Avete mai giocato a pallone in spiaggia, magari con un “Super Santos” d’annata? Quelle sfere di plastica ultra leggere che quando colpite prendevano direzioni assurde e non si sapeva mai dove andavano a finire. Bene, ora provate a fare lo stesso tiro con una vescica di animale gonfiata d’aria e coperta da spesse strisce di pelle di mucca. Scoprirete i due estremi delle potenzialità di uno degli strumenti più importanti nel gioco del calcio: il pallone.
Le origini del pallone
No, non andremo a sviscerare le testimonianze dei tempi antichi per vedere quando e dove si è cominciato a giocare a pallone. Ci basti sapere che fin dagli albori delle civiltà, l’uomo ha sempre cercato (e trovato) il modo per giocare con qualcosa di simile a una palla, creata ovviamente con gli strumenti di volta in volta a disposizione.
A fine ottocento con la nascita del gioco del calcio più o meno come lo conosciamo ora, l’esigenza di avere tra i piedi un pallone quanto più possibile efficace ha portato alla ricerca di metodi sempre più moderni. Si è passati dalla classica vescica di animale coperta dalla pelle dello stesso cucita insieme da piccoli artigiani, a quelli di fabbricazione industriale formati da sezioni di cuoio che avevano però la triste caratteristica (per i calciatori) di essere estremamente pesanti e difficili da manovrare. Specialmente in particolari condizioni climatiche e sotto la pioggia, quando diventavano pietre impossibili da colpire (e con forti rischi per l’incolumità stessa dei giocatori).
Bisognerà poi aspettare fino agli anni sessanta per avere se non altro un pallone sintetico che non si inzuppasse d’acqua e permettesse di colpire di testa senza rischiare un bernoccolo.
La rivoluzione del Telstar
Fino a quel momento per i calciatori, riuscire a ottenere un perfetto controllo del pallone durante il tiro era veramente molto complicato. Ma sul finire degli anni sessanta arrivò quella che potrebbe essere considerata una vera e propria rivoluzione calcistica: il pallone Telstar.
Lo si riconosce per il suo tipico aspetto a esagoni e pentagoni bianchi e neri (20 e 12) che ne diedero non solo una perfetta forma sferica, ma anche cuciture più uniformi e spazi lisci più larghi, che consentivano effetti molto più precisi.
Non a caso sono proprio gli anni in cui Mario Corso divenne noto per i suoi tiri a “foglia morta“, ancora più micidiali con un pallone più leggero e che riusciva a navigare meglio sull’aria durante la rotazione (il classico “effetto Magnus”, che sfrutta le differenze di pressione intorno al pallone).
Con qualche lieve modifica (dal “Tango” al “Fevernova”), questa tipologia di palloni è rimasta poi in uso fino al 2004, anno della seconda grande rivoluzione tecnica.
La seconda rivoluzione: la termosaldatura
Forse non avrà avuto l’impatto di altre importanti scoperte scientifiche, ma nel mondo del calcio l’introduzione della “termosaldatura” per quanto riguarda le cuciture dei palloni, è stata a dir poco rivoluzionaria.
Dagli Europei del 2004 infatti, arriva l’epoca del “Teamgeist“, poi lo “Jabulani” (Mondiali 2010). Tutti con in comune un unico obiettivo: rendere il pallone sempre più liscio e privo di cuciture. Prima con l’uso di 14 pannelli termosaldati, poi scesi a 8 e infine soltanto a 6.
Si stava ottenendo in pratica una sfera quasi perfetta, esteticamente molto più malleabile e soprattutto completamente impermeabile e leggera. L’idea era quella di dare ai giocatori uno strumento sempre più recettivo al tocco e agli effetti che si volevano imprimere. Ma la fisica non è un gioco di luci e specchi e ben presto questa ricerca esasperata portò con sè proprio il problema che si voleva migliorare: la perdita del controllo del pallone.
Il difetto dello Jabulani ai Mondiali del 2010
Il nuovo pallone presentato ai Mondiali del 2010, lo “Jabulani“, era sicuramente bellissimo. Termosaldato con soli 8 pannelli in poliuretano, liscio come una sfera quasi perfetta. Anche troppo.
Già perchè proprio questa sua caratteristica con mancanza di giunture e la totalità di superficie liscia, causava seri problemi di aerodinamica durante la fase di volo.
Il motivo è da ricercare proprio in come l’aria si muove sul pallone durante la sua traiettoria: i flussi d’aria devono scorrere sul pallone in maniera uniforme e le cuciture disposte in maniera omogenea servivano proprio a fare in modo che ruotando su se stessa, la palla avesse più o meno sempre lo stesso attrito derivato dalle cuciture e si stabilizzasse. Con questa tipologia di palloni invece, ruotando in volo molto spesso la parte liscia era troppo predominante e disomogenea causando quindi alcuni movimenti laterali completamente imprevisti.
In pratica è quello che succede anche alle palle lanciate nel baseball, che in quel caso però sono proprio l’effetto voluto per spiazzare il battitore. Si chiama “Knuckle Ball” ed è stato un vero tormento per i portieri di quel Mondiale. Anche perché i suoi massimi effetti si verificavano proprio con velocità della palla intorno agli 80 chilometri all’ora, ovvero esattamente quella che si otteneva durante i calci di punizione vicino all’area di rigore.
Non a caso due dei migliori portieri al mondo di quella manifestazione, Casillas e Buffon, si espressero fin da subito con forti critiche a riguardo, definendolo come un pallone da spiaggia (avete presente il nostro Super Santos?).
Gli ultimi sviluppi
Un errore così macroscopico necessitò quindi di una rivisitazione alla base dei principi di costruzione del pallone stesso. Lasciata da parte l’estetica del pallone “liscio”, era fondamentale risolvere prima di tutto il problema degli effetti indesiderati e improvvisi.
Per farlo, bisognava restituire al pallone quell’attrito omogeneo di cui aveva bisogno per sfruttare tutte le potenzialità della fisica che i flussi d’aria potevano offrirgli. La superficie liscia lasciò quindi il posto a una struttura più ruvida (simile alla palla da basket o da golf come principio), con piccolissime incavature che consentivano l’ottimizzazione aerodinamica che si andava cercando.
La nuova direzione ha così portato i risultati sperati, fino all’ultima evoluzione con il pallone di Euro2020 che ha probabilmente esaltato tutti gli aspetti positivi delle nuove tecnologie. Una superficie “puntellata” e ruvida (sempre più in direzione palla da basket) e cuciture ancora più marcate e profonde (e spigolose).
Insomma il pallone oggi rende possibili traiettorie sempre più estreme e controllate. Perchè come diceva quella pubblicità una volta, la potenza è nulla senza controllo. Però poi, ci vuole anche un piede pieno di talento.