L’europa era da poco uscita dagli orrori della seconda guerra mondiale, ma come spesso accade dal fuoco delle macerie nascono nuove storie fantastiche da vivere.
La “generazione di fenomeni” che nella prima metà degli anni cinquanta ha costruito il mito della “Squadra D’oro” (Aranycsapat), è qualcosa di difficilmente ripetibile nella storia del calcio. La nazionale ungherese resta così il più fulgido esempio di imbattibilità, spettacolo e romanticismo su un campo da calcio. Una favola senza lieto fine (stroncata dalla rivoluzione) e senza la ciliegina sulla torta (con quell’incredibile mondiale perso nel ’54). Ma pur sempre una favola.
La nascita della grande Ungheria: Gustav Sebes
Per parlare di quella che probabilmente è stata una delle più grandi nazionali di tutti i tempi, non si può che cominciare descrivendo la figura del suo allenatore, Gustav Sebes.
Buon mediano da calciatore, la sua capacità quasi maniacale di curare anche i più piccoli dettagli tattici ne fece la figura ideale per plasmare quel gruppo che diventerà poi la “Squadra d’Oro” del calcio mondiale. Un merito però che lo stesso Sebes però divise poi con i suoi stessi calciatori, visto che a suo dire “l’allenatore può fare un lavoro efficace solo se il giocatore dispone di un’intelligenza di gioco speciale…la capacità non è tutto e non serve a molto se non si accompagna con l’esercizio, l’allenamento, e un corretto modo di comportarsi e di vivere”.
E in effetti parlare di un vero modulo vincente per quella Ungheria sarebbe limitante. Certo il “Sistema” di Vittorio Pozzo e di Hugo Meisl furono di grande ispirazione per Sebes, con in più l’idea di trasformare la classica punta di sfondamento, in un attaccante capace anche di manovrare e arretrare all’occorrenza. Il Modulo “M” divenne così marchio di fabbrica di quella squadra, ma forse non il punto centrale che la portarono al trionfo.
Gli uomini giusti, con la guida giusta
La grande capacità di Sebes però non si limitò a mettere giù una squadra tatticamente ben disposta, ma anche se non soprattutto nel lavorare umanamente con una generazione di talenti che più che di istruzioni in campo, avevano bisogno di una guida umana.
La stessa esplosione di Hidegkuti (che poi diventerà un perno essenziale dell’attacco ungherese), è merito proprio della perseveranza del suo allenatore, con un campione che fino a un certo momento non aveva saputo mai dimostrare il suo talento in nazionale, tanto da venire aspramente criticato in molte occasioni.
Ma al di là dei meriti del “manico”, è indubbio che quella squadra riusciva in campo a giostrarsi perfettamente anche da sola. Non a caso quasi tutti erano capaci di svolgere più ruoli e coprire varie posizioni del campo durante ogni partita, e come raccontato dallo stesso Puskas (forse il più rappresentativo di tutti in quanto a qualità e talento), il segreto delle loro vittorie era più che altro la voglia di giocare fino allo spasimo, cercando semplicemente di buttare la palla in fondo al sacco.
E forse è proprio quella naturalezza di far apparire tutto facile, una delle proprietà maggiori dei grandi campioni.
Chi erano gli interpreti di quella grande squadra
Diversi giocatori si sono avvicendanti in quei cinque anni di gloria, ma è indubbio che una colonna portante fissa era l’anima vera e propria di quella squadra ricca di campioni irripetibili.
Tra i pali uno dei più forti portieri di tutti i tempi, Gyula Grosics (soprannominato la “Pantera Nera”). Innovatore anche in fatto di gioco, visto che fu uno dei primi nel ruolo a giocare spesso anche con i piedi portando la palla oltre la propria area di rigore.
Davanti a lui una linea di difesa se non proprio fenomenale, di certo di alto livello. Buzanski e Lantos erano due terzini molto validi, e Lorant uno stopper vecchia maniera piuttosto ostico. Aiutati nel loro compito però, da una linea di mediana probabilmente tra le più forti di sempre. Zakarias nella sua corsa infaticabile e Bozsik che invece incarnava insieme sia la potenza del mediano, sia la capacità e la visione di gioco dei grandi registi del centrocampo.
Poi ma “M” di attacco, un coacervo di qualità, piedi buoni e tanto talento. Le ali Toth e Czibor capaci di penetrare ogni difesa e fornire palloni su palloni. Davanti niente meno l’incredibile Puskas, che oltre a segnare qualcosa come 352 reti (in 341 partite) per l’Honved in Ungheria, approdò poi anche al Real Madrid confermando di essere uno degli attaccanti più forti di sempre in assoluto, e contribuendo ai successi dei blancos con i suoi 156 gol (in 180 partite). A fianco di Kocsis, suo compagno anche nell’Honved, ma rivale invece in terra di Spagna visto che approdò al Barcellona (49 reti in 165 partite).
