Di quella fantastica epopea che è stata la carriera di Leo Messi al Barcellona restano impresse prodezze inenarrabili, gol fantastici segnati a ripetizione, trofei vinti con ritmi industriali ma anche una delle rivoluzioni tattiche più discusse del calcio moderno: l’introduzione del “falso nueve”.
Al giorno d’oggi in realtà il termine è decisamente abusato, e spesso utilizzato a sproposito nel caso si utilizzi in posizione di centravanti un giocatore che normalmente ricopre ruoli altri offensivi lontano dall’area di rigore. In realtà il falso nueve non è semplicemente un attaccante atipico, ma una diversa concezione di intendere il ruolo d’attacco.
Guardiola e l’invenzione del moderno falso nueve
Gli anni di Pep Guardiola al Barcellona hanno segnato il calcio europeo in maniera indelebile, dando il via ad un periodo di innovazione e cambiamenti tattici che hanno rivoluzionato il calcio degli anni 2000, come in precedenza forse solo Rinus Michels e Arrigo Sacchi erano stati in grado di fare.
Le idee e i dettami tecnici del tecnico catalano applicati in un contesto come quello di Barcellona, in un periodo in cui dalla Masia venivano forgiati talenti enormi come Xavi, Iniesta, Fabregas e in cui la squadra poteva permettersi di comprare i maggiori talenti mondiali hanno prodotto una delle squadre più dominanti di tutti i tempi.
Uno dei maggiori capolavori tattici compiuti da Guardiola fu nel clasico del 2 maggio 2009. Fino a quel momento il Barcellona giocava con un 4-3-3 abbastanza classico, con un tridente composto da Leo Messi sulla destra, Thierry Henry sulla sinistra e Samuel Eto’o centravanti. La qualità non mancava di certo alla squadra, con Messi in grado di fare praticamente quello che voleva sulla destra, supportato anche da una mezzala di infinita qualità come Iniesta, ed Eto’o che assicurava profondità e gol grazie alla sua velocità.
La sfida con il Real Madrid cadde però in mezzo a due probanti impegni di Champions League: reduce da uno 0-0 contro il Chelsea al Camp Nou, il Barça era atteso ad una delicatissima sfida decisiva a Stamford Bridge. Invece che fare turnover, Guardiola decise di apportare una decisiva variante tattica: scambiò di posizione Messi ed Eto’o, con il camerunense largo a destra mentre l’argentino, nominalmente al centro dell’attacco, giocava in una posizione decisamente arretrata, andando a dialogare con i centrocampisti Iniesta e Xavi, creando così continuamente superiorità numerica nei confronti del centrocampo madridista.
Riuscendo a ricevere palla distante dalla porta, Messi poteva quindi puntare a tutta velocità i difensori avversari, che non avevano altra scelta che cercare di accorciare su di lui se non volevano venire saltati. In questa maniera però lo spazio in mezzo veniva lasciato sguarnito e facile preda degli inserimenti dalla fascia di due incursori veloci come Henry e Eto’o.
Quella partita finì 2-6 per il Barcellona, con Jorge Valdano che coniò il termine “falso nueve” per definire il ruolo di Messi, e fu solo la prima di tante volte che il fuoriclasse argentino venne utilizzato in quella posizione anomala per scardinare le difese avversarie.
Negli anni vari allenatori dovettero ricorrere ai più disparati accorgimenti tattici per cercare di arginare Messi, da difensori piazzati in una sorta di marcatura a tutto campo a gabbie strettissime formate dalle linee di difesa e centrocampo attente ad ogni singolo movimento del trequartista argentino. Lo sforzo profuso nel cercare di disinnescare questa variante tattica però lasciava vulnerabili alle iniziative degli altri fuoriclasse blaugrana, oppure sottraeva energie alla fase offensiva.
Alle origini del Falso Nueve
Nonostante non si utilizzi più esclusivamente la numerazione dall’1 all’11 per i calciatori che scendono in campo e i ruoli siano sempre più fluidi e meno definiti, la maglia numero 9 è forse l’ultima, insieme alla 1 per i portieri, praticamente sempre riservata ad un ruolo specifico, quello del centravanti.
Per estensione, viene quindi sempre definito un “9” il giocatore che occupa la posizione centrale nell’attacco, il centravanti della squadra. Possiamo risalire alle origini del falso nueve anche tornando a molto prima di Guardiola, ai tempi dell’Ungheria d’oro di Sebes e di un calcio molto diverso da quello odierno.
All’epoca i numeri venivano sempre assegnati secondo i ruoli derivanti dalla disposizione tattica in voga all’inizio del secolo: una sorta di 2-3-5 per cui davanti al portiere (1) giostravano due terzini (2 e 3), mentre i tre mediani (4, 5 e 6) giocavano alle spalle dei 5 giocatori offensivi, numerati da destra a sinistra: quindi 7 e 11 per quelli più esterni, le ali, 8 e 10 per le mezzali e 9 per il giocatore che occupava il centro dell’attacco.
Con il tempo questo modulo si modificò nel cosiddetto WM, una sorta di 3-2-2-3, arretrando un mediano sulla linea dei terzini e posizionando le due mezzali alle spalle degli altri attaccanti.
L’Ungheria di Sebes, in occasione di una sfida contro l’Inghilterra nel novembre del 1953 a Wembley, era sprovvista del classico centravanti fisico e possente, per cui decise di piazzare al centro dell’attacco Nandor Hidegkuti, ala destra che con gli anni aveva perso sprint ma mantenuto intatta la qualità.
