La carriera e il mito di Gigi Riva è legato indissolubilmente alla storia del Cagliari, con il suo nome in bella evidenza nell’unico titolo di Serie A conquistato dai sardi nel 1970 e in quelle stagioni dove dal 66 a 70 conquistò per tre volte il titolo di capocannoniere.
Ma oltre al rosso e al blu c’è anche un’altra maglia che, nel bene e nel male, ha condizionato fortemente la vita calcistica dell’attaccante: la maglia azzurra. E quella tra Riva e la nazionale è una storia che ha visto tutto lo spettro dei colori, dal verde della vittoria agli europei, al giallo (oro) della finale contro il Brasile.
Dal bianco della Germania in quella che è stata la partita più bella della storia del calcio, al rosso dell’ambulanza che per ben due volte lo ha portato via dallo stadio con una gamba spezzata.
Perchè Gigi Riva ha dato tanto alla nazionale italiana con i suoi 35 gol in 42 presenze, ma oltre alla gioia della rete e delle vittorie, oltre la sudore che ha sempre bagnato di lavoro e fatica la sua maglia, non sono mancate le lacrime, di dolore.
L’esordio in nazionale e il primo infortunio
A far indossare per la prima volta la maglia della nazionale a Gigi Riva fu Edmondo Fabbri, che a soli 20 anni lo fece esordire contro l’Ungheria in un’amichevole, anche se poi (per fortuna o purtroppo a seconda dei punti di vista), non lo convocò per il disastroso mondiale del 1966 (e la storica sconfitta contro la Corea del Nord).
La crescita di Riva in questi anni è esponenziale. L’anno successivo segna 18 reti in Serie A (sarà poi capocannoniere) fino al fatidico mese di marzo, quando è Helenio Herrera a metterlo al centro dell’attacco azzurro contro il Portogallo.
E lui come sempre ci mette tutto l’ardore e l’anima che quel numero 9 sulla schiena richiede. Fermato soltanto da un devastante scontro contro il portiere avversario (Americo Lopes), venendo poi portato via in barella sotto gli sguardi attoniti del pubblico dell’Olimpico di Roma. L’esito delle lastre è terribile: frattura del perone della gamba sinistra. Una mazzata per il giovane varesino che stava cominciando a spiccare il volo.
Ci vollero parecchi mesi prima di rivederlo in campo, ma quello stop forzato se possibile rafforzò ancora di più la sua determinazione, e già nel novembre del 1967 alla successiva convocazione di Valcareggi, Riva rispose presente segnando il suo primo gol con la maglia azzurra (non con il numero nove però, che considerava sfortunato), che fu anche il primo gol segnato da un giocatore del Cagliari con la nazionale, tanto per mettere un altro mattone di storia con scritto il suo nome.
Gli anni d’oro con la nazionale
È il momento magico per l’attaccante, che da quel suo primo gol ne segnerà poi altri 21 nelle 22 partite giocate che portano al magico europeo del 1968. L’Italia senza Gigi vince solo alla monetina la sfida contro la Russia in semifinale, e pareggia la finale contro la Jugoslavia costringendo alla ripetizione del match. Lì Riva può finalmente scendere in campo e non a caso firmare il gol del definitivo 2-0 che consegna all’Italia il suo primo trofeo continentale.
Si arriva così al 1970, che sarà un anno davvero molto particolare in tutti i sensi possibili. Con i sardi si aggiudica uno storico scudetto (proprio grazie a Domenghini e Gori, arrivati sull’isola dall’Inter dopo lo storico trasferimento di Boninsegna) ed è ancora una volta il primo dei marcatori (con 21 reti segnate). Mentre con la nazionale è protagonista di un mondiale che sarà comunque indimenticabile. Quella semifinale con la Germania vinta per 4-3 (dove manco a dirlo Riva entra nel tabellino marcatori) è a tutti gli effetti “la partita del secolo”, pur seguita purtroppo da una finale segnata contro il Brasile che lascia l’amaro in bocca a una nazionale che meritava quella vittoria (ma dall’altra parte c’era comunque un certo Pelè…).
Riva ora è all’apice della sua maturazione, e anche nella stagione successiva le cose sembrano inziare nel migliore dei modi. Dopo una doppietta segnata a S.Siro contro l’Inter (che regala la vittoria per 3-1 ai sardi che dominano la squadra di Herrera e sembrano avviati ad un’altra annata di successi) è proprio Gianni Brera a coniare per lui il soprannome di “Rombo di Tuono”.
Siamo in cima alla vetta. Ma come spesso accade, più in alto si sale, più forte sarà la caduta.
