Lo sport professionistico di oggi vive incastonato in una cornice di business, la cui sostenibilità è però spesso oggetto di dubbi e critiche soprattutto da parte dei professionisti. Due illustri campioni che si sono fatti avanti recentemente sono Rodri e Carlos Alcaraz. E il primo, purtroppo per lui, ha appena dimostrato sulla propria pelle i rischi di un calendario troppo fitto.
La domanda rimane, tuttavia: nello sport odierno, in particolare nel calcio e nel tennis, si gioca troppo?
Rodri buon profeta, suo malgrado: stagione finita per lui
Nei giorni scorsi, il centrocampista del Manchester City e della nazionale spagnola fresca campione d’Europa, aveva lanciato l’allarme. Anzi, più che un allarme era una minaccia di sciopero, da parte di un gruppo di calciatori. Nel giorno di Manchester City-Inter, Rodri si era fatto portavoce di tanti colleghi, in primis quelli che giocano nel massimo campionato inglese. “Si giocano troppe partite”, ammoniva il campione iberico, minacciando una sorta di sciopero. Nel mirino dei calciatori c’è un calendario sempre più fitto, che lascia poco tempo ai calciatori per riprendersi da una stagione che, nei casi dei giocatori di squadre che arrivano in fondo alle grandi competizioni, può arrivare vicino alle 90 partite.
Sono obiettivamente troppe, soprattutto troppe per garantire uno spettacolo di buon livello. Ne è testimone l’ultimo Europeo, in cui tante stelle sono arrivate con la lingua penzoloni. Nel mirino di Rodri & co c’era soprattutto la prossima stagione, con il Mondiale per club che causerà un ulteriore aumento di match per i giocatori dei top team.
Ad ogni modo, l’accorato appello di Rodri si è rivelato premonitore – purtroppo – per se stesso. Nei primi minuti dell’importante sfida di campionato contro l’Arsenal, Rodri è dovuto uscire per infortunio. I successivi esami hanno evidenziato la rottura del legamento crociato del ginocchio destro, diagnosi che decreta la fine anticipata della stagione per lui.
Anche nel tennis si gioca troppo: con chi ce l’aveva Carlos Alcaraz
A nemmeno un giorno di distanza dalla minaccia di sciopero annunciata da Rodri a nome di parecchi calciatori, a Berlino si faceva sentire anche Carlos Alcaraz. In una conferenza stampa dopo la Laver Cup, il fuoriclasse iberico se l’è presa con i troppi tornei “mandatory”, ovvero quelli a cui è obbligatoria la partecipazione in base al proprio ranking, pena varie penalizzazioni in termini proprio di punti (slot utili che vanno a zero).
Nemmeno per i tennisti è una cosa inedita, l’allarme sull’eccessivo numero di partite. Certo, però, se viene dal vincitore di Roland Garros e Wimbledon 2024, che per giunta aggiunge terminologie altisonanti come “prima o poi questa cosa ci ucciderà”, il “j’accuse” fa più rumore.
Ma è vero, che oggi a tennis si gioca troppo? I numeri non sembrano troppo dalla parte di Carlos Alcaraz.
I tennisti che hanno giocato di più nel 2024
Mentre scriviamo (23 settembre), questa è la top 5 dei tennisti che hanno giocato di più nel 2024:
- Alexander Zverev 75
- Lorenzo Musetti 67
- Casper Ruud 64
- Taylor Fritz 63
- Jannik Sinner 60
Alcaraz non si avvicina nemmeno a queste cifre, avendo giocato al momento “solo” 52 partite. La situazione èerò non sembra cambiare se si guarda all’ultimo anno completato, ovvero il 2023.
I 5 tennisti con più match disputati nel 2023
- Daniil Medvedev 84
- Andrey Rublev 81
- Alexander Zverev 78
- Carlos Alcaraz 77
- Jannik Sinner 76
Il confronto col passato e i ritmi insostenibili di Guillermo Vilas
Aggiungo altre curiosità. Se si eccettua il 2020, in cui si è giocato poco causa covid, degli ultimi 6 anni soltanto nel 2023 si sono avuti tennisti oltre le 80 partite annuali.
