La luce in fondo al tunnel della crisi sanitaria è ancora distante ma il calcio cerca di studiare i primi stratagemmi per provare a uscire da una crisi che rischia di far saltare il banco: ecco l’ultima idea della Federcalcio, il fondo ‘salva-calcio’ già proposto al Governo nella giornata di venerdì
In attesa di capire quando e come si potrà tornare a parlare di calcio e ipotizzare date di una possibile ripartenza dei principali campionati europei, il Calcio italiano ha l’ingrato compito e ‘dovere’ di non farsi trovare impreparato e provare a contenere le perdite, che si preannunciano decisamente pesanti: nessuno si aspettava che il 2020 potesse essere colpito da una pandemia globale e stravolgere i piani di tutta Italia ma la non conclusione della stagione sportiva – ipotesi ad oggi tutt’altro che remota se non la più probabile alla luce dei fatti – rischia di far saltare dai 400 ai 700 milioni di euro per le casse dei club, con annessi pericoli di fallimenti di quelle squadre che hanno un’esposizione debitoria maggiore. Per evitare ciò, la Federcalcio ha avanzato una proposta interessante al Governo per far fronte all’emergenza Coronavirus: si tratta infatti del fondo “salva-calcio”, una sorta di paracadute per tutte le società in modo tale da evitare gravi ripercussioni anche all’intero sistema, che rischia di uscire dalla pandemia con le ossa rotte.
In sostanza, oltre ad un piccolo contributo iniziale da parte delle squadre, si tratterebbe di versare l’1% delle scommesse sul calcio in questo fondo a cura della FIGC. Una sorta di ‘diritto d’autore’ – anche l’Unione Europea riconosce la tutela del diritto d’autore sulle scommesse – che va a finire in un “calmiere” comune da utilizzare in caso di necessità. Proprio l’1% delle scommesse, come ha sottolineato il presidente della FIGC Gabriele Gravina in un recente intervento, viene già adoperato dalla Ligue 1 ed è una delle proposte avanzate anche dalla NBA, una delle macchine da soldi legate allo sport più efficienti del mondo, se non la migliore per bacino d’utenza e capacità di creare indotti e muovere denaro. Secondo una recente analisi de La Gazzetta dello Sport, nel 2019 il settore delle scommesse legate al mondo del calcio italiano ha raccolto circa 10,4 miliardi di euro: l’1% rappresenterebbe, calcoli alla mano, circa 104 milioni di euro. Chiaramente tale cifra andrà ritoccata verso il basso, visto che il coronavirus ha di fatto stoppato l’Italia intera e quindi anche il campionato di Serie A a partire da marzo e chissà ancora per quanto tempo. Il funzionamento e le regole del fondo salva-calcio sono ancora da definire e stanno già emergendo alcuni nodi da sciogliere per capire la fattibilità e i tempi prima che si passi da ‘potenza’ ad ‘atto’ citando Aristotele: ad oggi non è ancora chiaro infatti chi dovrà rinunciare a quell’1% (lo Stato nel 2019 ha incassato 250 milioni di gettito fiscale dal mondo delle scommesse legate al calcio) e se ne possano eventualmente usufruirne i club professionistici (Serie A, B e C) o anche il mondo dei dilettanti, ad oggi il più a rischio – vedasi le parole del presidente della LND Sibilia che ha dichiarato che il 30% delle società dilettantistiche potrebbe fallire – e il meno economicamente sostenuto e più importante in percentuale.
Al momento, il fondo salva-calcio è solamente una delle ipotesi e non è certamente il tema del giorno sul tavolo delle trattative tra FIGC, Governo e i vari soggetti interessati: la proposta, infatti, non è stata inserita nel decreto ‘Cura Italia’ che sta attualmente vivendo l’iter burocratico prima che diventi legge. L’idea e la speranza della Federalcio è di inserire il fondo salva-calcio in una seconda fase, ossia quella che porterà al decreto economico da approvare nelle prossime settimane per cercare di riassestare l’economia italiana, ad oggi martoriata dalla pandemia. In attesa di capire quando si potrà tornare a parlare di pallone, il sistema calcio cerca un salvagente per non annegare, una volta che il coronavirus sarà solamente un lontano ricordo. Perché il rischio di affondare e di non tornare più a galla c’è. E, a rimetterci, non sarebbe soltanto i club e i giocatori ma anche l’intero Paese, visto che l’industria calcio è nella top 5 a livello di produttività. Perderla, o vederla gravemente azzoppata, non recherebbe dolori e dispiaceri solamente ai tifosi.