Storie di altro calcio, cose che oggi sembrano lontane e lasciano quasi un senso di semi dilettantismo.
Raccontiamo di una partita che – alla luce di un provvedimento preso dalla nostra Serie A lo scorso luglio – suona quasi surreale. Il 10 giugno del 1978 si gioca Francia vs Ungheria all’Estadio Josè Maria Minella di Mar del Plata.
È la terza partita di un girone già concluso, con le due squadre protagoniste fuori dal girone per le sconfitte contro Argentina e Italia nei turni precedenti.
Prima di andare sul factum, narriamo anacronisticamente il preambolo: forse non lo sapete, ma da questa stagione (22/23) le squadre di Serie A non possono indossare divise verdi (non i giocatori di movimento, perlomeno). Il motivo? La confusione cromatica col terreno di gioco. Curiosamente, in quel Francia vs Ungheria, per lo stesso motivo le due nazionali furono costrette a cambiare divisa – ma la Francia adottò proprio una divisa (bianco e) verde.
I motivi del cambio divisa francese
La ragione del cambiamento non ha però a che fare (come nel caso del provvedimento di cui sopra) con ragioni tecniche (di arbitraggio e confusione cromatica), bensì televisive, mediatiche.
Le tv già contavano qualcosa e per il mondiale – l’evento sportivo più seguito al mondo – un dettaglio può diventare questione di stato.
La Francia, come noto, veste blu. L’Ungheria rosso. Ma dagli spettatori casalinghi, per una tv che era ancora in bianco e nero, la visione del confronto risulta cromaticamente azzerata: detto con termini più semplici, chi doveva vedere la partita da casa non avrebbe compreso – a meno di straordinarie doti conoscitive – quale squadra fosse la Francia e quale l’Ungheria.
Alle due squadre viene detto dunque di indossare la seconda divisa. Il problema sorge qui: entrambe hanno una divisa bianca come alternativa alla prima.
Alla ricerca della divisa giusta
L’Ungheria, avvertita del problema, arriva prima della Francia, che non comunica – a differenza di quella – di avere anch’essa una divisa bianca.
Cosa si fa? I dirigenti FIFA sono nel panico, e i secondi passano come fossero ore. Stando alle testimonianze dell’epoca, alcuni dirigenti francesi si misero in viaggio alla bell’e meglio, approdando nella più vicina società in linea d’aria: il Club Atletico Boca Juniors di Mar del Plata.
Ma la porta della società è chiusa, anche perché l’evento religioso in quel momento è l’Argentina, non c’è spazio per altro. Il viaggio dei dirigenti continua fino all’Avenida Independencia, al civico 3030 di una stradaccia sterrata e semi-abbandonata.
Qui gioca il Kimberley, club fondato nel 1921 e noto col nomignolo di El Dragon. La porta qui è misteriosamente aperta, e tra le risate generali il club argentino risponde affermativamente alla richiesta dei dirigenti francesi: le casacche sono bianche a strisce verticali verdi, stile Betis. È sufficiente.
La partita inizia con 45 minuti di ritardo, con i tifosi e gli spettatori sulle prime disorientati dall’accaduto. E ne hanno ben donde, per un’altra ragione oltre quella cromatica: due giocatori della Francia, infatti, hanno numeri di maglia che non corrispondono – per ovvie ragioni – a quelli sui pantaloncini.
Si tratta di Dominique Rochetau e Oliver Rouyer, che vestono rispettivamente 18 e 20 sulla schiena ma anche 7 e 11 sulla coscia.
La partita, in ogni caso, esce spettacolare. Due perle la impreziosiscono, nel 3-1 dei galletti in salsa biancoverde: sono le reti dell’1-0 di Christian Lopez, con un destro balistico da 30 metri, e del 2-1 ungherese firmato Zombori Sandor, con un destro a giro sotto l’incrocio dopo una grande manovra dei bianchi.
Tutto inutile, ovviamente, ai fini del girone. Ma andatelo a raccontare a quelli del Kimberley, dell’inutilità di quel match. Ai mondiali hanno giocato pure loro.
Non solo, ne hanno vinto un confronto.