La potenza dei vulcani. E la gente, poi, dei vulcani. Non può essere un caso che una squadra così grintosa, così vogliosa, così esplosiva sia nata alle pendici dell’Etna. Non può essere un caso che il Catania, partito da modeste ambizioni, abbia stupito tutti con costanza e meravigliosa determinazione. Pulvirenti ci ha riprovato in questi anni, semplicemente la magia è stata irripetibile: in quel 2010, s’instaurava il regime etneo delle sorprese . Di giorno tutti ad allenarsi, di sera era una bandiera argentina sventolata a casa del Pata Castro, dove i ben 14 sudamericani si rintanavano per bere, cantare, stare insieme. Fare gruppo, che poi era il segreto alla base di tutto.
Sì, era la squadra più argentina di tutti. 11 rappresentanti dell’Albiceleste nel 2011, 14 nell’anno successivo. Per il Catania, in Serie A tra il 2006 e il 2014, uno zoccolo duro che divenne fondamentale per attirare nuovi talenti e per mantenersi forte nei momenti difficili. Del resto, si sa: gli argentini sono noti per tante cose, però mai stati grandi fan del mollare sul più bello. E allora, eccoli tutti, quasi in fila. Il Cholo Simeone, la punta di diamante di una squadra in grado di soffrire e di emergersi, grazie al talento di Llama e del Papu Gomez.
Partiamo dalle basi
Il Catania torna in Serie A nella stagione 2005–2006: è un’annata storica, meravigliosa, irripetibile. Mentre il calcio italiano è sommerso dal terremoto Calciopoli e risollevato dal Mondiale vinto in Germania, in Sicilia si registra un incremento di passione che non ha precedenti. Certo, la Nazionale ha aiutato, ma il segreto è tra le mani di quell’imprenditore locale in grado di regalare sogni concreti ai suoi concittadini: con il direttore sportivo Lo Monaco, gli etnei si mettono in testa di non voler solo figurare nella massima serie. Vogliono starci e restarci. I primi nomi? Walter Garcia. Poi un argentino purosangue, di lotta e di governo: Mariano Izco.
Non un’annata perfetta, ma tanto basta a rimanere a galla. Il Catania si salva sul finale grazie a un paio di colpi esterni. Serve cambiare, serve non avere paura. Servono giocatori d’esperienza e magari qualche talento: Bizzarri decide di lasciare il Gimnasia e di tornare in Europa dopo l’annata al Real Madrid. In difesa c’è il talento di Silvestre, in Italia anche all’Inter. Sarà salvezza, con il solito cambio allenatori e la solita altalena. Nel 2010-2011, la conta degli argentini inizia a sfuggire di mano: saranno 12. Le regole, chiaramente, lo consentivano.
Annate belle, divertenti, frizzanti. Annate che ancora oggi sono rimaste nel cuore dei tifosi, in questi giorni alle prese con le ore più buie di una storia che meritava certamente altro finale. Del resto, come si è passati dal 10 del Papu Gomez a tutto questo? Sì, perché il talento vero di quella squadra era l’attuale capitano dell’Atalanta dei miracoli: oggi decide sfide da Champions League, poco meno di dieci anni fa si caricava costantemente un popolo sulle spalle.
Quanti talenti
E non di solo Papu ha vissuto il Catania. La stella era certamente lui, ma in attacco aveva trovato una quadra pazzesca: il solo italiano era il talentuosissimo Mascara, poi spazio all’estro argentino di Maxi Lopez (un passato al Barcellona, tanto per gradire) e ai gol senza tempo di Gonzalo Bergessio. Finivi per volergli bene, al Catania. Perché non si può non tifare per il merito che emerge, che vince, che s’impone su difese chiuse e allenatori pronti ad accontentarsi. Sia con Simeone, sia con Montella, questa squadra non ha mai rinunciato alle sue caratteristiche: e le ha battute tutte, le grandi. L’Inter di Mou, la Juve di Ranieri, il Milan di Ancelotti e di Allegri. La Roma del miglior Totti della storia.
In un campionato che si rispecchiava nei talenti e ancora si basava sul Mondiale vinto pochi anni prima, i siciliani erano la meravigliosa variabile impazzita. Solida in difesa con Spolli, Carboni e appunto Silvestre. D’incredibile qualità in mezzo: da Ledesma a Izco, passando e Pablo Alvarez e Almiron. Arrivò anche Mariano Andujar in porta: aveva disputato i Mondiali del 2010 e fu vice campione del mondo nel 2014.
Tutto ebbe inizio proprio dal Cholo e dal suo Cholismo, al suo fianco come sempre il Mono Burgos. Aveva fallito Giampaolo e a Lo Monaco arrivò la pazza idea: chi meglio di Diego Simeone per ‘governare’ una formazione di giocatori pronti e affidabili, ma non ancora al massimo della loro espressione? E sì, serviva una guida: presero il meglio in circolazione, quando ancora nessuno voleva dare fiducia a uno dei tecnici in grado di rivoluzionare il gioco più di tutti. Il derby contro il Palermo, vinto 4-0, fu la ciliegina su una torta già buonissima.
Quella stagione benedetta
Simeone non durò tantissimo. Andò via per approdare in lidi decisamente migliori. A sostituirlo arrivò Vincenzo Montella: un gran passato da calciatore, un presente da allenatore tutto da costruire. Sorriso, charme, ma tanta applicazione e possesso palla: furono gli ingredienti con cui entrò nel cuore di questi ragazzi. A quel punto, il Catania si era ritrovato 14 argentini: a renderlo possibile ci aveva pensato Jorge Cysterpeller, storico procuratore di Maradona. Nel frattempo, infatti, erano arrivati Carrizo, Paglialunga, Almiron (poi alla Juve) e Barrientos.
2011-2012, la squadra è uno spettacolo incantevole. Macina gioco e semina panico su tutti i campi. Ma il meglio deve ancora venire e ha la concretezza di Ronaldo Maran: nelle prime 12 gare casalinghe, 8 vittorie. Risultati sorprendenti che permettono alla formazione di trovarsi subito nella sfera alta della classifica. Alla fine? Saranno 56 punti, superata l’Inter all’ultimo per l’ottavo posto: non ce n’erano più 14, di argentini, ma “soltanto” 11. Comunque, tutti decisivi: i più presenti furono Castro e Gomez, ma MVP certamente Gonzalo Bergessio. 15 gol messi in fila, senza paura. Proprio come quel Catania.