Non ci sono novità positive per il calcio italiano perché le disposizioni del Governo sono chiare: gli allenamenti di squadra potranno ripartire il 18 maggio se tutto andrà per il meglio. Ma cosa succederebbe se Serie A e Serie B non dovessero ripartire e finire la stagione?
Non sono momenti facili per chi gestisce il calcio, ma si può dire tranquillamente lo stesso per gli altri sport e per qualsiasi attività, martoriata dalla pandemia che rischia di stravolgere il nostro modo di vivere. Partiamo da un dato assodato: il 2 agosto è la data indicata dall’UEFA per la conclusione dei campionati. La fine, come detto, è già prefissata ma manca ovviamente l’inizio, almeno per quel che concerne i massimi campionati europei. La Serie A, secondo le ultime, potrebbe iniziare il 13-14 giugno, anche una settimana prima, cercando di forzare un po’ la mano. In ogni caso, il campionato sarebbe molto compresso, con partite ogni tre giorni e con il rischio di un nuovo stop, qualora la situazione – purtroppo non è una possibilità da escludere – dovesse nuovamente peggiorare.
La Lega Serie A, assieme alla FIGC, sta cercando di studiare un piano B ma le idee devono passare sul tavolo del Governo: l’UEFA ha suggerito ai club di rivedere anche le formule dei tornei, invitando ad optare per scelte come playoff o playout che assottigliano il numero di partite. In Italia la formula del playoff era già stata proposta da Gravina sin dall’inizio della pandemia ma i club non sembrano orientati ad accettarla, cancellando di fatto quanto fatto in questa stagione, con la Juve e la Lazio che non avrebbero più quel vantaggio maturato su Inter e Lazio, giusto per fare un esempio. E lo stesso vale per i playout, con annesso discorso legato alle promozioni dalla Serie B. Un altro tema da evidenziare riguarda ovviamente le Coppe, che sembrano orientate ad andare avanti, indipendentemente dalla ripresa o meno dei singoli campionati. Ma un pensiero si fa largo in Italia: se la Serie A dovesse fermarsi definitivamente, anche la Liga spagnola, vista la situazione drammatica in terra iberica, potrebbe ‘copiare’ la decisione, legittimando, così, lo stop di Europa League e Champions League.
DIRITTI TV – Un altro argomento di discussione è, ovviamente, quello economico e legato ai diritti TV: oggi i club di Serie A sono concordi all’unanimità nel negare sconti o dilazioni ai licenziatari tv ma, d’altro canto, Sky, DAZN e IMG non sono incentivati a pagare in caso di mancata ripresa del campionato, depauperando di fatto il loro prodotto. Per questo è possibile che si sviluppi una nuova trattativa per i diritti TV, ovviamente al ribasso e ciò comporta un calo delle entrate dei singoli club (si parla addirittura di 255 mln di sconto chiesto dalle TV alla Serie A), tagli che vanno ad incidere pesantemente sui bilanci, già traballanti di gran parte della Serie A, dato che, numeri alla mano, gli introiti derivanti dai diritti televisivi pesa il 40% sul totale dei conti. Senza partite, però, non calano solo le entrate da diritti TV, perché anche il resto (botteghini, sponsorizzazioni, merchandising, altri proventi) ne risentirà, provocando un danno di oltre 700 milioni di euro ai club. Il che rappresenterebbe di fatto la fine.
STIPENDI – Qualora non si ritornasse più in campo, andrebbe rivisto anche l’accordo tra i singoli giocatori e i club: in parole povere, il contratto ed eventuali tagli dello stipendio dei giocatori. La trattativa per la ridefinizione degli accordi tra le società e i sindacati si è bruscamente interrotta nei giorni scorsi anche perché le due posizioni sono, ad oggi, totalmente agli antipodi e non si vedono punti di contatto: i presidenti chiedono la rinuncia dell’intero stipendio per le mensilità senza partite (circa 4 mesi), mentre dal fronte giocatori arriva la richiesta di tagliare un mese e poi di valutare il resto in base alle novità e all’evoluzione della situazione. Tale immobilità ha fatto sì che i singoli club si accordassero nel frattempo con i giocatori, non dando un’immagine bellissima all’estero. Un’immagine di mancanza assoluta di coesione che un momento così straordinario non solo è richiesto ma è anche fondamentale. Numeri alla mano, il monte stipendi della Serie A ammonta a 1,3 miliardi di euro, cifra che, pare ovvio a dirsi, i club vorrebbero abbassare mentre i giocatori, che sarebbero i primi a scendere in campo qualora dovesse ripartire tutto, non vogliono perdere i loro diritti.
CLUB/GIOCATORI – Il presupposto di partenza delle società, ricapitolando, è molto semplice: le partite e gli allenamenti sono prestazioni lavorative richieste da contratto, qualora ci fosse qualcosa che lo impedisca se ne discute nuovamente, ma non alle cifre prefissate. Senza incassi da TV o botteghino, per i club risulta impossibile pagare gli stipendi in toto ai dipendenti. Per questo si chiede un taglio agli stipendi, una diminuzione pari al calo delle entrate dei singoli club. Ma serve un messaggio forte e chiaro dal Governo in merito alla possibilità che si riparta o no. I club ne hanno bisogno ma, avendo analizzato i numeri, anche il calcio vuole capire quale potrà essere il suo futuro.