Il secondo infortunio di Riva
“Rombo di Tuono” sembra inarrestabile, così a ottobre quando gli azzurri scendono in campo per la prima partita di qualificazione ai prossimi europei, è ancora lui a guidare l’attacco nonostante una leggera influenza. Con il senno di poi sarebbe stato meglio un febbrone per tenerlo a riposo, ma forse non si sarebbe fermato ugualmente.
La partita è sui binari giusti, con l’Italia in vantaggio al Prater contro l’Austria per 2-1, quanto il mediano Hof falcia Riva colpendolo violentemente sulla gamba destra. Mani al volto per Gigi che non lasciano presagire nulla di buono, così come la reazione ben più scomposta di Domenghini che si lascia andare a gesti disperati rendendosi presto conto della gravità del danno.
Alla clinica universitaria di Vienna il professor Spengler applica un gesso alla gamba di Riva, dopo aver diagnosticato la frattura del terzo inferiore del perone destro, oltre alla lacerazione parziale dei legamenti. Una sentenza che è anche meno tragica di quanto successe qualche anno prima: allora furono almeno sei i mesi di riabilitazione, in questo caso forse ne sarebbero bastati due o tre (anche se poi saranno di più).
La differenza è che nel primo caso si era infortunato un giovane attaccante in rampa di lancio, qua invece tutti gli occhi dei media e dei tifosi erano puntati su di lui, che a tutto questo clamore mediatico volto a creare una certa retorica dell’eroe ferito, risponde in prima persona con una dichiarazione in cui sottolinea come non si presterà a nessuna recita isolandosi poi da giornalisti e televisione per tutto il periodo successivo all’incidente.
Un silenzio che farà però tanto rumore, così come la sua assenza in campo, con il Cagliari che da quel momento non solo non riuscirà ad andare avanti nella sua prima esperienza di Coppa Campioni, ma anche in campionato sembra aver smarrito ogni sicurezza.
A complicare ulteriormente i rapporti tra Riva e i media, il gossip su una sua presunta storia d’amore, che non fa altro che chiudere ancora più il campione in una sua personale prigione in cui cerca di tenere tutto il resto del mondo extra calcistico fuori. Lo scotto da pagare per la sua popolarità, sembra un prezzo troppo alto per un uomo schivo come lui.
Un atteggiamento che si riflette in parte anche sulla nazionale, quando prima di una partita da giocare proprio a Cagliari, Riva per polemica si rifiuta sia di andare a trovare in giocatori in ritiro sia di andare poi allo stadio per la partita. Per tutta risposta, Valcareggi non schiererà nemmeno un giocatore del Cagliari in quel match, peraltro perso per 2-1 scatenando le ire del pubblico, già piuttosto provato da una stagione mediocre dopo le gioie dello scudetto.
Bisognerà aspettare Marzo per rivederlo in campo contro la Juventus in campionato (ancora molto provato e zoppicante però) e addirittura fino al settembre successivo per ritrovarlo in maglia azzurra. Un anno pieno di difficoltà, dubbi, insidie, malumori e sofferenze. Ma Gigi Riva è ancora lì, con le due gambe fratturate ormai guarite e un passo mai così deciso.
L’ultima rinascita
Dopo quell’annata tormentata, “Rombo di Tuono” tornò ancora a farsi valere.
Nel Cagliari (con 21 reti in 30 partite) che fece un’altra stagione da grande squadra con un buon quarto posto finale, e nella nazionale dove a suon di reti (compreso un poker al Lussemburgo nel 1973) diventò il miglior marcatore in assoluto dell’Italia con i suoi 35 gol (record che ancora gli appartiene).
L’ultima partita in azzurro fu nel campionato del mondo disputato in Germana, nel 1974, contro l’Argentina. Un momento anche quello non troppo felice per lui, quando anche il Cagliari, la società a cui aveva dato tutto in quegli anni, cercò ripetutamente di venderlo per fare cassa incassando però il “No” dell’attaccante che venne quasi messo con le spalle al muro accusandolo di essere responsabile per i mancati rinforzi.
Inutile dire che anche in quel caso la risposta di Riva fu pronta e decisa, non accettando affatto quel ruolo di capro espiatorio che faceva ancora più male considerato le tante gioie che aveva dato a quei colori (con cui rimarrà comunque fino a fine carriera, nel 1976, anche in quel caso costretto al ritiro per un infortunio agli adduttori che non riuscì più a guarire).
Così come quelle che in tutti quegli anni aveva dato alla maglia azzurra, rischiando per ben due volte non solo le sue gambe, ma la sua stessa carriera. Riva ha ripagato tutti con i suoi gol, sul campo. Che è l’unico luogo in cui voleva essere giudicato e apprezzato.