L’alchimia che porta una nazionale a trionfare nei grandi tornei internazionali è qualcosa che non si può calcolare a tavolino. Di certo ogni allenatore fa di tutto per mettere in campo la squadra migliore possibile, cominciando ovviamente nello scegliere quelli che secondo lui sono i giocatori ideali per mettere in scena la sua idea tattica di gioco.
Ma proprio perchè la sua visione è relativa a un concetto soggettivo, pur con tutti i parametri che sono coinvolti in scelte di questo tipo, può capitare che al termine della selezione per le varie rose nazionali, qualche nome illustre rimanga fuori dai giochi. Anzi, a ben vedere capita praticamente ogni volta. Perchè è inutile ribadire quanto fa generalmente molto più rumore il silenzio di un’assenza pesante, che non quello di chi prenderà eventualmente il suo posto.
La storie è piena di esempi a riguardo, e solo l’esito finale dei vari tornei potrà decretare con quali aggettivi verrà associato il nome del selezionatore nei libri di storia del calcio: se con quello di “geniale” affidato ai vincenti, o con un “folle” destinato a chi avrà perso la sua sfida.
Il caso Pruzzo
Malgrado le sue origini genovesi e genoane (con cui ha messo insieme oltre 140 partite), è indubbio che la storia di Roberto Pruzzo sia indissolubilmente legata alla maglia gialla rossa della Roma, con realizzò anche il magico sogno dello scudetto del 1983. Un Amore costruito a suon di gol, con tanto di tre titoli da capocannoniere della Serie A e innumerevoli altri piazzamenti tra i primi.
Ma nonostante un palmares incredibile per un attaccante, la storia di Pruzzo in maglia azzurra è lunga soltanto sei righe. Sei partite senza alcuna rilevanza, che lasciano un vuoto piuttosto inspiegabile.
Così come è stata francamente difficile da comprendere la scelta di Enzo Bearzot, che prima lascia a casa per la Coppa del Mondo del 1978 in Argentina sia Bebbe Savoldi (capocannoniere del campionato) sia Roberto Pruzzo (che già stava segnando a raffica) e poi si supera quattro anni più tardi lasciando ancora a casa il bomber della Roma per fare spazio a un Paolo Rossi che aveva in pratica saltato tutta la stagione (per le note vicende poco sportive).
Ecco, quando parliamo del fatto che la storia poi prende il verso dei vincitori, intendiamo proprio quello che successo poi in Spagna nel 1982. L’Italia che vince il Mundial, Paolo Rossi capocannoniere della competizione e più tardi anche Pallone d’Oro.
E Pruzzo? Pruzzo sarebbe stato osannato in caso di disfatta azzurra, perchè chi resta a casa ha sempre ragione quando si perde. Ma dopo un trionfo, quasi nessuno si ricorda più i motivi per cui non è andato insieme ai compagni. E non ci andrà nemmeno in Messico ’86, pur avendo appena messo in carniere un altro titolo di capo dei marcatori in Serie A. E quella volta però forse sarebbe stato meglio averlo, o forse no. Fatto sta che non andammo oltre gli ottavi di finale (eliminati dalla Francia), e fu la chiusura di un ciclo per tutti. Berzot e Pruzzo compresi.
La rivoluzione di Sacchi
L’Italia arrivava dopo l’esperienza amara delle notti magiche, quando tutti si aspettavano una vittoria che poi non è mai arrivata, così come la qualificazione per gli Europei che costò la panchina a Vicini. Per arrivare ai Mondiali negli States, ecco che la squadra viene affidata ad Arrigo Sacchi, ovvero colui che aveva vinto tutto con il Milan rivoluzionando il calcio mondiale.
E proprio con una mezza rivoluzione comincia anche il suo regno azzurro, riformando completamente la difesa (lasciando a casa Vierchowod e Bergomi) ma soprattutto l’attacco con le esclusioni un po’ a sorpresa di Roberto Mancini e ancor di più di Gianluca Vialli (a cui gli ha quasi sempre preferito Casiraghi).
Vialli non nasconde una pesante amarezza per questa scelta, tanto che da quel momento sono molte le situazioni in cui ci si troverà a leggere sui giornali alcune sue dichiarazioni piccate verso il Ct Sacchi (si vociferava anche che tifasse addirittura per il Brasile in finale). E in virtù dell’epilogo sportivamente tragico di quella trasferta, con il rigore sbagliato proprio dall’eroe Baggio (che per molti ha “salvato” proprio Sacchi da diversi errori tecnici durante quel mondiale), in questo caso non ci rimane che la domanda: “Chissà cosa sarebbe stato se…”. Senza alcuna risposta, ovviamente.
Non dire gatto se non hai Baggio nel sacco
Nel 2002 è la volta di Mr. Trappatoni in nazionale, in un Mondiale coreano che è a tutt’oggi una delle pagine più inclementi del calcio (italiano e non solo). E’ l’anno dell’incredibile sconfitta azzurra contro la Corea, o per meglio dire contro l’arbitro Moreno, che ci condanna a un’uscita agli ottavi che grida vendetta.
Ma prima di tutto questo, prima della vergogna sul campo, c’erano state le tante polemiche proprio verso il Trap. Motivo del contendere anche in questo caso, l’esclusione di uno dei nostri giocatori più rappresentativi e talentuosi: Roberto Baggio.
Qua a dire il vero c’è una piccola postilla da fare, visto che il Divin Codino in effetti aveva avuto una stagione travagliata, con un grave infortunio che lo aveva tenuto fuori fino alle ultime giornate di campionato. Eppure era già tornato in campo a fine aprile, peraltro mettendo a segno subito tre gol in tre partite.
La condizione quindi poteva esserci, la voglia invece non sarebbe mai mancata. Mancò invece la convocazione, lasciandoci ancora una volta con il dubbio su come sarebbero potute andare le cose. In Corea, così come per il finale di carriera di uno dei nostri più grandi campioni (che si esaurì invece dopo altre due stagioni di Brescia fatte comunque a ottimo livello).
La volta di Kean e Mancini
Dopo tutto questo, dopo questi nomi che sono parte della storia del calcio italiano, sinceramente fa specie oggi come oggi vedere tanto scalpore per le scelte di Mancini con la nazionale per gli Europei.
Le polemiche dovute all’esclusione del giovanissimo Moise Kean hanno subito aperto una breccia nelle sicurezze azzurre (forti di un ottimo cammino fin qua). Ma nonostante la buona stagione dell’attaccante ora in forze al PSG, potrebbe non essere poi così trascendentale la sua assenza (ha ancora tanta strada da fare e la farà sicuramente visto il suo talento).
Abbiamo fatto a meno di Pruzzo, di Vialli, dello stesso Mancini e persino di Roberto Baggio. Ora non resta che vedere se sarà una di quelle volte in cui ricorderemo più i nomi dei presenti, o quelli degli assenti.