A Cosenza, d’inverno, non sono rare le nevicate. Quando dal cielo cadono piccole ma intense foglie di ghiaccio, per un attimo la città si risveglia dal torpore. Scopre, a distanza di più di trent’anni, che Donato “Denis” Bergamini – uno dei suoi più bei figli – non ha ancora trovato pace. Né giustizia. Che cosa ha spinto un calciatore così talentuoso, uno dei più forti e tecnici della sua generazione, a chiudere i conti con la vita a soli 27 anni?
È il 18 novembre del 1989 quando il mondo del calcio italiano annuncia sotto shock la notizia più inaspettata di tutte: il calciatore del Cosenza Donato Bergamini, per tutti Denis, si è tolto la vita.
Il suo corpo esanime è stato trovato sull’asfalto della strada statale 106 Jonica, nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza. Appena fuori dalle mura della città che lo aveva eletto figlio.
Mentre i tifosi del Cosenza, i familiari del ragazzo e l’universo pallonaro italiano si interrogano sui cupi e insondabili mestieri del fuoriclasse cosentino, molti – quasi tutti – non credono alla versione ufficiale dei fatti. Il nodo tra la morte di Bergamini e l’ipotesi del suo suicidio è debole, fin troppo.
Molte sono le incongruenze che caratterizzano le indagini. Qualcosa non torna, ma che cosa? A distanza di trent’anni, abbiamo una sola certezza: Donato Bergamini non si è tolto la vita. Qualcuno, o qualcosa, lo ha deciso al posto suo.
Una carriera in ascesa
Bergamini arriva nella città di Bruzia nella stagione 1985/86. Dopo qualche anno di gavetta nelle categorie minori tra Imola e Russi, è il Cosenza ad accoglierlo in C1, nel calcio che conta.
Il suo è un girone ostico e caloroso, immagine di un calcio ormai tramontato dove anche nelle serie inferiori alla B e alla A la battaglia era furente. Bergamini è un fuoriclasse. Alla tecnica che madre natura gli ha donato abbina una straordinaria dedizione per il gruppo. Giocatore di gran classe, è anche un generoso.
“Quel ragazzino biondino e apparentemente timido e scontroso, si rivela un mediano di spinta coi fiocchi, bravo sia nella fase di interdizione che nella costruzione del gioco. A vederlo fuori dal campo non diresti mai che sia in grado di svolgere tutto quel lavoro”. Con un picco prestazionale nella stagione 1987/88, quando il Cosenza trionfa in C e vola in Serie B, per una storica promozione.
In serie cadetta Bergamini è però sfortunato. Gioca poco, si fa male e salta ben 16 partite. Il 12 novembre del 1989, al Brianteo di Monza, Bergamini giocherà la sua ultima partita in carriera.
Poi “il suicidio”, il corpo trovato appena fuori Cosenza e la bizzarra ricostruzione degli inquirenti: Denis si è lanciato sotto un camion carico di mandarini, pesante circa 138 quintali. Lo avrebbe fatto senza apparenti motivi, o avvisaglie pregresse. Bergamini non aveva infatti mostrato alcun segno di instabilità, tutt’altro.
Le troppe incongruenze nel caso Bergamini
Il giorno della morte, aveva rilasciato un’intervista alla Gazzetta del Sud, incitando e motivando la squadra e il pubblico dei Lupi in vista del sentitissimo match casalingo contro il Messina. Gli amici e i familiari, interrogati dopo l’accaduto, gridano nel deserto davanti agli inquirenti. Eppure gridano: Denis non si è suicidato, dicono. È stato ucciso, e merita giustizia.
C’è tutto, per fare chiarezza. Ci sono gli indumenti che indossava Denis, dai Jeans intatti, all’orologio magicamente funzionante nonostante l’impatto devastante con un autocarro di quel peso e dimensioni.
C’è la scatola nera del camion, prontamente manomessa. Da chi? Non si sa.