Sono comunque molti match match, ma per esempio sono relativamente pochi in confronto ai 97 di Novak Djokovic nel 2009, ai 93 di Rafa Nadal nel 2008 e ai 91 di David Ferrer nel 2012. Se invece si va ancora più indietro nel tempo, le cifre attuali impallidiscono.
Nel 1977, Guillermo Vilas giocò 160 (CENTOSESSANTA, avete letto bene) partite, di cui 147 vinte e 13 perse. Quello fu l’anno-record per il “Poetino” argentino, che vinse qualcosa come 16 tornei, 14 dei quali su terra battuta in cui tenne una striscia di match vinti consecutivamente. Ad ogni modo, nel pieno della sua carriera, Vilas teneva questi incredibili ritmi: tra il 1974 e il 1977 non giocò mai meno di 110 partite all’anno.
E se si guarda ad altri suoi rivali del tempo, come Jimmy Connors, sovente si vede superata la boa dei 100 match annuali. Dunque, in termini assoluti, si può dire ufficialmente che NO, non è vero che oggi si gioca troppo rispetto a un tempo.
Dunque, non è vero che si gioca troppo?
C’è però della verità in quello che dice Carlos Alcaraz, così come nell’allarme lanciato da Rodri. La velocità di gioco, l’evoluzione degli allenamenti e del modo in cui il fisico viene spinto ai massimi, rendono arduo un confronto alla pari tra epoche diverse. Inoltre, giocando così veloce si è automaticamente costretti a pensare in maniera altrettanto rapida.
Il tennis di una volta si svolgeva a ritmi più sostenibili per il fisico, che oggi viene sollecitato in maniera molto violenta. Dunque sì, probabilmente è vero che l’ATP dovrebbe sedersi a un tavolo e discutere con i tennisti di eventuali migliorie al calendario.
Al contempo, però, fa specie che lo stesso Carlos Alcaraz abbia già dato l’ok alla propria partecipazione – dietro compenso milionario – al “Six Kings Slam”. Si tratta di un torneo-esibizione che si terrà a metà ottobre in Arabia Saudita e dovrebbe vedere la partecipazione, oltre che di Alcaraz, anche di Jannik Sinner, Novak Djokovic, Rafa Nadal, Daniil Medvedev e Holger Rune.
Carlos Alcaraz, l’importanza degli stimoli e del piacere di giocare
Senza scadere nella facile demagogia (“ma come, si lamenta che si gioca troppo e poi va a prendersi il cachet milionario in Arabia”), c’è un altro aspetto delle dichiarazioni di Carlos Alcaraz che è interessante. Lo spagnolo ha confessato che gli capita a volte di non avere alcuna voglia di andare a giocare un torneo. “Non voglio mentire, alcune volte mi sono sentito così”, ha detto, aggiungendo un particolare interessante sull’aspetto motivazionale: “io gioco il mio miglior tennis quando posso sorridere e divertirmi in campo.”
Nei tornei del Grande Slam e negli appuntamenti cruciali della stagione, questa cosa può venire meno per il classico meccanismo della grande pressione che sopraggiunge. Questo aspetto, che era stato toccato anche da Jannik Sinner poco dopo l’esplosione della vicenda-doping, tradisce un elemento portante, nei delicati equilibri del tennis odierno.
Per quanto super-campioni, Carlos e Jannik sono due ragazzi di 21 e 23 anni, che hanno avuto avuto il privilegio di poter fare di un gioco il loro lavoro. L’aspetto ludico, il piacere di giocare ed esprimere il proprio talento, sono elementi che vengono ingabbiati nella programmazione dei tornei di un circuito intenso come quello professionistico dell’ATP. Non possono però venire soffocati.
Viene da chiedersi come mai questo aspetto costituisca un problema più per Alcaraz che per Sinner. Al di là delle differenze caratteriali, c’è forse un aspetto che può essere indicativo. A Carlos venne messa una racchetta in mano dall’età di quattro anni ed è sempre stato considerato un predestinato. Jannik iniziò invece a 8 anni, dopo avere inizialmente praticato soltanto lo sci, e solo a tredici arrivò la decisione di dedicarsi solamente al tennis.
Forse c’è anche questo elemento, in quella sorta di “burnout” che sembra colpire ogni tanto Carlos Alcaraz, molto più di Jannik Sinner.