Cosa è il Cholismo?
In barba ad una definizione che pure dal nostro titolo ci si potrebbe attendere, la storia di Diego Pablo Simeone allenatore e quella del Cholismo come fenomeno pallonaro-planetario di rilevanza storica, è bene iniziare il nostro itinerario dall’inizio.
Partire da casa
Gennaio 2006. El Cholo si siede per la prima volta della sua vita su una panchina di calcio, come allenatore di un equipo. Quest’ultimo porta il nome di Racing Club e si trova in Argentina, terra natia di Simeone. La vicenda coi colori biancocelesti della formazione di Avellaneda trova però un’interruzione nel maggio dello stesso anno, quando l’Estudiantes chiama El Cholo e lui risponde all’appello diventandone, il 18 maggio, allenatore.
Non è possibile separare la carriera di questo straordinario allenatore, precoce come quando giocava a calcio, dai risultati in essa ottenuti. Pronti-via, e al termine di quella stagione (è il dicembre del 2006) Simeone vince il Campionato Apertura nello spareggio mozzafiato col Boca Juniors. Questo primo e clamoroso successo lo spinge al cambiamento: nessuno lo sa, ma Simeone sta puntando all’élite del calcio.
Il 1° gennaio del 2008, la “convocazione” è delle più prestigiose. C’è infatti il River Plate alla porta. Tre colpi, neanche troppo forti, e Simeone è già incravattato. Qui, dove tempo e spazio si fondono sospendendosi nell’aria soffice della Gloria, Simeone apprende il senso di responsabilità che la guida di una grande squadra comporta. Ma qui, allo stesso tempo, si rendono conto di quanto lui, l’imberbe allenatore, sia splendente. Il River vince il Campionato Clausura sotto la sua guida, a distanza di quattro anni dall’ultima volta.
Dopo un avvio a dir poco problematico in Campionato Clausura (9 punti in 13 partite, condite di un ultimo posto davvero da brividi), aggravato dall’eliminazione in Coppa Sudamericana per mano del Chivas, Simeone rassegna le inevitabili dimissioni. Alcuni lo chiamano orgoglio, altri codardia. Ma Simeone non ha compromessi, né mai si è ritrovato nella terra di mezzo dell’etica. Schierandosi, amato e odiato fin dal principio, si è scelto una porzione di campo scomoda, ma rivoluzionaria.
Il 16 aprile del 2009 accetta la sfida sulla panchina del San Lorenzo, ma il 4 aprile dell’anno successivo ha già rassegnato le proprie dimissioni. Qualcosa (o qualcuno) gli impedisce di lavorare al meglio. O almeno, così lui afferma.
Tornare in Italia
La “pausa” dura qualche mese. Giusto il tempo di riorganizzare le idee e dare un’occhiata al Destino. Come sempre, Simeone decide di prenderselo, anziché attenderlo.
Ecco allora la chiamata del Catania, che ha bisogno di un condottiero di un’altra epoca per far meglio dei 24 punti fatti in 20 partite di campionato sotto la guida di Giampaolo. È il 19 gennaio del 2011 e il Cholo inizia una storia d’amore senza precedenti nella sua carriera di allenatore.
Nel Regno di Sicilia, Simeone si siede sul trono più assiso dell’Etna, comandando un calcio aggressivo, umile, ma estremamente vivace.
Non è ancora l’Atletico Madrid – vuoi per uomini, vuoi per campionato, vuoi per mille altri fattori – ma il Massimino è incantato ugualmente dalla rabbia agonistica di quella squadra.
Il Catania di quell’anno sembra un bug del sistema calcio italiano: è infatti a tutti gli effetti una squadra argentina. Gomez e compagni, sotto la sapiente guida del Cholo, riescono dunque non solo a salvarsi con tre giornate di anticipo, ma a raggiungere un tredicesimo posto da favola; è il miglior risultato della storia catanese. Con 46 punti totali, Simeone supera il miglior Catania di sempre, quello dell’anno precedente guidato da Sinisa Mihajlovic, che aveva chiuso a 45 punti.
Da buon Re, Simeone si ritira immediatamente dall’Italia. Il richiamo dell’Argentina è forte; è il Racing, lo stesso che lo aveva lanciato nel 2006, a tornare alla carica. Il 21 giugno del 2011, dunque, El Cholo torna al Club biancoceleste di Avellaneda, ma nonostante un secondo posto convincente (anche se a più di dieci lunghezze dal Boca Juniors, primo della classe) l’allenatore argentino lascia nuovamente a causa di malcelati dissapori interni con la società che per due volte aveva scommesso su di lui.
