Euro 64 è la seconda edizione degli Europei di calcio, che inaugura quella che sarà la cadenza quadriennale di questo torneo, inserito in calendario negli anni pari in cui non si gioca il mondiale. Sull’onda del buon successo ottenuto dalla prima edizione, sia in termini di pubblico che di contenuti tecnici, si replica quindi l’intero torneo a partire dalla formula, che prevede una fase finale solo dalle semifinali in poi.
Le qualificazioni per Euro 64
L’aumento dell’interesse per la competizione porta un numero maggiore di iscrizioni, con un totale di squadre partecipanti che arriva a 29 nazionali.
Il livello organizzativo e le regole che sovrintendono alla struttura del torneo dimostrano però che ci sono ancora margini di miglioramento molto ampi per rendere la manifestazione ancor più seguita e spettacolare.
A dimostrazione di questo, basta vedere quello che accade nel primo turno eliminatorio: essendoci 29 squadre si decide per far avanzare direttamente agli ottavi 3 formazioni, di cui una l’URSS campione in carica, mentre le altre due sono scelte per sorteggio, senza quindi nessuna motivazione di tipo tecnico. Assieme ai sovietici saranno saranno quindi Austria e Lussemburgo a seguire alla neonata tv le gare del turno eliminatorio.
Il calendario è un’altra caratteristiche migliorabile: basti pensare che la prima gara di questa edizione, il derby scandinavo tra Norvegia e Svezia si gioca il 21 giugno 1962, appena 4 giorni dopo la finale del mondiale disputata in Cile che ha visto la Cecoslovacchia sconfitta dal Brasile di Garrincha.
Il sorteggio poi è totalmente integrale: niente teste di serie o simili, con il risultato che nel turno preliminare ci si trova Francia-Inghilterra (avranno la meglio i transalpini) o Belgio-Jugoslavia, ma anche Grecia-Albania o Irlanda-Islanda.
La prima partecipazione per l’Italia
Per la prima volta partecipa anche la nazionale azzurra, che nel turno preliminare è sorteggiata con la Turchia, all’epoca squadra assai modesta. Nella gara di andata giocata a Bologna nel dicembre del 62′ il risultato non ammette repliche: 6-0 con doppietta di Rivera e 4 gol della meteora Orlando, onesto pedatore con una discreta carriera nella Roma e niente più.
Il ritorno si gioca qualche mese più tardi ad Istanbul, su di un campo dove non cresce un filo d’erba, polveroso come quelli che si possono calcare negli oratori. Forte della qualificazione già archiviata all’andata l’Italia disputa una gara scialba, risolta da un guizzo del nostro oriundo Sormani a 4 minuti dal termine.
L’ostacolo degli ottavi per la nazionale azzurra è però di quelli insormontabili, dovendo affrontare i campioni in carica dell’URSS nel doppio confronto. Il primo si gioca in terra sovietica e la gara non ha storia: ci viene inferto un secco 2-0 con le reti di Ponedelkin e Cislenko. La gara di ritorno non fa che confermare la superiorità dei nostri avversari, che all’Olimpico di Roma si portano in vantaggio dopo poco dopo la mezz’ora con un gol di Gusarov e poi gestiscono la gara, fino al pareggio di Rivera siglato ad un minuto dalla fine.
Quindi questo primo bilancio bilancio Europeo azzurro si chiude con una delusione, e con la consapevolezza che per raggiungere il livello delle migliori nazionali europee la strada da fare è ancora molta. Stiamo del resto parlando dell’Italia di Edmondo Fabbri, uscita malconcia dal mondiale cileno del 62′ e che si appresta a disputare quelli inglesi in cui si toccherà uno dei punti più bassi della storia azzurra, con l’inopinata sconfitta contro la Corea del Nord che ci rimanderà a casa pieni di vergogna.
Le 4 semifinaliste: conferme e sorprese
Al termine del percorso di qualificazione, restano quindi 4 squadre. Tra queste viene scelta la Spagna per ospitare la fase finale, anche per questioni di tipo politico, volendo in qualche maniera assecondare la fine dell’isolazionismo franchista. In Spagna infatti vige un regime militare, ma le recenti aperture diplomatiche della fine degli anni 50′ hanno portato ad un miglioramento delle condizioni di vita per il popolo spagnolo, che vive in quel 1964 un periodo di boom economico come molti altri paesi della zona europea.
Assieme alle furie rosse sono presenti alla fase finale anche l’URSS, che può quindi difendere il proprio titolo, e due sorprese come l’Ungheria, che ha sconfitto la favorita Francia e la Danimarca.
