Un’antica voce popolare rumena fa risalire la caduta al suolo di un alimento, o di una bevanda, al fervente desiderio di quell’alimento, o di quella bevanda, da parte di un defunto parente.
Dovremmo interrogare allora i più autorevoli antropologi e sociologi rumeni per cercare di capire quale fosse il desiderio di un defunto e lontano parente di Georghe Hagi ogni qual volta egli faceva cadere al suolo, imbarazzandolo e cullandolo, l’avversario e il pallone – che quasi sembrava morirgli sul piede, tra collo e punta.
Il “Maradona dei Carpazi”
Il poeta Friedrich Hölderlin, in una delle sue poesie, scrive che «dove è il pericolo, cresce anche ciò che dà salvezza».
Prendete l’infanzia del talento rumeno: egli nasce il giorno – 5 febbraio 1965 – nel quale Nicolae Ceausescu prende il potere in Romania, instaurando una dittatura che costerà cultura, fame e miseria ad un popolo da sempre abituato alla carestia.
Per Hagi il calcio rappresenta qualcosa in più di un semplice riscatto sociale: è l’unica possibilità di salvezza. Quando incanta a 10 e 11 anni con le giovanili del Farul e del Luceafarul – sorta di Academy ante-litteram della Steaua Bucarest – la cosa che sorprende tutti, piccoli avversari e più o meno grandi osservatori, è la dolcezza con cui Hagi si prende gioco del gioco.
Non a caso egli dirà di essersi ispirato, per quel poco che poteva vedere nelle immagini dell’epoca, a Johan Crujiff, il re della finta spiazzante, del calcio dolce e profumato, ma straordinariamente efficace: «da giovane tifavo Steaua – dirà – e sono cresciuto ammirando giocatori come Iordanescu e Dumitru. E poi Johan: era lui il giocatore che mi piaceva di più».
Conosciuto come il Maradona dei Carpazi, Hagi Diego lo conosce all’età di 18 anni, quando dopo un’ottima stagione nella massima serie rumena viene convocato dalla nazionale per una partita amichevole contro la top 11 del campionato spagnolo.
È il 1983 e Maradona gioca ancora al Barcellona, proprio il club dove lo stesso Hagi andrà a giocare dopo l’esperienza di Brescia. Un paradosso, a sentirlo oggi. Quasi non ci si crede, ma è accaduto davvero.
Hagi ha giocato al Barcellona, ma ci ha giocato dopo aver incantato al Brescia e aver stupito mezzo mondo – se solo se ne fosse parlato a dovere – con la Steaua Bucarest, «la miglior squadra del mondo quando ci giocavo io, a 25 anni». È vero. In quattro stagioni nel solo campionato segna 76 reti in 97 presenze, cui si aggiungono 11 reti in 20 presenze in Coppa dei Campioni (sic!). Nel 1987/88 è il capocannoniere del massimo torneo continentale con 4 centri, assieme ad altri 6 calciatori.
L’incredibile passaggio al Brescia
Sul calciatore piomba mezza Europa, ma dopo l’esperienza al Real lui andrà al Brescia.
Pensate però che già all’epoca del passaggio alle Merengues, l’allora presidente del Bologna Gino Corioni rivelò: «per il mio lavoro viaggio da sempre nei Paesi dell’Est. Ho avuto così l’opportunità di conoscere Hagi a 18 anni. Era già un fenomeno. Ricordo che feci di tutto per portarlo a Bologna. Me lo promettevano ma poi cambiavano idea. Questa storia andò avanti per cinque anni finché cadde il regime di Ceausescu e il Real Madrid fu il più lesto ad approfittare della situazione».
Al Real, parlando con Hagi, sono piuttosto chiari: “O ci porti a vincere la Liga o la Copa del Rey, o di rinnovo non se ne parla”.
Così, dopo 84 presenze in camiseta blanca, Hagi va al Brescia dopo aver incantato ma anche “decantato” al Real Madrid.
È il 1992 e quello che è successo è inspiegabile. Uno dei migliori giocatori del pianeta, nel miglior momento della sua carriera, decide di accettare la sfida del presidente Corioni che tanto lo aveva inseguito negli anni precedenti, sbarcando in Lombardia. Non però al Milan o all’Inter, ma nel Brescia – che al netto delle annate successive con i Baggio e i Guardiola, evidentemente ha un legame tutto particolare con i fuoriclasse.
Il Leone è una sorta di Romania-town. Oltre all’allenatore Lucescu, già CT della nazionale rumena, troviamo infatti insieme ad Hagi Sabau e Raducioiu (che al primo anno, concluso in malo modo come vedremo, segnerà ben 13 gol, il miglior marcatore dei suoi) e Mateut.
Se c’è una cosa che distingue Hagi dai compagni di squadra, al di là delle immense qualità individuali, è certamente il temperamento, la leadership naturale abbinata ad una furia interiore che spesso – questo sì, un suo lato negativo e difficile da smussare – gli costa carissimo.
All’esordio viene espulso col Napoli, ma il Brescia pareggia. Così col Toro. Poi due belle vittorie col Pescara e il Foggia di Zeman, e allora via con l’illusione di poter vivere una stagione da protagonisti.
Quel campionato di Serie A è tanto difficile e combattuto che 14 squadre sono racchiuse in 11 punti, e il tempo per le favole di provincia esiste quando è supportato dai fatti. Il Brescia, nato sotto una buona stella e capitanato da una stella assoluta, Hagi appunto, è una vittima di questo equilibrio.
Dopo le belle prestazioni con Juventus e Roma, il Brescia perde 5-0 con l’Ancona e crolla. Il 1993 si apre con tre sconfitte consecutive e nell’intero girone di ritorno i successi saranno cinque in totale. Fino allo spareggio – perso – contro l’Udinese di Bigon al Dall’Ara.
Anche in Serie B
Immaginatevi le offerte per Hagi, che al netto di 5 gol in 31 presenze rimane uno dei migliori centrocampisti del pianeta. Ma lui decide di rimanere in Serie B con la Leonessa: «non sono un codardo».
Hagi rimane e riporta il Brescia in Serie A. In Serie B è la mente e l’anima della squadra che si piazza al 3° posto dietro la Fiorentina e il Bari e torna nella massima serie.
Nel match del Franchi contro la Fiorentina Pasquale Bruno gli cammina furbescamente sulla schiena dopo un contrasto di gioco tra il fuoriclasse rumeno e Iachini. Hagi non ci pensa due volte e gli dà un calcio sulla schiena stile cavallo impazzito. Rosso diretto, neanche a dirlo. Non è un codardo, no signore.
Oltre alla promozione, nella primavera del 1994 trascina i lombardi alla vittoria del Trofeo Anglo-Italiano, con il successo in finale a Wembley sul Notts County – simbolo di un movimento, quello calcistico italiano, in enorme salute.
Dopo 9 gol in 30 gare col Brescia, il Maradona dei Carpazi non può che finire nella città che di Maradona ha fatto un Dio vero e proprio, un salvatore in tutti i sensi: Napoli. Ma il presidente Corioni si impunta, promettendolo al Barcellona, dove Hagi può finalmente approdare dopo varie montagne russe e seguire così i suoi due più grandi maestri: Diego e Johann. La sua promessa al Brescia è stata mantenuta. Non sono un codardo, aveva detto. Non solo, sei un fuoriclasse, Georghe.