Può uno stesso evento salvifico e mortale? Non occorre fare troppa teologia per rispondere alla domanda. Non occorre neanche guardare – sia pure di sfuggita – al pensiero greco, che ha addirittura tre modi di dire il destino (moira, tyche, pronoia). Basti ricordare, più semplicemente, l’evento cardine nella storia Ultras del nostro paese: la morte di Vincenzo Paparelli allo Stadio Olimpico di Roma, il 28 ottobre del 1979.
L’evento del derby, mortale per il povero Vincenzo, fu salvifico per il di lui fratello – disperato –, che quel giorno a Vincenzo diede l’abbonamento. Ma come, non era Roma-Lazio? Infatti, il fratello è romanista. E allo stadio al derby non vuole andare, perché teme il clima di violenza inaudita che ne contraddistingue la storia: “Anch’io vado alla partita tutte le domeniche – rivela al Messaggero tra le lacrime, all’ospedale S. Spirito – ma ho sempre evitato di andare a vedere Roma-Lazio. Così quando mi ha chiesto il mio abbonamento (in casa, infatti, giocava la Roma) gliel’ho dato”.
La cronaca della tragedia Paparelli
I fatti sono cosa nota, ma è bene – sia pure per la memoria della vittima – ricostruirne il dettaglio.
Sono le 13.30 circa quando uno dei tre razzi lanciati dalla Curva Sud giallorossa colpisce Vincenzo Paparelli in Curva Nord. Mentre gli altri due razzi, con una traiettoria beffarda e altrettanto inspiegabile, finiscono uno fuori dallo stadio l’altro appena dopo la porta del rettangolo verde sotto Curva Nord, il razzo fatale si conficca nell’occhio sinistro del povero Vincenzo. Esploderà poco dopo, procurandogli una morte rapidissima e inutilmente allontana dalla moglie, che gli urla devastata: “Non morire, non morire, abbiamo due figli”.
La corsa all’ospedale S. Spirito si rivela inutile. Vincenzo arriva che è già morto. Il giorno dopo la cronaca sportiva nazionale – soprattutto quella romana – si interroga sull’accaduto, chiedendosi come sia possibile che un razzo di quelle dimensioni e pericolosità sia entrato in uno stadio.
Come detto, è un momento cruciale nella storia del tifo italiano. Il dottor Marinelli, che dirige il secondo distretto, dice che la polizia ha sequestrato oltre 50 razzi prima della partita. Gliene sono sfuggiti tre, evidentemente. Le prime ricostruzioni parlano di razzi antigrandine, che costano dalle 10 alle 15.000 lire. L’impatto col volto di Vincenzo è stato così violento da frantumare la punta dell’arma del delitto. Ma quei razzi, qualcuno obietta, non possono raggiungere certe distanze a quella velocità.
Infatti, pochi giorni dopo, su La Stampa viene svelata la vera arma del delitto: «non è un razzo anti-grandine quello che, domenica pomeriggio, allo stadio Olimpico ha ucciso il tifoso laziale Vincenzo Paparelli. Giovanni Fiorillo, l’assassino, ha usato un razzo a paracadute, del tipo nautico, modello “Saturno” che si trova in commercio al prezzo di quindicimila lire. Li fabbrica una ditta di Bergamo. L’ordigno usato dal Fiorillo è formato da due parti: una superiore e una inferiore. Nella prima parte c’è la carica ed è quella che viene lanciata per il segnale. La parte inferiore, invece, è costituita da un tubo, ed è quella che rimane in mano a chi ne fa uso. Il razzo “Saturno” per le sue caratteristiche d’impiego lo si può paragonare a una bomba a mano».
Una partita surreale
Sul momento, in pochi si accorgono di quanto sta accadendo in quei terribili istanti. La moglie Wanda grida disperatamente, provando ad estrarre senza successo il razzo dall’occhio del marito.
In Curva Nord si verifica un disumano via-vai. C’è confusione, qualcuno è a terra, è stato colpito, ma pochi si rendono conto della gravità di quanto è appena accaduto. I barellieri stessi arrivano con ritardo, e quando l’ambulanza parte i giocatori si accorgono che qualcosa di irreparabile sta accadendo sulle tribune dell’Olimpico. Se ne accorgono, tra l’altro, quando i tifosi della Lazio prendono d’assalto quelli della Roma in tribuna Tevere (all’epoca, e fino al 2009, le due tifoserie saranno fuse l’un l’altra almeno sulle tribune).
