L’impresa della Grecia che nel 2004 riuscì a vincere gli Europei di calcio, si potrebbe definire un vero e proprio “miracolo sportivo”.
Ma come in ogni exploit che si rispetti, si possono poi analizzare vari aspetti di quella performance fuori dal comune: fortuna, volontà, accadimenti particolari e quant’altro. In questo caso, la variabile che ha inciso più di tutti però, ha probabilmente un nome e un cognome. Otto Rehhagel.
La costruzione di un’impresa
Prima di arrivare a quel fatidico europeo infatti, c’è da fare un passo indietro. Più precisamente nell’agosto del 2000, quando l’allenatore tedesco Otto Rehhagel, prese la guida della nazionale greca.
Rehhagel del resto, non era nuovo a imprese importanti. Aveva già fatto qualcosa di straordinario vincendo il campionato tedesco per due volte con il Werder Brema, e un vero e proprio miracolo portando per la prima e unica volta nella storia della Bundesliga, una neopromossa a vincere il titolo (il Kaiserslautern nel 1998).
Nessuno ovviamente gli aveva posto obiettivi tanto ambiziosi quando lo avevano sistemato sulla panchina ellenica, mirando più che altro ad ottenere una qualificazioni agli Europei del 2004 che sarebbe stato già un successo in vista delle Olimpiadi di quello stesso anno, da giocare proprio ad Atene.
La squadra rilevata da Rehhagel però, non era minimamente all’altezza e nella sua prima uscita, ne ricavò un pesantissimo 5-1 dalla Finlandia che è servito quanto meno a rimettere tutto in discussione. Ed è qua infatti, che si è vista l’impronta del tedesco: fuori alcune colonne storiche della formazione (dall’ex Inter Georgatos, passando per il portiere titolare Eleftheropoulos e una delle stelle del periodo, Zikos), spazio invece all’unità del gruppo e, in assenza di grandi talenti, a un gioco molto concreto e difensivo, senza troppi fronzoli.
Con quegli aggiustamenti, la Grecia riuscì a qualificarsi come prima del suo girone, tenendo dietro le più quotate Spagna e Ucraina, subendo appena 4 reti in otto partite. Si presentò così all’Europeo in Portogallo, raggiungendo per la seconda volta la fase finale del torneo nella sua storia.
La qualificazione impossibile
Il sorteggio mise però gli ellenici in un gruppo ritenuto impossibile, con i padroni di casa del Portogallo, la Spagna e la Russia. Obiettivo primario quindi, evitare le brutte figure e provare a fare del proprio meglio.
Per tutti, prima della gara di esordio dell’Europeo, la Grecia era in effetti una sorta di “cenerentola”, al pari della Lettonia o poco più. Le cose cambiarono subito, quando il 12 giugno allo stadio Dragai di Oporto, il fischio finale dell’arbitro chiude il match con i padroni di casa sconfitti per 2 reti a 1.
Non sono bastati i vari Rui Costa, Luis Figo e Cristiano Ronaldo (in gol, ma solo al novantesimo), la Grecia di Otto Rehhagel aveva tenuto per tutta la partita approfittando di due sbavature avversarie, punite con i gol di Karagounis già dopo sei minuti di gioco, e poi con il raddoppio di Basinas a inizio ripresa.
Una svolta totale nelle ambizioni di entrambe le squadre, con il Portogallo che si riprende prontamente vincendo poi le successive due gare (contro la Russia e contro la Spagna), facendo bastare alla Grecia quel pareggio contro gli iberici che gli garantisce una quanto mai improbabile qualificazione.
Le grandi deluse e le grandi sorprese
Che ci sia qualcosa di strano in questo Europeo, lo si comincia a notare anche dalle incredibili ed eccellenti eliminazioni della prima fase. Fuori come detto la Spagna (che è agli albori di quello che sarà poi il ciclo più vincente della nazionale iberica), così come l’Italia di Cassano (che uscirà imbattuta dal torneo, fuori solo per differenza reti contro Svezia e Danimarca) e la Germania.
Quando poi ai quarti di finale, il Portogallo ha la meglio sull’Inghilterra dopo una lunga battaglia chiusa solo ai calci di rigore e soprattutto la Grecia elimina i campioni in carica della Francia (con Zidane, Henry e Trezeguet incapaci di avere la meglio sulla ferrea difesa ellenica), ecco che i lusitani cominciano davvero a sperare sia l’anno buono.
Lo stesso peraltro che aveva visto l’altrettanto miracolosa vittoria del Porto di Mourinho in Champions League, quasi un segno delle speranze dei tifosi di casa per un incredibile “bis” con la nazionale.
A un passo dalla gloria: le semifinali
Per i padroni di casa, l’ostacolo verso il titolo si chiama soprattutto Van Nisterlooy, bomber che aveva già messo a segno quattro reti nel torneo. Ma a Lisbona è il Portogallo a fare la partita, con la nazionale Orange che solo nel finale prova ad agguantare almeno il pareggio dopo che Ronaldo e Maniche avevano messo la partita sui binari giusti fino al sessantesimo. Il 2-1 finale lancia i lusitani verso il titolo.
Che sembra praticamente certo, quando dall’altra parta la Grecia riesce miracolosamente a eliminare un altro avversario ostico, la Repubblica Ceca. Novanta minuti di assalto per i vari Nedved, Rosicky, Koller e Poborsky, senza però riuscire ad abbattere il muro ellenico. E ancora una volta la Grecia è brava a tenere alla distanza, sfruttando le poche occasioni concesse, come quella che al 105° del supplementare capita a Dellas, che mette in rete e regala il miracolo della finalissima, da giocare contro i super favoriti dei padroni di casa.
L’epilogo che non ti aspetti
La Grecia in finale era già di per sè, un qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Un favola con un lieto fine a prescindere dal risultato. Tanto che ormai, non c’è portoghese che non si senta il titolo in tasca, nell’anno in cui i lusitani sembrano benvoluti da ogni divinità del calcio.
Ma il destino, lo sappiamo, è spesso beffardo e riserva sorprese proprio quando meno te lo aspetti. Non basta infatti un possesso palla quasi totale per i padroni di casa, nè gli 11 tiri verso la porta avversaria, nè i 10 calcio d’angolo concessi. Per Ronaldo e compagni la porta sembra stregata.
Non lo è invece quella protetta da Ricardo, che al 57° si fa beffare da Charisteas dopo un’uscita improbabile. I sessantacinquemila dell’Estadio da Luz di Lisbona sono ammutoliti (così come qualche altro milione davanti alla televisione). A nulla serve l’assalto finale, per la verità piuttosto sconfusionato, contro la solida difesa della Grecia.
Al fischio finale dell’arbitro Merk, i giocatori in maglia rossa sono pietrificati e in lacrime. Mentre è incontenibile la gioia dei greci, che faticano a credere in quella che è probabilmente una delle imprese più incredibili (e improbabili) nella storia del calcio a questi livelli.
Una vittoria irripetibile, così come non si sono ripetuti i protagonisti di quell’impresa: il capitano Zagorakis andrà al Bologna senza lasciare alcun segno nelle trentadue presenze di campionato, Vryzas metterà a segno solo 4 reti nella stagione con la Fiorentina, Karagkounis otterrà appena 21 sporadiche presente in due stagioni all’Inter. Solo un po’ meglio la parentesi di Dellas alla Roma, ma in generale come detto, nessuno degli eroi dell’Europeo riuscirà poi a riproporsi ad altissimi livelli.
Così come “Re Otto”, che resterà però alla guida della Grecia fino al 2010, consapevole di avere molti dei meriti di questa pazzesca impresa.