Il Cholismo e l’Atletico Madrid
Qui inizia la storia di Simeone con l’Atletico Madrid. È il dicembre del 2011 e, sotto l’albero, i tifosi Colchoneros non trovano un nuovo acquisto, ma un nuovo allenatore. Possono solo lontanamente immaginare il regalo che Babbo Natale gli ha appena fatto.
Al termine della sua prima stagione, nonostante i pochi mesi di lavoro a disposizione, Simeone vince l’Europa League al termine di una cavalcata che, iniziata con l’eliminazione ai danni della sua ex più amata (dopo l’Atletico), cioè la Lazio, si conclude con una vittoria schiacciante ai danni dell’Athletic Club di Marcelo Bielsa (3-0 il parziale).
Dopo aver giocato per ben sette stagioni all’Atletico Madrid (dal 1994 al 1997 e, dopo la Lazio, dal 2003 al 2005), El Cholo riprendeva un cammino lasciato solo in sospeso con l’Orso madridista.
Quella con l’Atletico è un’autentica storia d’amore, niente meno. Come a conclusione di un (mini) cammino ideale, che qui, al Calderon, aveva visto i suoi scarpini calcare il terreno del giuoco giocato per l’ultima volta, Simeone tornava a scrivere nuovamente la storia. Un’altra storia, certo, ma magari addirittura migliore della precedente.
La finale contro i baschi dell’Athletic s’impone come una pietra miliare nella storia del calcio. Non solo Simeone umilia gli avversari sotto il profilo del gioco, ma lo fa con una filosofia nuova.
Non è il bel gioco a guidarne l’esposizione – al contrario proprio di Bielsa – ma il temperamento. I suoi giocatori non sono individui scissi dal sistema, ma giocano nella e per la totalità dello stesso. Il paradosso, neanche troppo paradossale, è che però, all’interno di un gioco che ha l’obiettivo di annullare le singolarità appannaggio della collettività, le individualità risaltano nei momenti cruciali.
Ad ogni stagione con l’Atletico, tanto per iniziare, Simeone ha fatto coincidere una grande annata di un attaccante. Prima Falcao, poi Diego Costa, affiancato da Torres, poi Griezmann. Ne parleremo alla fine. Qui ciò che importa è il concetto di fondo, sottoscrivibile quasi per ogni ruolo (vedasi Courtois prima e Oblak poi, o Gabi e Tiago, poi Koke e Saul; giocatori che cambiano, mentalità che rimane).
Il 4-4-2 di ispirazione sacchiana ha, rispetto alla tattica di Sacchi, una fondamentale differenza; una punta rimane alta, gli altri 9 difendono compatti la propria porta, di modo che un attaccante a turno, a seconda delle caratteristiche, aiuti il centrocampo a coprire i buchi – peraltro molto rari – lasciati dalla fase difensiva della zona media e medio-bassa del campo.
Etichettato con sfregio come “catenaccio”, il gioco di Simeone è simile alla più riconoscibile filosofia italiana solo ad un occhio distratto. Simeone fa ciò che solo i grandi allenatori sono in grado di fare: chiamare i fuoriclasse alle armi, a seconda delle caratteristiche di ognuno. E cioè: ogni giocatore, in base alle proprie attitudini fisiche, tecniche e mentali, assume nello scacchiere di Simeone un preciso posto sulla lavagna tattica.
Non importa che il tuo nome sia Griezmann, o Saul, o Carrasco o Godin. Devi essere pronto a sacrificarti, sempre. Anche perché, secondo il vangelo del Cholismo, per arrivare alle più forti (Real e Barcellona, perlomeno) è necessario moltiplicare dedizione e sacrificio, da parte di tutti. I risultati gli danno ragione.
L’apice raggiunto nel 2013 e nel 2015
L’Atletico Madrid, dal 2013 ad oggi, si è strutturata come una delle squadre più forti del pianeta, capace di contendere il primato a Barcellona e Real Madrid in Spagna come in Europa.
Dopo essersi aggiudicata l’Europa League, la formazione allenata dal Cholo, a tal punto riconoscibile da dar nome ad una nuova parola sul dizionario – il cholismo, con buona pace di Caressa e co. –, affronta il Chelsea di Roberto Di Matteo, reduce dall’impresa della vittoria in Champions League. Da una parte una squadra forte, preparata, ben allenata e con un’idea molto chiara di calcio in testa; dall’altra, una formazione forte nei singoli, già baciata dalla sorte e stanca. Risultato di quella Supercoppa Europea? 4-1 per l’Atletico Madrid.
L’annata inizia bene e si conclude meglio, con la vittoria in finale di Copa del Rey contro il Real Madrid di José Mourinho (1-2 dopo i tempi supplementari).
