La frase più inflazionata sui libri di storia ritorna, scandita dai tocchi di palla del 4-3-3 foggiano, al capitolo “Zemanlandia”: Foggia, appunto, non è stata costruita in un giorno. E poco importa che la frase originaria si riferisca alla Roma antica, capitale del mondo. Perché caput mundi, o quantomeno Italiae, lo è stata anche il Foggia del Boemo. Almeno per un attimo. Negli occhi di ognuno di noi. E come tutte le grandi storie, le doglie del parto fungono da preludio alla Terra Promessa.
In Principio fu Casillo
È il 1986. Maradona entra sui libri di storia (del calcio) per la Mano de Dios. Un “altro” Napoletano doc, Don Pasquale Casillo, acquista il Foggia. A prendersi una delle piazze più calde d’Italia è un imprenditore moderno; non dobbiamo pensare, dunque, alla classica figura del patron – paternale – presidentissimo della squadra “x” del Sud Italia – un esempio in quegli anni è Antonio Sibilla dell’Avellino, per non citare che il più simpatico animale di quella specie.
Le ambizioni di Casillo non sono ambizioni calcistiche, almeno sulle prime. Si tratta, molto semplicemente, di fare i soldi col Foggia, spendendo poco e guadagnando molto. È quello che accade, risultato sportivo prescindendo: lo dirà – Casillo – senza troppi patemi: «Col Foggia ci ho guadagnato, ma non mi sono tenuto niente. Ho versato tutto nelle casse della società», non la società Foggia, ma la società Casillo, appunto, grande esportatrice di farine e semole di qualità.
Il Foggia, prima ancora che poter essere anche solo pensato come “Zemanlandia”, è innanzitutto Casillo. Poi, in ordine alfabetico, il dirigente Altamura, uomo dal cuore d’oro, Annechino, magazziniere, Cangelosi – vice allenatore –, Pavone, consigliere di fiducia di Casillo, il massaggiatore Rabbaglietti e, ovviamente, Zdenek Zeman, il Boemo; uomo affascinante, dallo sguardo insieme sicuro e calmo, limpido come le acque del Moldava, il fiume che bagna e insieme divide a metà la città natale dell’allenatore cecoslovacco, Praga. L’incontro con Casillo produce ciò che nasce dallo scontro tra due pietre, una dura, l’altra liscia: il fuoco.
La genesi di Zemanlandia
Zeman allena il Licata in C1. Peppino Pavone alza la cornetta, Casillo gli risponde subito. Pavone consiglia all’imprenditore napoletano di dare un’occhiata all’allenatore boemo, che propone un calcio a zona sì praticato altrove, ma non con quella qualità e costanza nell’arco dei Novanta minuti. Questa la premessa.
Casillo va a vedere Foggia-Licata. La partita finisce con un roboante 4-1 per i pugliesi. Delusione Zeman. Fino a un certo punto, almeno. Casillo rimane infatti estasiato dal gioco del Boemo; mentre i ragazzi di casa escono dal campo con le lingue allungate dalla fatica, gli ospiti corrono fino al novantesimo. È vero: il Foggia ha vinto e di tanto. Ma Zeman ora ha un ammiratore speciale. Don Casillo lo chiama, Zeman risponde presente. È il nuovo allenatore del Foggia, stagione 1986/87. L’inizio è da incubo. In ritiro si presentano in 7. Il Foggia rischia la retrocessione in C2 per illecito sportivo, ma i legali riescono ad ottenere una pena ben differente: cinque punti di penalizzazione.
Zemanlandia dura appena un anno. L’allenatore boemo è stato contattato dal Parma. La stagione successiva, Zeman passerà al Messina. Casillo non ha dimenticato il gioco del Boemo, intravisto anche solo per una stagione.
Ed è proprio nel 1989 che Zeman torna sulla panchina del piccolo diavolo, questa volta con propositi prosopopeici. Casillo lo richiama, il Boemo accetta subito. E ad un girone d’andata difficile, con lo spettro dell’esonero a metà campionato contro il Monza, seguirà la fiducia di Casillo e il dono ripagato di Zeman.
Il Foggia, già in C1, conta 10/15 mila abbonati. In Serie B, figurarsi. Il Foggia sale in A proponendo un calcio offensivo e brillante, frutto più del gioco che dei singoli: col senno di poi, per i più giovani, consigliamo di figurarsi una Atalanta ante-litteram. Pressing alto, gioco a zona, profondità cercata ad ogni costo, inventiva e tridente offensivo mobile; due tocchi: queste le armi principali del Foggia di Zeman.
Zeman, al primo anno in A nella storia del Foggia, vuole dare ai tifosi un buon motivo per venire allo stadio. I tifosi, allo stadio, ci verrebbero ugualmente, malati come sono. Ma lo spettacolo offerto dalla formazione del Boemo ripaga ampiamente la fiducia dei paganti.
