La lunghissima gestione di Joachim Low sulla panchina della Germania arriva alla conclusione in questo Euro 2020, in cui i tedeschi sono subito chiamati all’impresa in un girone complicatissimo con Francia e Portogallo.
Presentarsi ad una competizione così dura con un ct dal destino già segnato potrebbe complicare ulteriormente il cammino della Mannschaft, che ha dimostrato di essere decisamente in fase calante e che si appresta a vivere un complicato cambio generazionale.
Il CT: Joachin Low
Dopo 16 anni, di cui i primi 2 vissuti come il vice di Jurgen Klinsmann, si sta per chiudere l’era di Joachim Low sulla alla guida della Germania: già oggi, con 189 partite, è il commissario tecnico con più panchine nella storia della Mannschaft, e questo record sarà ritoccato quanto meno dalle 3 partite del girone. Avendo già annunciato le proprie dimissioni alla fine dell’Europeo, Low vorrà lasciare al suo successore e già suo vice fino al 2014, l’ex allenatore del Bayern Monaco Hansi Flick, una squadra vittoriosa, o quanto meno in grado di guardare con fiducia al futuro.
In questo lunghissimo periodo il 61enne tecnico di Schonau ha plasmato un’intera generazione di calciatori teutonici, portando una squadra di giovani promesse a dominare la scena mondiale, con l’apoteosi dei Mondiali in Brasile nel 2014, vinti umiliando i padroni di casa con uno storico 7-1 in semifinale e sconfiggendo in finale l’Argentina di Leo Messi.
Tecnico in grado di cambiare agevolmente impianto di gioco per adattarsi meglio agli uomini a sua disposizione, Low ha portato la Germania anche in finale negli Europei di Austria e Svizzera del 2008, persa per 1-0 contro la Spagna, e in semifinale nelle due edizioni successive, venendo sconfitta nel 2012 dall’Italia e nel 2016 dalla Francia.
Che il ciclo di Low fosse agli sgoccioli però è una sensazione diffusa da molto tempo in Germania: dopo il canto del cigno della conquista della Confederation Cup del 2017 e la qualificazione ai Mondiali di Russia 2018, ottenuta con 10 vittorie su 10.
In terra russa però la squadra di Low ha fallito miseramente, uscendo per la prima volta nella sua storia durante la fase a gironi a causa delle clamorose sconfitte contro Messico e Corea del Sud. La squadra teutonica ha quindi intrapreso una spirale discendente, che si è concretizzata nell’ultimo posto nella prima edizione della Nations League (salvata dalla retrocessione in Lega B solo grazie alla nuova formula del torneo). Il percorso di qualificazione all’Europeo non ha riservato grandi sorprese, nonostante una sconfitta subita in casa per mano dell’Olanda (comunque dopo una vittoria ottenuta nei Paesi Bassi). In Nations League invece l’umiliante sconfitta subita in casa della Spagna per 6-0, il peggiore nella storia della Mannschaft, è costato l’accesso alla Final Four proprio all’ultima giornata.
La stella: Toni Kroos
Una costante nel lunghissimo ciclo di Low sulla panchina tedesca è stato Toni Kroos: il centrocampista, capace di vincere una Champions League con il Bayern Monaco e altre 4 con il Real Madrid (titoli poi sempre seguiti dal Mondiale per Club), ha esordito con la nazionale maggiore nel 2010 ed è stato un titolare indiscusso a partire dal vittorioso Mondiale del 2014.
Giocatore apparentemente “normale”, senza nessuna caratteristica che colpisca l’occhio o suggerisca chissà quale abilità, Kroos fa di questa assenza di clamore il suo punto di forza: il campo conduce qualsiasi azione con naturalezza e un’apparente semplicità quasi disarmante: anche nelle situazioni di gioco più frenetiche, Toni gestisce il pallone con una calma serafica e una precisione chirurgica, riuscendo a leggere le azioni quasi come se le osservasse dal di fuori. Le sue percentuali di precisione nei passaggi sono un vero e proprio inno alla proverbiale affidabilità tedesca.
