Il 22 maggio del 1963, il Milan portava l’Italia sul tetto d’Europa, per la prima volta nella storia. La finale contro il Benfica di Eusebio veniva risolta in una rimonta dal gusto epico, proprio dopo la rete del fuoriclasse portoghese, per merito di un altro fuoriclasse, l’italo-brasiliano José Altafini.
L’Italia, quasi prendendoci gusto – proprio come nella doppietta Mondiale degli anni Trenta –, ripeterà l’impresa grazie all’Inter, che riuscirà nel double (stagioni ’64 e ’65) contro il Real Madrid (3-1) e il Benfica (1-0), notoriamente maledetto.
Prima ancora dell’epopea milanese, tuttavia, un’altra squadra aveva sfiorato il massimo traguardo europeo, l’ambita Coppa dei Campioni: la Fiorentina.
La stagione è quella datata 1956/57. L’anno prima, la Viola aveva compiuto un’altra impresa degna di nota: la vittoria dello Scudetto. Un anno memorabile, quello della Firenze calcistica.
Un campionato vinto con enorme merito grazie ad una rosa capace di staccare l’Inter al primo posto all’ottava giornata per non perderlo più – la Fiorentina vincerà con 5 giornate di anticipo, e l’Inter lascerà il secondo posto proprio al Milan.
Fiorentina, la fortuna di Firenze in Europa
Quella Coppa dei Campioni, chiaramente, non ha niente a che fare con quella dei giorni nostri.
Siamo appena agli albori, se così è lecito dire, della grande storia del calcio europeo. La competizione è nata da pochissimo tempo, e non tutte le Nazioni hanno il diritto di prenderne parte.
La Football Association, vanità delle vanità, giudica la Coppa dei Campioni «una distrazione», ma il Manchester United chiede comunque di poter partecipare – la FA farà dunque un’eccezione. Il tabellone è impostato sugli scontri diretti.
Nessun girone, dunque, ma una formula vis a vis che può voler dire una sola cosa: o inferno, o paradiso. Il celebre purgatorio cantato da Dante, dunque, non è cosa che piace – ancora – ai massimi esponenti del calcio europeo.
Pur essendo alla prima partecipazione, la Fiorentina gioca un calcio spregiudicato e coraggioso, senza paura degli avversari – forse proprio in virtù della scarsa esperienza in campo europeo, a dire il vero.
La Coppa si struttura secondo tre macro-fasce geografiche: l’Europa dell’Est, l’Europa del Nord-Ovest e quella del Centro-Sud. È in quest’ultima che i nostri eroi si giocheranno la gloria. Sfiorandola con un dito.
La Fiorentina salta casualmente il turno preliminare – dove il Manchester United ha la meglio sull’Anderlecht per 10-0 e il Borussia Dortmund sui lussemburghesi dello Spora (sic!). La Viola inizia dunque il suo cammino dagli ottavi, per non fermarsi mai fino alla finale. Contro gli svedesi del Norrkoeping, arriva prima un 1-1 a Firenze, poi uno straordinario 1-0 in Svezia.
Ai quarti di finale, sull’onda dell’entusiasmo, la Fiorentina ha la meglio del Grasshoppers grazie ad un 2-2 in terra svizzera e un 3-1 roboante in terra italica. La Fiesole inizia a sognare, perché ora è in semifinale. Nel frattempo, dall’altra parte del tabellone, il Real Madrid elimina il Nizza dopo aver fatto fuori il Rapid Vienna agli ottavi.
In semifinale, la squadra del fenomenale duo Gento-Di Stefano, guidati dal capitano Muñoz e da un attento Santiago Bernabeu, sempre presente in tribuna autorità, i non ancora galacticos eliminano gli inglesi del Manchester United dei Busby Babes, evidentemente distratti quella sera.
La Fiorentina, dal canto suo, ha la meglio sulla Stella Rossa. Dopo aver vinto a Belgrado con uno striminzito ma cruciale 1-0, la Viola chiude la porta e le mura della città, chiudendo i 90’ del ritorno sullo 0-0. Per merito della partita d’andata, dunque, la Fiorentina approda in finale di Coppa dei Campioni.
Ad attenderla il temibilissimo Real Madrid, che ha già vinto una Coppa dei Campioni, l’unica fin ora disputata.
Finale contro i mostri sacri
La finale è durissima, anche perché il Real Madrid gioca in casa – all’epoca, di dividere lo stadio a metà nemmeno se ne parla.
Al Santiago Bernabeu, 30 maggio 1957, la Fiorentina si gioca la storia. Ma la storia, quel pomeriggio, ha le tinte bianche. 135.000 spettatori, così dicono le fonti dell’epoca.
Noi crediamo a qualche unità in più. Le immagini che in bianco e nero fanno sembrare la Fiorentina in abito da funerale scorrono al ritmo dei pase blancos. Gento e Di Stefano sono semplicemente fenomenali. Nicolò Carosio, scelto dal Programma Nazionale – l’attuale Radio 1 –, non manca di sottolinearlo ad ogni occasione utile.
La Fiorentina gioca bene, entra in campo concentrata. Concede poco, soprattutto. Lì davanti, però, non incide. Così è il Real, a forza di attaccare, a trovare la rete del vantaggio grazie ad un rigore molto generoso concesso ai galacticos al minuto 69. Vittorio Pozzo, ex CT della Nazionale azzurra campione del mondo per ben due volte di fila (’34 e ’38, in piena epopea fascista), descrive così l’azione:
Vecchia storia, storia che si ripeterà in altre occasioni per la Viola, ma non in Europa.
Qui l’occasione scivola via come il vento tra i capelli marmorei del David di Michelangelo. Alfredo Di Stefano non sbaglia il rigore, nonostante il portiere Sarti – autore di una partita straordinaria – provi ad avvicinarsi al tiro del fuoriclasse madridista ben oltre i limiti concessi dal regolamento (odierno e antico).
La formazione allenata dal grande Fulvio Bernardini non reagisce e anzi dopo sei minuti ne prende un altro: questa volta è Francisco Gento a sigillare la rete difesa dai Viola con un’azione strepitosa e un cucchiaio d’antologia.
La Viola perde dunque la finale, sorta di formalità per il Real Madrid, ma si ripeterà in campo europeo con la vittoria in Coppa delle Coppe nel 1961 e con una finale persa contro l’Atletico Madrid sempre in Coppa delle Coppe l’anno successivo.