La ciliegina sulla torta era Nandor Hidegkuti, sulla carta primo attaccante, ma che come detto svolgeva invece anche i compiti del classico trequartista, proponendo gioco e rifornimenti oltre a difendere all’occorrenza. Non per questo meno prolifico però, sia nel campionato ungherese (sponda MTK Budapest però, con 238 gol), sia in nazionale dove realizzò comunque 39 reti in 69 presenze.
Le grandi vittorie della nazionale ungherese
La nazionale ungherese guidata da Sebes, fu letteralmente imbattibile nei primi anni cinquanta. 32 partite senza sconfitte (e con 4 soli pareggi) dal 4 gugno del 1950, fino alla finalissima mondiale del luglio 1954.
In mezzo la trionfale cavalcata alle Olimpiadi del 1952, con una medaglia d’Oro che contribuì a soprannome dei magnifici ungheresi (in quell’occasione sconfisse anche l’Italia per 3-0 negli ottavi di finale), la vittoria della Coppa Internazionale nel 1953 e non in ultimo, la vittoria allo stadio Wembley in amichevole contro i leoni d’Inghilterra, con un roboante 6-3 finale che fu anche la prima vittoria in assoluto di una squadra del Continente (oltre a dimostrare una superiorità imbarazzante).
Superiorità dimostrata anche ai mondiali in Svizzera del 1954, che avrebbero potuto essere la ciliegia sulla torta di un ciclo storico. Avrebbero.
I mondiali del ’54 e il “Miracolo di Berna”
Partiamo dallo spoiler finale: la nazionale ungherese non riuscì ad alzare quella coppa mai così così meritata come in quella circostanza. Malgrado tutti i favori dei pronostici infatti, quel campionato fu stregato nel suo finale.
Nei due gruppi di qualificazione la superiorità degli ungheresi è palese. Nelle prime due partite del girone seppellisce sotto una valanga di gol sia la Corea del Sud (9-0) che, soprattutto, per 8-3 quella Germania Ovest che poi si ritroverà in finale.
Il tabellone dei playoff però è terribile per Sebes e compagnia. Ai quarti domina il fortissimo Brasile per 4-2, in quella però che è anche definita come “la battaglia di Berna” tanto fu dura dal punto di vista fisico (giocata senza la stella Puskas, già uscito con la caviglia malridotta dopo la partita contro la Germania dei gironi). Poi nella semifinale, è la volta della sfida che per molti è la vera finale anticipata, con l’Uruguay campione in carica che aveva appena eliminato gli inglesi. E in effetti è una partita bellissima, terminata solo dopo due accesi supplementari che regalano la vittoria agli ungheresi per 4-2.
In finale la Squadra d’Oro affronta i tedeschi già battuti nettamente ai gironi, e torna in campo anche Puskas pur con una caviglia ancora dolorante. E’ proprio lui a portare subito in vantaggio l’Ungheria, che all’ottavo è già sul 2-0. Sembra una formalità la conquista di un meritatissimo titolo, ma pian piano la stanchezza e gli acciacchi vengono fuori, e malgrado domini la partita sfiorando più volte il gol, sono i tedeschi a trovare il pareggio e poi, a pochi minuti dalla fine, l’incredibile gol vittoria che nega la gioia alla formazione di Sebes e fa echeggiare l’inno della Germania per la prima volta dopo la guerra mondiale.
La fine di un ciclo
La vittoria tedesca scatena una serie di critiche contro Sebes, rompendo l’incanto che sembrava avvolgere quella squadra. L’Aranycsapat sembra un ricordo lontano, e l’allenatore artefice di quel giocattolo quasi perfetto passò in un attimo da eroe a nemico, come capitava spesso di quei tempi e non solo da quelle parti.
Ma oltre alle critiche tattiche (gli si imputava aver fatto giocare un Puskas non in forma, oltre a qualche modifica tattica nella finale che non aveva portato i frutti sperati) e alle aggressioni che coinvolsero Sebes tanto da essere esonerato da lì ai due anni successivi, a mettere definitivamente la parola fine alla squadra più forte del mondo, fu la storia. L’arrivo dei carri armati sovietici a sedare la rivolta ungherese, convinse diversi grandi campioni di quella squadra a non tornare in patria in quei giorni, mentre erano all’estero per una serie di partite dell’Honved (dove militava il grosso della nazionale).
Puskas, Czibor, Kocsis e altri presero dimora in Spagna per lo più, vestendo le maglie di Real Madrid e Barcellona, contribuendo ulteriormente a scrivere pagine della storia del calcio. In quello stesso libro che, ancora oggi, descrive quell’Ungheria come una delle squadre più forti mai viste in campo, a cui è probabilmente mancato solo quell’attimo fuggente perso durante la finale del campionato del mondo. Anche se forse a volte sono le sconfitte più epiche, a rendere la storia dei vincitori ancora più importante.