La sua capacità di estraniarsi si riflette anche nella vita privata: un vero e proprio antidivo, che raramente si concede ai media nonostante sia il calciatore tedesco che ha raccolto più successi nella storia. Sia in nazionale che al Real spesso sono stati altri gli uomini copertina, eppure ad oggi, alla conclusione del ciclo di Low e superate le 100 presenze con la Mannschaft, ci si rende conto di come il fulcro di questa squadra sia sempre stato questo ragazzo di Greifswald, che spesso non si fa notare finché non fa arrivare una palla geniale sui piedi di un compagno.
La sorpresa: Robin Gosens
La Germania a partire dai primi anni 2000 ha fatto corposi investimenti sui settori giovanili e sulle scuole calcio, assicurando a Low negli ultimi 15 anni un enorme serbatoio di giocatori a cui attingere nelle nazionali giovanili. Anche in questi Europei, a fianco dei campioni affermati, tra cui alcuni reduci dal Mondiale 2014, ci sono talenti nemmeno ventenni come Jamal Musiala e Kai Havertz e altri giocatori emergenti che hanno fatto tutta la trafila delle nazionali giovanili come Robin Koch, Lukas Klostermann e Florian Neuhaus.
È abbastanza sorprendente invece vedere un giocatore di 26 anni che ha all’attivo solo 4 presenze con la nazionale, tutte nell’ultimo anno, e non è mai stato preso in considerazione in precedenza, a nessun livello: Robin Gosens.
La carriera dell’esterno dell’Atalanta si è sviluppata prevalentemente lontano dalla madrepatria: nato ad Emmerich sul Reno, cresciuto a 500 metri dal confine con i Paesi Bassi, Robin è in possesso della doppia cittadinanza e in giovane età ha varcato la frontiera per giocare nelle giovanili del Vitesse. Fino al 2017 la sua carriera si è sviluppata in Olanda, nascosta agli occhi dei selezionatori della nazionali tedesche ma non a quelle degli osservatori dell’Atalanta, che individuano in lui il profilo adatto a sostituire Spinazzola nello scacchiere tattico di Gasperini.
In maglia nerazzurra Gosens si è imposto all’attenzione internazionale: con le sue corse sulla fascia sinistra e i suoi letali inserimenti, è stato uno degli uomini simbolo della magnifica scalata della Dea all’Olimpo del calcio europeo. I numeri parlano chiaro: con 11 gol in questo campionato è il difensore straniero ad aver segnato più reti in una singola stagione di Serie A, e senza aver tirato un solo rigore. Il record per un difensore è rappresentato dai 12 gol di Marco Materazzi, che fu anche rigorista del Perugia nel 00/01. In quattro stagioni a Bergamo, in 151 presenze totali, ha messo a segno 27 gol e servito 20 assist ai compagni.
Il suo punto debole potrebbe essere l’adattabilità tattica: devastante come esterno in un centrocampo a 5, può dimostrare qualche limite come terzino in una difesa a 4. Ma vista la recente tendenza di Low ad adottare uno schema molto più duttile che in passato, è possibile che ci sia spazio anche per Gosens in questo europeo, anche come variante a partita in corso.
La Germania a Euro 2020
Normalmente la Germania è sempre e comunque una delle nazionali favorite nelle grandi competizioni. Ma gli ultimi risultati ottenuti, sia in Nations League che ai Mondiali di Russia, non sono di buon auspicio per la Mannschaft, e l’annunciato addio di Joachim Low rischia di avere pesanti contraccolpi sulla tenuta mentale del gruppo.
Il gruppo di veterani reduci del Mondiale 2014 inizia ad accusare il passare del tempo, e non tutti gli innesti successivi si sono dimostrati all’altezza. Dopo più di due anni di assenza, si rivedono giocatori come Mats Hummels e Thomas Muller, oltre a Leroy Sané la cui esclusione aveva fatto molto discutere a Russia 2018.
Nonostante i dubbi, la Germania è da considerarsi sempre un’avversaria temibile nella sfida secca, ma il pericolo maggiore è rappresentato dal girone e dal calendario: al difficilissimo esordio contro la Francia fa seguito una sfida ugualmente impegnativa contro il Portogallo. La sfida contro l’Ungheria, decisamente più abbordabile, arriva solo all’ultima giornata, e può essere insidiosa dopo aver speso tante energie contro le altre due avversarie di primo livello.
Nel momento in cui riuscisse a passare il turno però, come la storia ci insegna, la Germania raramente manca l’appuntamento quantomeno con le semifinali, e con l’aumento della convinzione può diventare facilmente una delle favorite.