Come si fa a raccontare Buenos Aires?
Come si fa a rinchiudere in un susseguirsi di parole un luogo enorme e vario, sterminato nelle sue accezioni e concezioni. Quando si parla della capitale argentina, c’è sempre un pezzo mancante, un puntino invisibile che non permette di mettere a fuoco il collegamento. Spesso è un tocco preciso, una nozione calcistica, la storia del ragazzino terribile di qualche ‘Villa’ in grado di ribaltare la storia e di appropriarsi di un pezzo di cultura popolare.
Ora: non tutti potranno essere Maradona, ma tutti sognano di diventarlo. E se nasci a Belgrano, Buenos Aires, nella parte nord del centro cittadino, hai almeno una certezza: l’infanzia sarà ben diversa dal solito racconto di campi di fango e piogge torrenziali. Hai una spinta in più: quella di vivere a due passi dal mare, a uno solo dalla storia più incredibile che possa esistere. Quella dei Millonarios. Quella del River Plate.
Estadio Antonio Vespucio Liberti
Proprio il Barrio River – nome mai ufficializzato, ma per tutti è il complesso residenziale antistante lo stadio – confina a nord-ovest con il barrio di Nunez; a sud il barrio Palermo. A est, invece, il rio de la Plata: il confine calcistico più netto che possa esistere.
Ora: la grandezza di questo respiro di Buenos Aires è l’equilibrio sostanziale tra il costante ricordo della storia (tra Chiese, piazze e monumenti) e il continuo produrre e commerciare (Barrio Chino su tutti). Nel mezzo, due colori decisamente distinguibili: il bianco della purezza, il rosso della nobilita. Pardon: facciamo anche tre. Perché il blu del Rio de la Plata si fa vedere e sentire: al Monumental è la brezza che fa forte un popolo intero.
Ecco, l’Estadio Monumental. L’Estadio Monumental Antonio Vespucio Liberti. Il perché del nome è presto spiegato: Antonio Liberti acquistò per 570mila pesos un terreno di 84mila metri quadrati.
Il 25 maggio del 1935 fu posta la prima pietra dello stadio e tre anni dopo – esatti – l’impianto fu inaugurato ufficialmente. La capienza originaria era di 68mila posti, oggi può contenere 72 anime e battiti.
C’è una storia incredibile dietro la costruzione – del resto, siamo pur sempre a Buenos Aires -: delle quattro tribune presenti inizialmente nel progetto, ne furono realizzate soltanto tre. Il motivo? Erano finiti soldi e materie prime. Pertanto si decise di lasciare un’apertura ‘romantica’ con vista verso il fiume, lasciando allo stadio una forma di ferro di cavallo.
A fine anni Cinquanta, nuovi lavori portarono alla chiusura dell’ovale, almeno parziale: fu finanziata dalla cessione di Sivori alla Juventus per 10 milioni di pesos.
Nel ’58, contava una capienza di 90mila spettatori; nel 1975, alla vittoria del River dopo 18 anni di bocca asciutta, ce n’erano almeno 100mila.
Le partite più importanti
E quella partita, chi c’era, la ricorda ancora come una marea di passione impossibile da contenere. È stata forse una delle sfide più belle, affascinanti, sentite dell’intera storia del River e del Monumental: era la partita decisiva tra Argentinos Juniors e River Plate, dopo giorni di grandi proteste a causa dello sciopero indetto dai giocatori, insoddisfatti dei propri salari.
Dopo ore di trattative, nessuno riuscì a spuntarla, costringendo i dirigenti ad attingere alla quarta, quinta categoria pur di far disputare la partita, di dare al popolo biancorosso una chiusura degna. Giovani senza esperienza – alcuni neanche avevano debuttato – con un obbligo enorme e una storia incredibile da scrivere: il sinistro di Ruben Bruno, lanciato in campo dal mister delle giovanili Federico Vairo, fu decisivo per la vittoria finale.
Ma non solo Aperturas y Clausuras, cioè i campionati. Il Monumental è lo stadio argentino che ha ospitato più partite di Copa Libertadores: quest’anno viaggerà verso le 200 ‘presenze’, circa cinquanta in più de La Bombonera.
Del resto, uomini e storie non possono mentire: da La Maquina degli anni Quaranta, da idoli come Di Stefano e Sivori, dai grandi campioni degli anni 70 e 80 come Passarella, Kempes, Alonso, Gallego, Fillol, Francescoli, Caniggia e Ruggeri, fino agli anni Novanta con Salas, Ortega, Gallardo, Crespo, Aimar e Saviola, era impossibile non rendersi conto di come il centro dell’universo calcistico – certamente quello sudamericano – si trovasse proprio lì, a un passo dal fiume che ha fatto grande questo sport.
Adolfo Pedernera, meraviglioso attaccante ai tempi de La Maquina, ha forse dato la migliore definizione del Monumentàl: “Il primo passo del gigante”.
Ecco, anche per questo l’Argentina, nel 1978, scelse quel panorama e quell’atmosfera come casa per il mondiale interno del 1978. Vi giocò tutta la prima parte, compresa la sconfitta per 1-0 contro l’Italia. Vi giocò poi la finale, contro i Paesi Bassi: 3-1 dopo i tempi supplementari. E un sogno realizzato.
Altri eventi di spicco
Aveva provato a riaffidarsi alla cabala, l’Albiceleste: nella Copa America inizialmente organizzata in Argentina, il Monumentàl sarebbe stato il teatro perfetto per un epilogo da brividi. Notizia di pochi giorni fa: si gioca in Brasile, da tutt’altra parte e con tutt’altra tradizione. Un peccato, vero e profondo.
Perché pochi stadi al mondo danno quel senso di assolutezza e di grandezza. Perché nessun impianto come il Monumentàl sa essere popolare e regale. Come i Millonarios.
Non solo calcio, comunque. Anche tanta musica ed eventi incredibili. Immaginate solo questo e in quello scenario: Peter Gabriel, Sting e Bruce Springsteen. Ecco, era il 1988 ed era il concerto di beneficenza di Amnesty International; nel 1990 Bowie lo riempì fino all’orlo, tre anni dopo i Guns N’Roses tennero due concerti, quelli conclusivi. Poi Michael Jackson, che nel ’93 stabilì il record assoluto di presenze allo stadio con oltre 105mila spettatori.
A proposito di miti musicali (ma anche calcistici, data la famosa fede per il Man City), un consiglio: il 3 maggio del 2009, Noel Gallagher regalò al mondo una versione da brividi della celebre “Don’t Look Back in Anger”, tutta in acustico. Dove trovò l’ispirazione? Guardando la folla che lo acclamava all’Estadio Monumental Antonio Vespucio Liberti. All’Estadio Monumentàl. No, non è mai stato un caso.