Tra questi, almeno tre folcloristici personaggi meritano di essere ricordati: a) Leone Rossetti, che dopo tanti anni continua a conservare gelosamente il giubbotto beige regalatogli dal Boemo; b) Emilio Cavelli, fumatore accanito – ma solo di sabato e di domenica; «se il Foggia gioca o sta per giocare, io non riesco a dormire», aggiungendo che «se Zeman è un grande fumatore, lo si deve a me»; c) Fernando Iannucci, che prima di ogni partita gli passa delle caramelle, che Zeman non rifiuta perché sarebbe «cattiva educazione». Diventerà una scaramanzia dai contorni del Rito. Ma Beppe Signori aggiunge: «non era scaramanzia, il mister aveva bisogno di zuccheri».
Cronache da Zemanlandia
Signore e Signori, appunto. Giuseppe, piccolo bergamasco dal mancino d’oro, è il grande colpo della gestione Casillo. A dirla tutta, il colpo inizialmente è quasi d’infarto, per il patròn del Foggia. La chiamata di Pavone è prima conciliante: «è una grande opportunità, lo prendiamo?»; all’ok di Casillo, fuori il prezzo – un miliardo e mezzo delle vecchie lire –, e via con le urla del napoletano. Ma Signori arriva. E incanta fin da subito. Il primo gol in A è contro il Parma. Il resto è storia (s)consacrata.
L’orchestra Zemanlandia suona prima di tutto fuori dal campo. È il ricordo di un giovane Gigi Di Biagio, ad esempio: «si viaggiava sempre sul pullman. Il mister se ne stava ore ed ore a giocare a carte con lo Staff. Non c’erano i cellulari. Si stava insieme e si stava bene. Il campo di allenamento non c’era – sarà così per molti anni, a dirla tutta, ndr; ci allenavamo sulla terra battuta di uno stadio vicino allo stadio, il San Ciro. Soprattutto, ci allenavamo sui gradoni».
Sorta di metonimia per Zeman, i gradoni rappresentano uno dei segreti del Foggia di quegli anni, una squadra che va al doppio dell’avversario tenendo il campo in una maniera unica; reparti cortissimi, gioco veloce, velocissimo, collettivo instancabile, fisicamente e mentalmente. Lo stadio Zaccheria, prima di essere il teatro di grandi prestazioni, è soprattutto il campo d’allenamento privilegiato dei ragazzi di Zeman.
Giocatori normali come Codispoti, terzino calabrese, si trasformano sotto Zeman in autentiche macchine da guerra. Il portiere, Franco Mancini, è il Renè Higuita di Matera. Le sue uscite e il suo gioco coi piedi agevolano la manovra zemaniana, specchio visibile dell’invisibile motto del Boemo: «A giocatori non ci piace difendere, ci piace attaccare».
E allora ecco che «attaccavamo per difenderci», afferma Rambo Rambaudi, poi alla Lazio come il compagno di reparto e grande amico Beppe Signori. Insieme a Ciccio Baiano, formano un tridente stellare, il vero tridente del Foggia di Zeman. “Vero” perché cambierà. E come molti ammetteranno senza dubbi, sarà proprio l’ultimo Foggia di Zeman, quello del dopo-cessioni (Signori, Rambaudi etc.), a stupire tutti riuscendo nel miracolo di rimanere in Serie A.
Lo Stadio aiuta senz’altro. Lo dicono all’unisono quasi tutti i grandi calciatori passati per lo Zaccheria in quegli anni magici: «Giocare in quel campo era un dramma. I foggiani erano 25.000, ma sembravano 100.000». La stagione 92/93 è una delle più difficili. I tifosi arano il campo, in contestazione con quello stesso Casillo che, alle domande dei giornalisti, aveva risposto, prima di vendere le gemme del suo Foggia: «Mica faccio il commerciante di animali io. Voglio costruire una squadra più forte delle altre, non peggiore». Sarà. Ma Zeman consiglia l’acquisto di alcune promesse dall’est – su tutte Shalimov, che finirà poi all’Inter. E il Foggia si rilancia.
Nella stagione 93/94 il Foggia sfiora il piazzamento in UEFA. È la fine di Zemanlandia. Casillo viene arrestato per presunte aderenze alla Camorra – smentite solo quindici anni dopo, ma già negate dal Boemo in una commovente testimonianza alla Gazzetta dello Sport: «Casillo è una persona perbene. Avete preso un grosso abbaglio».
Questa in fondo è Zemanlandia. Una famiglia dove vige il rispetto e la disciplina. Dove non si fiata, ma si lavora, e ci si diverte da matti. Quel che Casillo pagherà ingiustamente per quindici anni, Zeman lo sconta ancora oggi – almeno a livello ideale – col calcio italiano. Un calcio che sembra averlo malauguratamente dimenticato.