Quando, ormai quasi un anno fa, Roberto Mancini convocava Vincenzo Grifo, tutti la presero come una provocazione perfetta: un giocatore da sempre lontano dai radar (in quanto lontano dall’Italia), quasi all’improvviso diventava l’elemento di qualità sul quale fondare il rinascimento azzurro. Erano altri tempi: appena quattrocento giorni fa, per carità, ma nel frattempo è passata acqua sotto i ponti, è arrivata crescita nei punti chiave. Banalmente, sono saliti di livello i giovani. Barella, Sensi, più o meno Bernardeschi. E’ tornata la sostanza lì in mezzo, con i centravanti (da Immobile a Belotti) che continuano a litigarsi la maglia numero nove a suon di gol. Ecco: Grifo poteva essere una bella meteora, una storia da raccontare ai suoi nipoti. E invece Mancini l’ha chiamato ancora, l’ha sempre fatto.
La storia di Vincenzo Grifo
Ritorniamo al novembre 2018. Grifo veniva da un paio d’anni di Friburgo: l’aveva portato avanti in qualsiasi modo. Di gol, di sudore, di corsa e di abnegazione. Ventura lo teneva d’occhio, ma i delicati equilibri di quella Nazionale non avrebbero mai permesso un esperimento così impattante. Del resto, sugli esterni larghissimi del tecnico oggi alla Salernitana, uno come Grifo ci faceva la figura del parmigiano sul primo di pesce: può pure piacere, però al solo sguardo capisci che restano incompatibili.
Mancini l’ha invece studiato: ne ha compreso i movimenti, deducendo che un uomo dalla disciplina tedesca potesse essere un fedele soldatino al suo servizio. Poi non si tratterà di un fuoriclasse, ma fa – con discreta tecnica – quello che chiede esattamente il Mancio. Comunque, in quel novembre, rientra per la prima volta nella lista dei ventisette. Il ct lo conosce e si fida, gliel’ha probabilmente anche consigliato Alberigo Evani: è il vice dell’ex Inter, e nell’Under 20 ha avuto modo di conoscerlo bene.
Analizziamo il ‘chi’, ora. Grifo si trova in Germania, però è italianissimo. Il padre è siciliano, la madre è pugliese. Tifa Inter, e per parecchio tempo ha sognato di stare lì, a combattere per quei colori. Parla perfettamente italiano, madrelingua completo con qualche doppia marcata dall’abitudine al tedesco. Classe ’93: tutto il tempo del mondo, con la clessidra abbastanza lontana. Cresce nell’Hoffenheim; nel 2015, il trasferimento al Friburgo, dopo due prestiti alla Dynamo Dresda e al Francoforte, si rivela la scelta giusta. A casa porterà un bottino pazzesco: quattordici gol e quindici assist, fondamentali per la salita del club in Bundesliga. Ha potenzialmente i movimenti di Cristiano Ronaldo, che chiaramente è il suo idolo (pure per la posizione in campo): però di CR7 ha decisamente meno personalità, vedi l’esperienza con il Borussia Monchengladbach. Un anno di Bundes a ottimi livelli, e poi soffre il salto di livello al BM. Non s’impone mai.
I numeri
Parte da sinistra, si muove sul lato opposto, sa creare superiorità numerica. Grifo è un generoso ed è anche per questo che Mancini potrebbe farne il suo Giaccherini – quello di ‘contiana memoria’ -. Da un anno e mezzo è tornato al Friburgo, dopo sei mesi all’Hoffenheim di sofferenza vera. Alla fine: 7 gol, 7 assist, nella passata stagione.
Quasi duemila minuti giocati per un totale di 26 presenze. Soprattutto, un finale in crescendo. Titolare dalla 17esima alla 34esima, con la sola eccezione del match proprio contro l’Hoffenheim. Storie di destini che s’intrecciano. E di grandi amori che ritornano, come i bianconeri di Germania: il bottino col Friburgo parla di 29 gol e 32 assist in 83 partite. Tanta roba, quasi tutta in Bundesliga.
Con Mancini
E Mancini è uno che studia, non importa ciò che dicono i detrattori. Uno che studia come i panzer tedeschi, i nuovi allenatori super preparati che hanno cambiato il calcio tedesco, trasformandolo quasi in un prodotto da laboratorio. Nagelsmann, trentenne in rampa di lancio che ha cambiato l’Hoffenheim, aveva parlato di Grifo come il ‘miglior giocatore a palla ferma’. Per questo gli aveva tolto gli obblighi da esterno: gli dava un corridoio centrale da sfruttare, perché il campo in ampiezza poteva essere un’arma in più da insegnare a Vincenzo. Ma più palloni equivalevano pure a più responsabilità: è stata forse questa, la vera differenza che non ha aiutato certamente Grifo. Il ruolo da dieci sembrava costruito perfettamente sulle sue abilità: ha finito per abbattere la sua creatività.
Ma con questa Nazionale? La fase finale dell’Europeo è ormai conquistata, gli esperimenti possono tornare. Il Mancio ha richiamato Grifo proprio per capire se possa essere la sua variabile impazzita, soprattutto ora che El Shaarawy si è tirato fuori dai radar per la scelta milionaria della Cina. C’è pure bagarre, da quella parte. A partire da Insigne, passando per Bernardeschi, vedendo la crescita di Berardi e il ritorno di Candreva. Soprattutto, la trasformazione in campione di Chiesa. Eppure, un po’ di spazio per Grifo può pure arrivare, magari proprio all’Europeo. Il motivo? Ne tracciamo uno, che poi è quello fondamentale: nella difesa alta della Nazionale, Vincenzo calza a pennello. Perché è uno che prende palla a centrocampo, la distribuisce, crea movimenti (e lì ritorniamo a Nagelsmann). Difesa in avanti e palleggio, tanto palleggio. E’ un giocatore coerente con questo nuovo azzurro che brilla. Che può fare la differenza. Allora: perché no?