Hidegkuti, non essendo un centravanti, nonostante il 9 sulle spalle si piazzò quindi qualche metro più indietro rispetto agli altri attaccanti, trasformano il WM in un MM, ovvero in un 3-2-3-2, giocando in una posizione che oggi definiremmo da trequartista.
Quell’Ungheria vinse 3-6 in casa di un’Inghilterra incapace di leggere adeguatamente la marcatura di Hidegkuti, e si ripetè nella rivincita giocata in terra magiara con un sonoro 7-1, sfiorando poi il titolo mondiale del 1954.
Negli anni molti giocatori che nominalmente ricoprivano il ruolo di centravanti si rivelarono giocatori più totali, che amavano anche arretrare di qualche metro il raggio d’azione per avere più campo a disposizione.
Alfredo Di Stefano nel Real Madrid faceva un lavoro simile, creando gli spazi per gli inserimenti di Puskas e Gento, e anche nel Barcellona allenato da Johann Cruijff il ruolo di Michael Laudrup era spesso quello di rientrare per favorire gli attacchi di Stoichkov e Salinas.
Ma in tutti questi casi si trattava di centravanti di ruolo che in determinati momenti della partita rientravano sulla trequarti.
Il falso nueve vero e proprio invece è un giocatore che non va praticamente mai ad occupare lo spazio della prima punta, che diventa decisivo in quella zona di campo proprio per la sua assenza. Ancor meglio di Guardiola e Messi, questo ruolo è stato interpretato alla perfezione da Cesc Fabregas nella nazionale spagnola allenata da Vicente del Bosque, campione del Mondo e d’Europa tra il 2010 e il 2012.
In Italia, l’esempio più chiaro di falso nueve fu adottato dalla Roma di Spalletti, dapprima con Francesco Totti a liberare gli inserimenti di Perrotta e quindi, nella sua seconda esperienza romana, ripetendo il tentativo con Diego Perotti, con Totti che nel frattempo si era tramutato in un centravanti più tradizionale, ancorché di manovra.
Altri esempi possono essere Kevin Prince Boateng nella Fiorentina di Vincenzo Montella, Wayne Rooney al Manchester United di Alex Ferguson oppure sempre Guardiola nella sua esperienza al Bayern Monaco con Thomas Muller a fare le veci di Messi.
Ancora oggi il tecnico catalano schiera spesso il suo Manchester City con Kevin de Bruyne o Ferran Torres al centro dell’attacco, a svuotare l’area piuttosto che a riempirla.
Falso nueve o semplice centravanti di manovra?
Il termine falso nueve oggi è decisamente inflazionato, e spesso usato anche un po’ a sproposito.
Lo si è detto dell’Italia di Mancini quando si è schierata senza Immobile o Belotti, con giocatori come Bernardeschi piazzati in posizione centrale nel tridente d’attacco. Ma in realtà, nonostante si trattasse di attaccanti che normalmente occupano l’esterno, chi occupava la posizione centrale, che si trattasse di Bernardeschi, Berardi o Insigne, faceva sempre movimenti da “vero nueve”, partendo dalla linea dei difensori avversari per venire incontro alla palla e cercare scambi o ripartenze.
In realtà ormai ad un centravanti viene richiesto normalmente anche un lavoro da regista avanzato oltre che da terminale offensivo, quindi è normale vedere attaccanti che si abbassano a giocare palla sulla trequarti per poi scambiare e farsi trovare pronti in mezzo all’area.
Nel campionato italiano ne sono ottimi esempi Edin Dzeko o Dries Mertens, mentre a livello mondiale il miglior interprete del ruolo è sicuramente Robert Lewandowski, che riesce ad unire un ottimo lavoro di raccordo a percentuali realizzative sovraumane.
Ma non si può parlare di falso nueve, dal momento che tutti questi giocatori giocano sempre di base sulla linea difensiva avversaria, abbassandosi solamente nel momento in cui possono ricevere palla per alimentare le azioni offensive. Il “vero falso nueve”, invece, gioca già basso, cercando di attirare verso di sé i difensori avversari creando così gli spazi utili agli inserimenti degli esterni.
Il caso del Liverpool
Un utilizzo del falso nueve lo si può trovare nel Liverpool di Jurgen Klopp, allenatore che spesso viene portato come esempio di superamento del “guardiolismo” grazie al suo gegenpressing, ma che in realtà ha studiato e assimilato alla perfezione la lezione del catalano.
I Reds infatti schierano spesso al centro dell’attacco un giocatore, originariamente Roberto Firmino ma ultimamente più frequentemente Diogo Jota, che in fase di non possesso palla scende a giocare largo sulla destra, lasciando solo uno dei due esterni (di solito Salah) ad occupare comunque una posizione di riferimento avanzata, mentre l’altro esterno (Manè), si abbassa sull’esterno di centrocampo.
Quando la squadra recupera palla e fa ripartire velocemente l’azione, Salah normalmente si sposta sull’esterno, costringendo spesso un difensore a seguirlo, mentre Mané risale velocemente tagliando verso l’area. Firmino, o Jota, si inseriscono dall’esterno a giocare palla in posizione centrale, mentre le mezzali salgono a supportarli.
È probabilmente quanto di più vicino al falso nueve che possiamo trovare oggi, ovvero un attaccante che in realtà, pur occupando la posizione centrale dell’attacco, non gioca mai nella posizione di centravanti ma si adopera perché quello spazio venga lasciato libero e sfruttato da altri compagni.