C’è l’auto di Denis, soprattutto. Mai sequestrata e restituita ai genitori Bergamini intatta, pulita e splendente. Il Cluedo è completo, ma gli strumenti sono diversi da quelli del gioco. Ci sono, infine, strane telefonate che Denis avrebbe ricevuto la sera prima. In compagnia di amici e parenti, che ricordano senza sforzo il colore del volto del ragazzo al loro apparire: bianco come il marmo.
Perché Bergamini si è inspiegabilmente allontanato dal pre-ritiro, quando alcuni compagni – senza ulteriormente indagare – lo hanno visto in compagnia di due sagome impossibili da riconoscere nella penombra? Cosa vogliono dire i verbali degli agenti accorsi al ritrovamento del cadavere, incredibilmente confusi e confusionari? C’entra qualcosa la morte del magazziniere factotum del Cosenza Alfredo Rende, che aveva promesso al padre di Denis importanti rivelazioni sull’accaduto e che, mesi dopo, perderà la vita in un incidente stradale proprio sulla stessa strada dove è stato ritrovato il cadavere di Bergamini?
Come la pecorella biblica, smarrita tra i cespugli e lì bloccata, il buon Pastore della Giustizia ha molto da camminare prima di ritrovare l’ordine nella vicenda dell’omicidio Bergamini. Ma la giustizia non è di questo mondo. Né l’amore.
C’è infatti un’ultima inquietante figura a complicare ulteriormente il quadro giudiziario. È Isabella Internò, giovanissima ragazza di Rende (CO) impegnata in una burrascosa, fragile e instabile storia d’amore con Denis. A complicarne il rapporto, secondo le indagini, un aborto all’insaputa di tutti (tranne Denis, chiaramente) furtivamente eseguito a Londra, e la gelosia della ragazza, così forte e persistente da costringere Donato a lasciarla nella primavera dell’89. Appena qualche mese prima della sua morte. Secondo la di lei testimonianza, Denis aveva palesato sintomi (verbali) di malessere nel primo pomeriggio. Lei, in qualche modo, se lo aspettava. Strano certo che si trovasse con lui in macchina quel giorno.
La ricerca della giustizia
Era stata proprio di Isabella la chiamata alla mamma di Denis, poi all’allenatore Gigi Simoni, dopo essersi accorta – accompagnata da un misterioso passante – del corpo del ragazzo disteso sul ciglio della strada. La segnalazione alla polizia l’avrebbe fatta invece il titolare di un bar nei pressi dell’accaduto. Rispetto al quale la famiglia Bergamini non ci vede chiaro fin da subito.
Dopo aver chiesto l’autopsia e la riesumazione del cadavere del figlio, viene trovata un’unica frattura sul corpo del ragazzo, nei pressi dell’inguine. Come spiegare l’impatto con l’autotreno e la morte improvvisa? Il caso verrà riaperto nel 1994: un’indagine contro ignoti che porterà ad un’archiviazione. Fino al giugno del 2011 quando spunta un dossier di ben 208 pagine prodotto dai legali della famiglia.
Il RIS di Messina, incaricato di far luce sulla vicenda, afferma definitivamente attraverso una sentenza che Denis, sul luogo della morte, era arrivato già esanime. Eureka, per tutti tranne che per familiari e amici, che di questo erano convinti fin dall’inizio.
Nel luglio del 2017 poi la seconda riesumazione. Mentre il corpo di Denis non trova pace, l’utilizzo di nuove tecnologie aiuterà a far presto su una vicenda che ha ancora tanto da raccontare. Anche a livello mafioso.
Sì, perché negli anni Ottanta, meno turbata rispetto agli anni precedenti quando fu caratterizzata da una terribile guerra di ‘ndrangheta, Cosenza vive ancora gli strascichi dello scandalo Totonero. E se Bergamini fosse venuto a conoscenza di loschi – e non inimmaginabili – rapporti tra la mafia locale e la presidenza rossoblu?
Come scolpita nel cuore nero della storia d’Italia, la vicenda Bergamini è una pietra miliare della cronaca nera. Mentre la parola fine sulla triste vicenda è ancora lontanissima, qualcosa perlomeno si è mosso in questi trentatré anni. Qualcosa, appunto. Come dicevamo all’inizio.