Il calcio è una scienza inesatta.
Per fortuna o per sfortuna a secondo del punto di vista. Fra le cose che più colpiscono nel gioco del calcio, è il palmares assai ristretto della nazionale inglese.
Un mondiale vinto nel 1966 e da 55 anni a questa parte, solo delusioni, occasioni mancati e fallimenti clamorosi. Insomma un qualcosa di veramente inspiegabile.
Gli inglesi che hanno fondato il gioco del calcio, gli inglesi che per anni sono stati i maestri del gioco, innovatori, rivoluzionari con la creazione della Premier League e imbottiti spesso di campioni.
Eppure i flop si sommano senza sosta. Proviamo ad analizzare cosa non ha funzionato soprattutto in questo mezzo secolo di digiuno e abbiamo trovato almeno sei punti che potrebbero aver fatto la differenza in negativo.
1 – Un ritardo cronico nell’evoluzione del gioco
Un tempo gli inglesi e la nazionale inglesi erano sinonimi di innovatori sotto il profilo del gioco. Poi c’è stato a lungo un punto di non ritorno. Tutto nasce dopo la vittoria del mondiale casalingo del 1966. Il famoso gioco all’inglese ha dato i suoi frutti, perché snaturare la propria indole? E invece l’errore principale è proprio questo. Non rimanere al passo con i tempi, non apportare quelle evoluzioni tattiche che altri paesi avevano attuato, Olanda in testa e proseguire con il proprio gioco.
Un gioco fatto di fisico, palle lunghe e mischie furibonde. Un gioco che se in ambito nazionale e internazionale di club poteva per certi versi avere le sue ragioni, trova meno fondamento in nazionale. E anche quando a livello di club, le squadre inglesi si aprono al resto del mondo sotto il profilo della tattica, la nazionale dei tre leoni continua a praticare un calcio che non può dare più quei frutti sperati. Solo negli ultimi anni c’è stata una sorta di accelerata sotto questo profilo e il famoso gioco fisico, sta lasciando campo ad un manovra più organizzata e fatta soprattutto di palla a terra. Cambiano le epoche, cambiano i moduli e soprattutto cambia la tipologia dei giocatori.
2 – Molti singoli e poco squadra
Fa strano pensare ad una nazionale inglese poco attaccata ai propri colori e al proprio paese. Da sempre gli inglesi sono considerati patriottici ai massimi livelli e il bene della nazione viene prima di qualunque altra cosa. Non nel calcio, a quanto pare. Dagli anni ’70 in poi sono tantissime le “squadre” inglesi che si sono perse nei grandi appuntamenti, Mondiali ed Europei, proprio per una mancanza di intenti, di unità e di appartenenza alla maglia dei tre Leoni.
Lo ha spiegato bene qualche tempo fa Steven Gerrard, ex capitano del Liverpool e della selezione d’oltre manica. Alla domanda, come sia stato possibile che l’Inghilterra non abbia vinto nulla nell’epoca dei Beckham, Lampard, Gerrard, Scholes, Rooney, Terry, Rio Ferdinand e molti altri ancora, l’attuale allenatore dei Rangers ha risposto: “Perché pur essendo amici, non sentivamo di essere squadra. Ognuno pensavo al suo orticello e a vincere con il club, invece che con la nazionale. Un atteggiamento che abbiamo pagato con cocenti delusioni“.
Insomma, forse il discorso motivazionale di Al-Pacino in “Ogni Maledetta Domenica” andava fatto sentire ai giocatori.
“In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire.
3 – CT come scommesse sbagliate
Dal 1946 ad oggi si sono alternati sulla panchina inglese ben 18 Commissari tecnici. Se escludiamo Alf Ramsey allenatore del titolo mondiale, solo in pochi possono dire di aver svolto un buon lavoro pur senza vincere. Fra questi meritano una citazione Bobby Robson che guidò l’Inghilterra dal 1982 al 1990 e proprio al mondiale italiano si accomodò al quarto posto, dopo aver perso la semifinale contro la Germania Ovest ai calci di rigore.
Discorso simile per Terry Venables: quest’ultimo raccolse le macerie nel 1993 di una squadra che aveva mancato l’accesso al Mondiale americano dell’anno successivo. Nel giro di 3 anni ricostruì una super squadra in vista degli Europei del 1996 che si sarebbero giocati proprio in terra inglese. La sua nazionale incantò per gioco, brillantezza e passione, fermandosi ancora una volta in semifinale ai rigori e sempre contro la Germania. Un capitolo a parte lo merita, l’attuale CT Gareth Southgate.
Tante invece le noti dolenti: da Don Revie che dal 1974 al 1977 non seppe ripetere l’imprese ottenute a Leeds, passando per Graham Taylor (1990-93) che raccolse una nazionale al quarto posto mondiale, per portarla all’eliminazione nella fase a gironi di Euro 1992 e alla mancata qualificazione del mondiale a stelle e strisce, fino ad arrivare per gli anni ’90 a Kevin Keegan (1999-2000) che fallì clamorosamente ad Euro 2000.
