Nell’immaginario collettivo sono tantissimi i campioni che vi stazionano senza avere terminato quella parabola che avrebbe permesso loro di regalare una quantità di gioie ed emozioni ai propri tifosi. Uno di questi è Gigi Meroni.
Il calciatore atipico
Cominciamo subito col dire che Luigi Meroni nacque a Como il 24 febbraio del 1943, un periodo non esattamente tranquillo per quella che allora era un’Italia in pieno conflitto mondiale.
Nulla della sua storia di uomo prima e calciatore poi, può essere ricondotta a qualcosa di socialmente, umanamente e convenzionalmente “normale”, “comune”.
Non amava le regole, ha sempre dichiarato che esse fossero istituite per essere cambiate con frequenza, laddove cambiate non faceva rima con trasgredite
Era una persona eccentrica, precursore di un mondo che sarebbe arrivato un paio di decenni dopo la sua nascita e qualche anno dopo la sua morte, la fine degli anni 60 e i rivoluzionari ’70.
La carriera e l’amore dei granata
Meroni cominciò a dare calci ad un pallone appena le piccole gambette riuscirono a reggere il minuto corpicino che minuto sarebbe rimasto fino alla sua tragica scomparsa.
Erano gli anni vissuti a Como, dove un cortile ampio, ma sempre di un cortile stiamo parlando, ospitò le sue prime pallonate ad un muro scrostato e martoriato dal ruvido cuoio dei palloni dell’epoca.
La prima parte della sua infanzia trascorse con i santi crismi di una difficoltà dietro l’altra.
Perse il padre all’età di due anni compiuti e la cara mamma Rosa riusciva a malapena a sbarcare il lunario attraverso il suo umile lavoro di tessitrice, presa, come era, a crescere i suoi tre figli, Celestino, Gigi e Maria.
Non ci mise molto a trovare una squadra, giovanissimo, dopo aver passato la prima parte delle sue giovanili all’Oratorio di San Bartolomeo sulle sponde del Lago di Como.
Fu proprio il Como la compagine con la quale esordì in Serie B, una stagione, sufficiente, però, a fare innamorare i dirigenti del Genoa, impressionati da Gigino nel doppio confronto che il Como giocò contro i “grifoni”.
Nel capoluogo ligure si impose per la sua classe, la sua velocità, la sua irreale fantasia. Vedeva cose che nessun altro nemmeno percepiva, spiragli, tunnel e corridoi impossibili ne fecero una prelibata portata appetibile alle squadre più ricche del campionato di Serie A dell’epoca.
Il Genoa chiuse ottavo portando a casa quella che allora era chiamata “Coppa delle Alpi” e ci fu una tumultuosa rivolta popolare quando il Torino dell’allora allenatore Nereo Rocco, riuscì a sfilare il giocatore al Genoa.
Trecento milioni di lire, una cifra record per un ragazzo di 21 anni. Era il 1964, l’anno in cui a Meroni venne definitivamente affibbiato il soprannome della “farfalla”.
La farfalla granata
Tale nomignolo non gli fu assegnato solo per il suo atteggiamento in campo, non solo per le sue serpentine ubriacanti, ma anche e soprattutto per il suo variopinto comportamento lontano dall’erba degli stadi, dal frastuono dei tifosi ad ogni sua magia.
Era uno strano il Gigi.
Portava a spasso una gallina al guinzaglio, vestiva in modo tutt’altro che inelegante ma certamente poco consono a quegli anni.
Si fermava a intervistare le persone negli anfratti più battuti della città sotto la Mole, chiedeva loro cosa pensassero della squadra del Torino.
Approfittava della scarsissima copertura mediatica, stiamo parlando di un periodo in cui la televisione e le relative immagini erano tutt’altro che invasive, per creare dei sondaggi pubblici tra i passanti di Corso Umberto per sapere cosa pensassero del calciatore Gigi Meroni, il cui volto era sconosciuto ai più.