La stagione 2013/2014 è quella dell’agognato e meritato titolo nazionale. Dopo una stagione giocata col coltello tra i denti, l’Atletico si presenta al Nou Camp forte di tre punti di vantaggio ma debole di uno Stadio che spinge – sembra più del solito – per la Remuntada.
Dopo qualche minuto di gioco, le nubi si abbattono sui Colchoneros. Le nuvole non sono fisiche e i lampi sono metaforici, ma fanno più male di un macigno scagliato a metri e metri di altezza: Diego Costa e Arda Turan sono costretti a lasciare il terreno di gioco per un guaio muscolare, e al 30’ Alexis Sanchez si inventa un gol straordinario, incastonando il pallone sotto l’incrocio dei pali della porta difesa da Thibaut Courtois. Si va al riposo sul punteggio di 1-0 per il Barcellona, ad un passo dal titolo.
Non conosciamo le parole pronunciate nell’intervallo da Simeone ai suoi ragazzi, ma la storia è fatta anche di ciò che non si dice, di ciò che non si saprà mai; è il bello dell’esistenza.
Ed è il ballo dell’Atletico Madrid. Pronti-via, dopo 3’, da corner, l’arma a doppio taglio dei biancorossi di Madrid, Godin svetta di testa, alto e possente come un dio greco: 1-1. L’Atletico terrà quel risultato nonostante qualche brivido. È un trionfo senza precedenti; finisce un dominio – quello Real-Barcellona – che durava dai tempi del grande (e ambiguo) Valencia.
Cholismo e Champions
La stagione non ha ancora finito di riservare delle sorprese. Questa volta però, più che un dolcetto, è uno scherzetto ad attendere l’Atletico di Madrid. Peggio: un incubo. Finale di Champions League 2013/2014. Dopo un 1-0 tenuto per quasi 90’, Sergio Ramos, autentica divinità del calcio mondiale, svetta di testa come Godin qualche giorno prima al Nou Camp, regalando l’1-1 e i tempi supplementari al Real Madrid. L’Atletico non riesce a reagire e la furia madridista, catalogata alla voce Decima, si prende anche i resti di una squadra non ferita ma distrutta; 4-1 il risultato finale. Ancelotti trionfa, Simeone mastica amaro.
Nella stessa stagione era stato eliminato in semifinale proprio dal Real Madrid in Copa del Rey e in finale dal Barcellona in Supercoppa di Spagna. Quella, però, rimane una stagione da sogno per la banda del Cholo.
Quella successiva (2014/2015) si apre con una splendida vittoria in Supercoppa di Spagna contro gli odiati cugini del Real Madrid, che però saranno nuovamente la maledizione dell’Atletico Madrid in Champions League, dove il cammino della formazione cholista si fermerà ai quarti. In Copa del Rey, sarà nuovamente il Barcellona a cibarsi dell’Atletico, che finirà al terzo posto in Liga.
Nella stagione 2015/2016, la terza maledizione Champions con i Blancos. A San Siro, la finale inizia male per l’Atletico, ma Carrasco la rimette in piedi. Il rigore di Griezmann potrebbe regalare il vantaggio ai Colchoneros, ma il tiro de le petite diable sbatte sulla traversa e non rientrerà più in porta. Nella serie di rigori successiva ai supplementari, chiusi senza troppe emozioni, l’Atletico, come noto, perderà la finale. Per la seconda volta nel giro di due anni. Sempre contro il Real Madrid. Una vera maledizione.
E se per il Real, con quella vittoria, inizierà un ciclo di vittorie incredibile – tre titoli consecutivi in Champions, quattro in cinque anni – sotto la direzione di Zinedine Zidane, per l’Atletico arriveranno bensì altri successi, ma mai a tal punto gloriosi da cancellare quella doppia e indelebile debacle stracittadina.
Nella stagione 2017/18 l’Atletico vincerà la sua seconda Europa League sotto la gestione Simeone, grazie ad un perentorio quanto indiscutibile 3-0 contro l’OM, che permetterà all’allenatore argentino di raggiungere Luis Aragonés quale tecnico più vincente della storia colchonera. Il 15 agosto, sempre del 2018, arriverà il successo in Supercoppa Europea contro il Real Madrid. Ma i blancos saranno nuovamente maledizione dell’Atletico il 12 gennaio 2020, quando la banda di Zidane vincerà nuovamente in finale di Copa del Rey.
Non sappiamo cosa riservi il futuro del Cholo Simeone. Molti lo sognano in Italia. Lui, più volte visto lontano da Madrid, ha sì cambiato casa (il Wanda Metropolitano) ma non residenza. Perché il primo amore non si scorda mai.
Perché il Cholismo non è una filosofia, ma un credo.