La lista prosegue poi con Sven-Göran Eriksson (2001-2006), troppo Hipster per una squadra che cercava solidità, senza dimenticare Steve McClaren che mancò la qualificazione ad Euro 2008. Un capitolo a parte lo merita Fabio Capello. Nel 2007 dovette a sua volta ricostruire una gruppo diviso e ci furono notevoli miglioramenti. Ma il suo credo calcistico non si è mai tramutato con la nazionale dei 3 Leoni in qualche trofeo vinto.
Infine, l’ultimo CT che ricordano poco volentieri in Inghilterra, è Roy Hodgson. Uno abituato alla quotidianità del campo e della squadra, mal si adattava agli sporadici raduni della nazionale. Fallito il Mondiale del 2014, i dirigenti della federazione ebbero la grande colpa di non sollevare il buon Roy dall’incarico: il risultato fu quello di una clamorosa eliminazione ad Euro 2016 negli ottavi contro la piccola Islanda.
4 – Pochi talenti
Il calcio inglese come detto ha subito una rivoluzione sportiva e culturale a partire dal 1992, anno di nascita della Premier League. 3 anni dopo la sentenza Bosman è stata una sorta di terremoto per il calcio inglese e anche per gli altri campionati. Da quel momento un oceano di giocatori stranieri ha invaso il massimo campionato di Sua Maestà. In alcuni casi con esiti positivi e in molti altri senza lasciare traccia.
Acquistando vagonate di giocatori non inglesi, per molti anni la Premier League ha quasi soffocato quei talenti inglesi che potevano sbocciare nei Club e per molti di loro la strada si è conclusa ben presto in un vicolo cieco. Così a partire dalla mancata qualificazione all’Europeo 2008, la federazione ha quasi obbligato i club inglesi ad invertire la rotta intrapresa. Per le squadre che puntano sui giocatori del proprio vivaio e con nazionalità inglese, fondi e premi maggiori rispetto al passato. E negli ultimi 7 anni in questo senso i risultati si sono visti, considerando che le nazionali giovanili inglesi hanno vinto tutto quello che c’era da vincere.
5 – Troppa pressione
Con il passare degli anni e fallendo sempre più occasioni, la pressione di stampa e tifosi si è fatta sempre più alta. Ad ogni appuntamento aumenta a dismisura la suddetta pressione e puntualmente la nazionale patisce di fronte a queste responsabilità. Ovviamente si tratta di un “male” che coinvolge tutte le grandi squadre, ma che sulla truppa inglese si abbatte ancor con maggior fragore. Una vittoria aiuterebbe anche a superare questo scoglio.
6 – Un pizzico di sfortuna
Diciamo che la nazionale inglese ha anche un conto aperto con la sfortuna. Nel 1986 ad esempio ebbe la sfortuna di incrociare Maradona e la sua Argentina. Se il Pibe il primo gol lo segnò con la mano, il secondo fu un tango talmente esaltante da colpire a fondo l’orgoglio inglese. Quattro anni dopo in Italia, un’ottima Inghilterra si fermò dagli 11 metri con la Germania in semifinale.
Stesso copione sei anni dopo nell’europeo giocato in casa: rigori maledetti contro la Germania in semifinale. A questo aggiungiamoci una serie di infortuni nel momento più importante, altre partite perse dal dischetto e qualche decisione arbitrale non propria amica. Insomma anche la sfortuna ci ha messo lo zampino.
Gareth Southgate
L’uomo a cui si aggrappa un paese intero. Stiamo parlando del CT Gareth Southgate che dal 2016 ha intrapreso un percorso ben definito con la nazionale. Al mondiale del 2018 ha ottenuto il massimo, con una semifinale contro i futuri campioni. L’Europeo che sta iniziando potrebbe essere quello della svolta per la nazionale e per il tecnico stesso. Per la prima volta dopo tantissimi anni, l’allenatore della nazionale ha il favore della stampa, l’adorazione dei tifosi e il benestare della squadra. Un trittico che non si vedeva da tantissimo tempo.
Non solo, ma lo stesso Southgate ha cambiato anche la mentalità della squadra. Il nome del singolo, viene dopo il bene della squadra. Anche la stella più importate se non al massimo della condizione può rimare fuori dalla squadra. Il caso più eclatante è stata l’esclusione di Alexander Arnold dalle convocazioni dello scorso marzo. Dopo tre anni ad altissimi livelli, il terzino destro del Liverpool ha avuto un vistoso calo, complice un momento di cattiva forma. E in quella occasione il CT lo ha escluso, dimostrando che tutti sono utili e nessuno indispensabile. Il messaggio è stato recepito a pieno dell’esterno di difesa che ha poi riguadagnato la maglia della nazionale in vista degli europei.
Infine, Gareth Southgate ha iniziato a raccogliere alcuni dei pezzi più pregiati che negli ultimi 7 anni hanno condotto le nazionali giovanili alla conquista dei vari trofei di categoria. Dopo aver vinto tutto quello che c’era da vincere, per questa sorta di generazione d’oro, è arrivato anche il momento di affermarsi a livello di nazionale maggiore. Il futuro è il presente per l’Inghilterra calcistica.