Alcuni esponenti degli Eagles come del Sodalizio biancoceleste chiedono la sospensione della partita scendendo in campo negli spogliatoi. Il presidente della Roma Dino Viola si rifiuta di prendere una decisione che potrebbe aggravare la situazione. Le due squadre entrano in campo in una situazione surreale.
L’Olimpico unanime canta assassini, assassini. La Nord è semivuota, assomiglia alla bocca sdentata di un teschio senz’anima. Chi rimane in curva, lancia oggetti verso la polizia che intanto si è posizionata a presidio della stessa – con in mano, ironia della sorte, lanciarazzi.
Il capitano della Lazio Pino Wilson, insieme a Bruno Giordano, si avvicinano agli spalti cercando di placare l’ira dei tifosi biancocelesti. Mentre l’arbitro D’Elia si guarda attorno disorientato, un piccolo razzo color rosso (un altro) gli sfiora la spalla. Incredibilmente, il direttore di gara fischia il calcio d’inizio. Il comandante dei carabinieri manda forze militari all’interno della curva nord, aggravando la situazione. La vera partita si gioca sugli spalti, di quella in campo non frega niente a nessuno.
Le reazioni nel post partita
Nel post-partita del derby finito 1-1, Nils Liedholm commenta come può quella gara assurda: “Sulla triste vicenda accaduta sugli spalti — ha dichiarato lo svedese — non avevamo notizie sicure. Si parlava di un ferito grave. Non avevamo la mente serena per sviluppare un gioco normale. Ognuno cercava l’iniziativa personale”. Continua l’allenatore giallorosso: “L’episodio è inconcepibile. È la prima volta, nella mia lunga carriera prima di calciatore e poi di allenatore, che mi capita di assistere ad un fatto così grave”.
Il capitano della Roma Santarini, mentre si recava nello spogliatoio dei laziali, ha dichiarato: “Quando abbiamo appreso la notizia del gravissimo incidente, noi e i nostri avversari, siamo rimasti frastornati. In questo momento non mi vengono le parole. Siamo vicini ai familiari dello scomparso. Ma so che non basta. Purtroppo si alimenta la violenza da una parte e dall’altra con certe scritte offensive come quella su Rocca [ROCCA I MORTI NON RESUSCITANO, cit. Curva Nord, ndr]. Con questo non voglio giustificare l’accaduto. Ma vorrei dire che purtroppo da scherzi pesanti a volte scaturiscono le tragedie”.
Il presidente Dino Viola, pallidissimo in volto, ha detto: “Ho parlato con i ragazzi prima e durante l’intervallo della partita. Li ho esortati a rimanere calmi, anche se era difficile per tutti in quei momenti. In settimana avrò dei contatti con i capo-tifosi. Cercheremo insieme di individuare i responsabili. Ciò che è accaduto è inaudito quando si pensa che si dovrebbe andare in uno stadio solo per divertimento”.
“Quando sono andato verso la curva dei nostri tifosi — ha raccontato il capitano Wilson — ho detto loro di lasciarci giocare. Era il modo migliore per onorare la memoria dello scomparso. In caso contrario penso che si sarebbe rischiata una tragedia ancora più grave anche se il nostro primo istinto è stato quello di non cominciare la gara. È brutto quello che dico ma quello che ha ammazzato merita di morire nella stessa maniera. Finire l’esistenza in uno stadio è davvero sconvolgente”.
Preso da una crisi di pianto, Wilson solitamente impeccabile anche a livello dialettico si interrompe bruscamente. Giordano glissa: “Abbiamo saputo della disgrazia poco prima dell’inizio della partita. Ho pregato i tifosi di stare calmi assicurando loro che avremmo fatto di tutto per vincere dedicando il successo alla memoria dello scomparso. Mi sono sentito rispondere: romanisti assassini”.
Giovanni Fiorillo, identificato dalla Mobile nel giro di 24 ore e ritenuto vero responsabile dell’omicidio Paparelli, scompare. La polizia arresterà Enrico Marcioni, altro ultrà giallorosso, che era con lui al momento dello sparo del razzo omicida. L’amico in lacrime confessa tutto, senza lasciare scampo al diciottenne Fiorillo. Per lui, come per tutto il calcio italiano, non sarà mai più la stessa domenica.