Una delle storie più incredibili del calcio italiano? Che Bruno Conti quasi si perdeva su un diamante – campo da baseball – senza rendersi conto di quanto lo illuminasse il calcio. Pensate a tutto ciò che ha portato nel calcio italiano, al talento raro che possedeva, a come ha trascinato la Roma prima e l’Italia poi. Soprattutto al Mondiale di Spagna.
Pensate a tutto questo e pensate al peso sulle spalle di Daniele, suo figlio, certamente appassionato di sport americano ma senza scelta apparente: il calcio è stato la sua vita, il problema era affrontarlo da figlio di un mito. Mai stato qualcosa di leggero.
Ci voleva un gran cuore, ci è voluto un super lavoro. Ma Conti, nato centrocampista come papà e oggi coordinatore tecnico del settore giovanile del Cagliari – a proposito: la Primavera sarda vola altissimo -, si è costruito pian piano. Intanto togliendosi un’etichetta alla volta, quindi manifestando sempre e solo in campo il suo talento. E ne aveva da vendere, Daniele. Uno per tutti.
Romano, romanista, cagliaritano
Anche suo fratello Andrea giocava a calcio, ma un po’ per i lineamenti, un po’ per il ruolo (nasce trequartista), Daniele è stato sempre l’immagine più somigliante ai fasti del padre. I piedi sono sempre stati buoni, nonostante quel carisma e quella durezza di fondo che paradossalmente andavano a oscurare tutto il resto.
Se pensi a Daniele Conti, pensi ai polmoni; se pensi a Daniele Conti, pensi ai troppi gialli. E se pensi a Daniele Conti, ti chiedi come mai in quella Nazionale così affaticata del post 2006 non ci sia stato neanche un posticino per lui. Per lui che continuava a fare meraviglie.
A Roma è stato tutto troppo difficile: è partito nelle giovanili giallorosse e non l’ha mai fatto per il nome. Certo, quello aiutava, anche a ottenere i riflettori, però Conti era una seconda punta ideale. Faceva gol e rincorreva, senza mai essere altezzoso, senza mai giocare sulle sue grandi qualità.
A 17 anni, la prima convocazione in prima squadra. Anzi: proprio l’esordio. Il 24 novembre del 1996, in un Roma-Parma con i giallorossi guidati da Carlos Bianchi, prende parte alla sua prima in Serie A. Alla fine dell’anno saranno 5, le presenze in campionato, con tanto di gol all’Olimpico contro il Perugia: quell’esultanza sotto la Sud non la dimenticherà mai. Anche perché fu espulso poco dopo: quel barcamenarsi fu considerato eccessivo.
A vent’anni, la decisione forse più sofferta: Cagliari gli offriva un posto da titolare, una strada per il futuro e – si sa – tutte le strade, soprattutto se si ama così tanto la Magica, in qualche modo sperava che lo potessero riportare a Roma. Nell’estate del 1999, dunque, la cessione in Sardegna, in comproprietà.
A fine stagione, arriva anche il riscatto. E dalla città che l’ha accolto ragazzo e l’ha trasformato in uomo, in un impeto avuto soltanto da Gigi Riva, non è più andato via.
Una lunga storia d’amore
Ma non è stato tutto semplice. Non è stato tutto rose, fiori, gol e soddisfazioni. Nella sua prima parte d’esperienza cagliaritana, Daniele ha parecchie difficoltà ad ambientarsi. Litiga con l’allenatore, le prestazioni sono difficili da commentare, e nel suo primo anno arriva anche una retrocessione dolorosa.
Sì, anche il paragone con papà Bruno pesa, e la convocazione in Under 21 è un palliativo che dà carica, ma che non cambia le cose.
In Serie B, alla fine, Daniele trascorre quattro stagioni incredibili, ognuna fuori dall’ordinario. E dopo tanto penare, nel 2007 il ritorno in Serie A segna anche la sua riscossa: sua, la firma sulla prima salvezza, con un suo gol in Cagliari-Napoli che cambia tutto e regala la vittoria ai sardi, sotto i dun gol fino al minuto 93.
Poi arriva la rete alla Roma, nell’anno successivo, ancora grandi prestazioni e il Cagliari che trova anche continuità d’Europa. Meravigliosa isola felice.
Nel 2011, Diego Lopez saluta tutti: si ritira dopo stagioni fenomenali baciate dal mare sardo. Tocca a Daniele, ormai da 10 anni al Cagliari, diventare il capitano del club. Il primo gol con la fascia? Ancora alla Roma, e per i giallorossi sembra una maledizione (e forse lo è, lo è sempre stato).
Passano le stagioni, e dal dolore dei primi attimi si passa a un amore folle, sporcato solo dai problemi con Bisoli, nel 2010. Il neo tecnico rossoblù l’aveva messo fuori rosa, insieme al vice capitano Alessandro Agostini. La società non batte ciglio, ma il pubblico è infuriato.
Ancora una volta, è Daniele a ingoiare l’orgoglio e a risolvere la situazione: rientrerà in squadra e per altre cinque stagioni sarà il capitano del Cagliari.
Senza un comunicato, senza fiatare, come una candela che si spegne da sola, Conti lascia il calcio nel 2015: il club lo ringrazia per 16 anni di militanza, per i record raggiunti – supera Nené, primatista, e Riva per presenze in Serie A – e per i 464 gettoni con 51 gol all’attivo. Nessuno come lui.
Il saluto è toccante, ma tutti sanno che per Daniele è un arrivederci: lo incroceranno ancora all’angolo, lo vedranno sempre in giro. Per tutta la vita, sarà uno di loro.