Si diceva intrattenesse un rapporto con una signora molto più matura di lui, divorziata, ma discreta.
Perché lui era eccentrico, sì, ma non per il gusto fine a sè stesso dell’apparire, del far parlare di sè, no.
Era così e basta, gli piaceva divertirsi, amava a dismisura la vita e le cose belle.
I tifosi del Toro impazzivano per lui, erano orgogliosi di lui.
La rivolta granata
Era l’estate del 1967, l’apice massimo della carriera di Meroni. A Torino cominciarono a girare voci insistenti del suo passaggio sull’altra sponda di Torino, quella bianconera.
Sul piatto c’era un totale di 750 milioni di Lire, una cifra incredibile per quei tempi, tutti lo volevano.
Ma lo volevano soprattutto i tifosi granata. Ci fu una vera e propria rivolta collettiva del tifo torinista, cominciarono a originarsi capannelli sparsi che le forze dell’ordine tennero sotto controllo.
Le scritte sui muri si moltiplicarono, addirittura la catena di montaggio alla FIAT si fermò e un buon 40% della produzione venne a mancare.
Erano i giorni del lancio della nuova FIAT 128, le macchine uscivano rigate, senza qualche pezzo qua e la, con volantini sul cruscotto che invitavano gli Agnelli a tenere giù le mani dal Torino.
Questa sorta di insurrezione convinse il Presidente del Toro Orfeo Pianelli, spaventato anche da alcune minacce che avevano ben poco di celato, a rinunciare ai soldi della vendita del calciatore e Meroni cominciò quella che fu l’ultima sua disgraziata stagione.
“La tragedia non è morire, ma dimenticare”
È la scritta che alberga all’entrata del Museo del Grande Torino, a memoria di tutta una serie di cimeli, trofei, maglie e ricordi vari che ripercorrono la storia della gloriosa squadra granata.
Meroni ha 24 anni, comincia la stagione nel suo solito modo, regala assist e gioie come se piovessero e arriva una partita spettacolare, un 4-2 rifilato alla Sampdoria alla quarta giornata.
Nestor Combin, con il quale Meroni formava una tandem d’attacco che nessun tifoso granata potrà mai più dimenticare, mise a segno 3 gol, mentre Giambattista Moschino segnò la quarta rete lanciato da un esordiente Aldo Agroppi.
Le tragiche fatalità della nostra vita originano sempre qualcosa da raccontare, c’è sempre un “se non fosse andato, se non fosse successo”.
La sera della partita contro la Samp lo staff tecnico della squadra decise di mandare tutti a casa, nonostante fosse prassi che la domenica sera le squadre si radunassero in albergo in una sorta di mini ritiro per passare insieme la notte del post partita.
Meroni, accompagnato da Fabrizio Poletti, si diresse verso il centro di Torino per telefonare alla sua fidanzata e avvisarla del suo imminente rientro, visto che Gigi era senza chiavi.
Parcheggiata la macchina nel suo amato Corso Umberto, Meroni e il suo compagno di squadra si apprestarono ad attraversare la strada per raggiungere il bar, ma a metà carreggiata una macchina che sfrecciava a velocità sostenuta, prese in pieno Meroni che fu sbalzato dalla parte opposta.
L’ennesima tragica sliding doors, prendeva le sembianze di una FIAT 124 Coupè, trascinò Meroni per decine e decine di metri sull’asfalto.
La farfalla granata si spense qualche ora dopo in ospedale, all’età di 24 anni.
Solo dopo, tanti anni dopo, probabilmente segnato da una vita in cui il ricordo di quell’episodio lo avrebbe accompagnato per sempre, la persona al volante di quella FIAT 124, Attilio Romero, diventò presidente del Torino a inizio nuovo millennio.
Sono in tanti a dire che un talento di quel tipo non si è mai più visto nei campi di calcio.