rete: ma niente, la magia non si spezza. Semmai, si rimanda: il 16 aprile, c’è lo scenario da brividi di Stamford Bridge. I giorni di distanza vengono inghiottiti dall’attesa: a Londra c’è una pioggia battente, regala un’atmosfera unica. Unico come il gol di Luiso che scompiglia subito le carte: ancora Zauli sulla fascia, a dribblare e crossare; arriva il Toro di Sora e segna l’ottavo gol in Coppa delle Coppe. Ai Blues servono tre gol per raggiungere la finale. Il primo di questi, arriva da Poyet: male Brivio, benissimo l’uruguagio sulla respinta.
Nel secondo tempo, il Chelsea vola. Si spinge costantemente davanti e il Vicenza inizia ad accusare paura e stanchezza. Vialli corre sulla destra e mette in mezzo per Zola: è solo, in mezzo all’area, non può non segnare. 2-1 e il centravanti ex Juve dà subito ordini dal campo: il vice capisce ed esegue, tirando fuori Morris e lanciando nella mischia Hughes. Sul rilancio del portiere, quest’ultimo sfrutta un errore di Dicara e batte Bivio con un tiro secco, di sinistro. 3-1 e piove, piove anche sulle lacrime venete al triplice fischio.