La vittoria nella finale di Champions League permette ai nerazzurri di completare il capolavoro iniziato con la Coppa Italia e proseguito con lo scudetto
Sono passati dieci anni ma è come se l’Inter il “triplete” lo avesse conquistato oggi, tali e tante sono state le emozioni che un gruppo di indomiti eroi riuscì a regalare a milioni di persone. Tutto cominciò con il gol di Milito che stese la Roma nella finale di Coppa Italia. Poi arrivò Siena e il sudato ma meritatissimo success in campionato. Poi arrivò Madrid, sabato 22 maggio 2010, la finale di Champions League. Da Julio Cesar a Milito, passando per tutti gli eroi dell’indimenticabile, storica stagione. La giocarono tutti, quella finale. Tranne Thiago Motta, squalificato dopo il rosso del tutto inventato per la scorrettezza imbarazzante di Sergio Busquets, che rese epica la resistenza dei compagni in casa del Barcellona nel ritorno della semifinale. Con una difesa pressoché imperforabile, che incassò solo tre gol nelle sette partite dell’eliminazione diretta. In mezzo, il moto perpetuo di capitan Zanetti e il fosforo di Cambiasso e, alle spalle del Principe che stava per essere incoronato re, il genio di Sneijder abbinato al sacrificio e ai guizzi di Eto’o, Pandev e Balotelli. Tutti spinti a dare tutto dal loro leader, Jose Mourinho, lo Special One portoghese in piedi davanti alla panchina, mai fermo. Anche quel Bayern, allenato da Louis Van Gaal aveva già vinto coppa e campionato nazionale e anche i tedeschi erano arrivati in fondo soffrendo. Secondi nel girone dietro al Bordeaux, poi promossi solo dai gol segnati in trasferta con Fiorentina e Manchester United, fino al franco doppio successo in semifinale col Lione. Sul rettangolo verde del Bernabeu, Diego Milito, l’argentino arrivato in Italia per scrivere un pezzo di storia. Quella interista. Preso dal Genoa a 30 anni per dare il meglio in nerazzurro. Pronti, via: 30 gol nelle 52 partite della sua prima stagione milanese. In coda, i più pesanti. Quello alla Roma nella finale di Coppa Italia, quello di Siena decisivo per festeggiare il 5° scudetto di fila. E poi, su tutti, i due di Madrid: 35’ del primo tempo, su assist di Sneijder ma soprattutto il secondo al 25’ della ripresa, umiliando Van Buyten con un dolce dribbling vicino alla porta. Incancellabili colpi d’autore. Anche Wesley Sneijder era alla prima annata nell’Inter. Arrivato a fine mercato dal Real Madrid, aveva debuttato al volo nel derby ed era subito stato 4-0 al Milan: mica male. Continuò alla grande, l’olandese. E il pallone d’oro per Milito per l’1-0 di Madrid è il suo sesto assist in quella Champions: nessuno come lui. È del 1979 come Milito, ma Julio Cesar era all’Inter già dal 2005. Un portierone, il brasiliano dal nome importante. L’ultimo baluardo di una retroguardia che, tra Samuel, Chivu, Materazzi, Maicon, Cordoba e l’ultimo arrivato Lucio, era la base della squadra pluricampione italiana del “dopo-Calciopoli”. Anche a Madrid “l’acchiappasogni” fu decisivo. Specie a inizio ripresa, sull’1-0: prima su Muller e poi sul tiro a giro di Robben. Un gigante. La finale col Bayern fu l’ultima panchina interista di José Mourinho: il top raggiunto in capo a due stagioni di successi. Non piene di partite sfavillanti, ma sempre di assoluta e feroce concretezza. Aveva già vinto tutto, il portoghese che ha sempre diviso, tra Porto e Chelsea. Massimo Moratti lo scelse nel 2008 per dare la caccia all’unica cosa che le mancava. Lo Special One ebbe dal mercato quel che desiderava e fece bingo cambiando l’Ibra col mal di pancia con Eto’o disposto anche a fare il terzino e liberando spazio in avanti per Milito. Rimane impressa nella memoria di ogni tifoso della Milano Nerazzura quella scena famosa: Mou che ferma la macchina appena partita, scende e va ad abbracciare Materazzi appoggiato al muro, dietro il bus, per un addio in lacrime. Spiegato poi dal tecnico: «Avevo già preso la decisione. Non avevo firmato ancora nulla, ma avevo deciso. Se fossi tornato a Milano, sapevo che avrei potuto cambiare idea». Quella notte a San Siro e dintorni, i colori erano solo due: il nero e l’azzurro. I tifosi aspettarono fino alle prime luci del mattino per vedere il rientro degli eroi, che continuarono i festeggiamenti iniziati a Madrid e si godettero l’abbraccio di un popolo entusiasta per un successo atteso 45 anni. Un’Inter come quella di Julio Cesar, Zanetti e Milito, non ci sarà mai più, “ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa”, come direbbe il “Freccia” nel discorso del film di Luciano Lugabue. Giusto per ricordare che dopo anni in cui la differenza con gli avversari era diventata tanta, quest’anno gli sforzi societari e la guida di Antonio Conte stanno riportando l’Inter a livelli consoni ad un club, l’unico club, che quando regala emozioni sa come renderle indelebili.