Il percorso dei danesi è la dimostrazione di quanto accennato in precedenza riguardo al sorteggio integrale: per qualificarsi a Euro 64 hanno dovuto sconfiggere nell’ordine Malta, Albania e Lussemburgo, con quest’ultimo turno deciso inoltre solo dopo spareggio. Insomma qualche dubbio sulla reale forza della nazionale danese è legittimo, e infatti nella semifinale giocata a Barcellona il 17 giugno 64′ contro i sovietici la gara non avrà storia con l’URSS vittoriosa con un secco 3-0.
Qualche ora prima i padroni di casa della Spagna avevano sfidato, e battuto, l’Ungheria per 2-1, avendo però ragione della nazionale magiara solo dopo i tempi supplementari, grazie ad un gol del madrileno Amancio al 112′.
Si materializza quindi la finale che tutti attendevano: il 21 giugno 1964 alle ore 18.30 si sfidano al Santiago Bernabeu di Madrid le nazionali di Spagna e URSS per decretare la squadra più forte d’Europa.
La finale di Euro 64: il trionfo delle furie rosse
La Spagna sconta qualche accesa polemica per le convocazioni, con il C.T. Villalonga reo di non aver fondato la nazionale sul blocco del Real Madrid e di aver lasciato a casa Alfredo Di Stefano, considerato troppo vecchio. Le furie rosse girano attorno al geometrico talento di Luisito Suarez, impareggiabile architetto del centrocampo che in quelle stagioni sta furoreggiando con la maglia dell’Inter e che proprio qualche settimana prima ha vinto la Coppa dei Campioni ai danni del Real nella finale del Prater di Vienna.
L’URSS è come da tradizione una squadra fisica e dotata di buona tecnica, ancora guidata da Lev Jašin in porta e che non è molto cambiata a prima vista. Rispetto alla prima edizione dell’Europeo può contare però sul talento di Cislenko a centrocampo e sulla classe di Khusainov davanti che fa coppia con la consueta torre Ponedelkin.
La Spagna parte subito aggredendo i campioni in carica, che provano a metterci il fisico ma devono subito capitolare. Dopo appena 6 minuti di gioco, i tifosi del Bernabeu vedono il 10 Luisito Suarez svolazzare verso la fascia destra: il campione iberico centra un cross soffice come una nuvola sulla quale si avventano due difensori sovietici, che combinano però la più classica delle frittate. Sulla palla si avventa Pereda, che la sbatte in rete senza pensarci due volte e porta avanti i suoi.
L’URSS è ferita e si riversa subito verso la porta spagnola e dopo solo due minuti trova il pareggio con un tiraccio di Khusainov, che per anticipare il difensore spara verso la porta una palla poco potente e ancor meno precisa: il portiere iberico Iribar però ha un tempo reazione biblico, che lo porta a scendere verso il terreno in maniera goffa facendosi superare da quel pallone non certo irresistibile.
La partita scivola poi sui binari di un sostanziale equilibrio. Aleggia sopra al Bernabeu lo spettro dei supplementari, a dimostrazione che si tratta di una partita sentita, e di una competizione già divenuta importante per le squadre nazionali.
Questo spettro è però destinato ad essere scacciato: Pereda si candida a man of the match, riconquista una palla palla e sfugge al suo marcatore sul lato corto dell’area di rigore. Riesce con le residue forze a calibrare un cross sul quale si avventa Marcelino: il centravanti del Real Saragozza impatta il pallone in maniera violenta, con lo spigolo della testa indirizzando la sfera sul primo palo; ne esce un proiettile che sembra un lampo da tanto è veloce e sorprende Jašin, a cui resta solo il gesto di stizza per il gol subito.
Siamo all’84 minuto di una partita tirata. Tutto il Bernabeu trattiene il fiato per 6 lunghi giri d’orologio, in cui i sovietici tentano l’arrembaggio finale. Al fischio dell’arbitro inglese Holland gli 80.000 che assiepano gli spalti possono esplodere la loro gioia. In campo i giocatori spagnoli piangono e si abbracciano.
Un giro di campo per la passerella trionfale che ha un sapore speciale per Suarez, campione d’Europa per club e nazionali nel giro poche settimane. Ma che ha il sapore della rivincita anche per Villalonga, le cui idee hanno avuto la meglio sulle critiche feroci. La Spagna alza così il suo primo trofeo come nazionale. Non sa che sarà l’unico per molti anni prima dell’irripetibile generazione d’oro degli anno 2000.